21 Novembre 2024

03. IL CONTROLLO TOTALITARIO DELL'INFORMAZIONE

La descrizione del mondo fatta da George Orwell in 1984 serviva a screditare il sistema socialista totalitario dell’Unione Sovietica. In realtà risulta perfetta per descrivere il mondo odierno. Partiamo da una constatazione fondamentale: la “libera” informazione è oggi in mano ad un pugno di capitalisti. Il capitalismo e la democrazia liberale propugnano da sempre l’ideale della libertà di stampa, della pluralità di fonti di informazione e della libertà di pensiero. A parole.
Nella realtà, sia a livello mondiale sia ai vari livelli locali, dove prospera il capitalismo si verificano concentrazioni di aziende anche nel settore delle telecomunicazioni, che comprendono quindi il vasto mondo delle televisioni, dei giornali, delle riviste, dell’editoria, ecc. Tali concentrazioni, nell’epoca della mercificazione totale e del tripudio dell’ideologia neoliberista, logica conseguenza di un imperialismo che non ha più freni, sono chiaramente detenute da un pugno più o meno ampio di capitalisti. Vediamone alcuni esempi: nel maggio 2016 Michael Snyder[1] ha calcolato che il 90% del consumo “mediatico” medio (circa dieci ore al giorno) di un normale utente statunitense fosse di fatto proveniente da aziende affiliate o controllate sostanzialmente da sole sei grandi multinazionali: Comcast, The Walt Disney Company, News Corporation, Time Warner, Viacom e CBS Corporation. Queste, a loro volta, controllano altre aziende di varie dimensioni in un enorme gioco di scatole cinesi.
Significativo è l’esempio della News Corporation, un vero e proprio impero mediatico che rimane essenzialmente tale nonostante l’azienda sia stata di recente scorporata in due tronconi per ragioni organizzative. La News Corporation è di proprietà sostanziale di Rupert Murdoch, che ne detiene la quota di maggioranza relativa, facendone uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo controllando organi di informazione e/o intrattenimento in Australia, Regno Unito, USA, Fiji, Papua, India, paesi Bassi, Russia, Bulgaria, Romania, Serbia, Turchia, Georgia, Polonia, Indonesia, Germania, Italia, praticamente tutto il Sud America e non solo. Oltre a centinaia di piccole riviste locali, questo enorme conglomerato mediatico detiene il controllo delle più importanti aziende mondiali nel settore delle telecomunicazioni e dell’editoria.
Ne sono esempi i quotidiani britannici The Sun e The Times; gli statunitensi The Post e Wall Street Journal; la televisione satellitare di Sky in Italia e nel Regno Unito; la Fox Television e la casa cinematografica 20th Century Fox negli Stati Uniti. Si è calcolato che il suo gruppo editoriale raggiunga ogni giorno circa 4,7 miliardi di persone, i tre quarti della popolazione globale. Forbes stima nel 2015 il suo patrimonio in 13,9 miliardi di dollari10. Sul potere di Murdoch e sull’intreccio tra potere mediatico e potere politico ha scritto nel 2012 una bella riflessione Vittorio Parsi su Avvenire11, commentando l’avvio di una commissione d’inchiesta britannica sui rapporti tra la News Corporation e la politica inglese.
«Ciò su cui si cerca di far luce non si limita nemmeno all’influenza – straordinaria secondo alcuni, eccessiva secondo altri – che il magnate australiano dei media avrebbe esercitato sulla politica britannica degli ultimi tre decenni. Lo scandalo in cui è rimasto invischiato il gruppo News Corp, una delle maggiori concentrazioni mediatiche del mondo a cui fa capo anche l’emittente televisiva Sky, ha messo in evidenza infatti una serie di contiguità tra forze di polizia, media e politici che neppure una figura controversa come Murdoch riesce ad esaurire. Ed è, evidentemente, qualcosa che non riguarda il solo Regno Unito. È difficile dire chi sia il mazziere tra media