3.4. IL CASO DELL'AFRICA
L’Africa è stato uno dei continenti più martoriati dall’imperialismo e dal colonialismo.
Ancora oggi gli interessi occidentali sono fortissimi e molti paesi sono controllati più o meno direttamente o indirettamente dall’imperialismo per mezzo di governi compiacenti o delle pressioni delle multinazionali occidentali. Anche in questo caso tale politica di dominio si concretizza in un forte controllo mediatico nel settore dell’editoria e delle telecomunicazioni, come spiega Carlos Lopes Pereira16:
Ancora oggi gli interessi occidentali sono fortissimi e molti paesi sono controllati più o meno direttamente o indirettamente dall’imperialismo per mezzo di governi compiacenti o delle pressioni delle multinazionali occidentali. Anche in questo caso tale politica di dominio si concretizza in un forte controllo mediatico nel settore dell’editoria e delle telecomunicazioni, come spiega Carlos Lopes Pereira16:
«L’imperialismo rafforza il suo potere economico sui mezzi di comunicazione di massa nell’Africa sub-sahariana, accentuando così la sua influenza ideologica su milioni di africani. Questa strategia contribuisce in Africa al consolidamento di gruppi di media legati al business in diversi settori e associati al grande capitale internazionale. Tale situazione, che aumenta la concentrazione della proprietà e sottrae indipendenza ai mezzi di comunicazione privati africani, non ha impedito ma facilitato la crescente penetrazione e l’influenza dei colossi dell’informazione, soprattutto statunitensi, a sud del Sahara. Un articolo pubblicato su Pueblos - Revista de Información y dibattito, dal giornalista e ricercatore Sebastian Ruiz, legato all’Università di Siviglia, conferma queste tendenze. Lo studio indica che l’industria mediatica sub-sahariana sta vivendo una fase “vivace” e accompagna la crescita economica del continente, dove l’accesso alle tecnologie dell’informazione continua tuttavia a essere “asimmetrico”: di paese in paese e a livello di ogni singolo paese in funzione delle esacerbate disuguaglianze sociali. Due segnali che testimoniano questo fatto: i circa 200 periodici pubblicati attualmente nella Repubblica Democratica del Congo e le centinaia di venditori ambulanti di giornali che danno forma al paesaggio urbano di Nairobi, vendendo giornali in molte lingue: dall’inglese all’arabo, passando per lo swahili. L’articolo Le fila dei media in Africa a sud del Sahara, rivela l’emergere di raggruppamenti di media nel continente e come questi, per vendere