e politica nel distribuire le carte di un gioco che con la democrazia ha davvero poco a che fare. In realtà, sembra di poter dire che questo ruolo può cambiare da paese a paese e persino da fase storica a fase storica. Ciò su cui si possono purtroppo nutrire ben pochi dubbi è il fatto che i sicuri perdenti siano i cittadini, i quali si ritrovano alla mercé di due poteri, con la propria privacy data in pasto a chiunque, senza alcun rispetto sostanziale per la dignità individuale. Non è da ieri che la romantica idea dei media come cani da guardia del potere politico fa acqua. Il giornalismo romantico e indipendente, che si nutre di inchieste e verifiche scrupolose, forse non è mai davvero esistito o esiste solo nei film e nelle lezioni delle scuole di giornalismo. Ma viene da chiedersi quanto il crescente ruolo giocato dai media nelle nostre società non abbia finito con lo snaturare ancora di più una relazione che già in partenza era fin troppo suscettibile di deragliare. La pervasività e la potenza dei media sembrano aver fagocitato la stessa informazione, imponendo un ritmo e una finalità ben diversa da quella che sarebbero adeguate. La potenza dei media non poteva non allettare il potere della politica e, al contempo, non poteva essa stessa essere tentata dal trasformarsi in potere. La relazione tra media e politica, tra chi controlla i primi e chi vive della seconda, non si è però articolata in quello scontro che alcune anime candide avevano ipotizzato. E neppure ha determinato la sudditanza degli uni agli altri. Troppo forti per essere dominati, troppo deboli per dominare. Ne è emerso un compromesso non scritto, in cui ognuno cerca di trarre il suo vantaggio quando e dove può farlo. Un accordo che produce equilibri contingenti, ma duraturo nell’asservire quel cittadino che pure sarebbe il titolare ultimo del potere: una collusione permanente. L’espressione Grande Fratello a una parte crescente di giovani (e anche meno giovani, in realtà) evoca ormai un noto (e pessimo) format televisivo globale e sempre meno è associata al grande romanzo di Orwell e alla sua disperata denuncia del totalitarismo e della sua menzogna. Eppure, questa confusione è in realtà una perfetta metafora dello stato delle relazioni tra media e politica, del fatto che non sia necessario determinare un vincitore affinché la democrazia sia sotto scacco […]. Chi si aspetti rivelazioni clamorose sul rapporto tra Murdoch e Margaret Thatcher resterà probabilmente deluso. L’attuale baronessa Thatcher non fu e non potrà mai essere ridotta a una invenzione del suddito di un lontano Dominion. Ma è proprio anche grazie alle politiche thatcheriane, al mantra delle liberalizzazioni e privatizzazioni, che il potere dei tycoon dei media è cresciuto in maniera così preoccupante. Al punto da fare interrogare tutti noi sulla perdurante capacità delle istituzioni democratiche di difendere i cittadini dalle conseguenze negative sul piano politico delle gigantesche concentrazioni di ricchezza. È un tema […] su cui tutte le democrazie si giocano la loro credibilità e, in ultima analisi, il loro e il nostro futuro».
9. M. Snyder, 6 Giant Corporations Control The Media, And Americans Consume 10 Hours Of ‘Programming’ A Day, Theeconomiccollapseblog.com, 26 maggio 2016.
10. Fonti usate: Redazione La Stampa, Rivoluzione nell'impero Murdoch News Corp si divide in due società, La Stampa (web), 28 giugno 2012; Redazione Il Corriere della Sera, L'impero globale di Rupert Murdoch, Corriere della Sera (web), 31 luglio 2007; Wikipedia, News Corporation e Rupert Murdoch.
11. V. E. Parsi, Il caso Murdoch a Londra, metafora di un problema globale. Media e politica, la collusione che danneggia la democrazia, Avvenire (web), 26 aprile 2012.

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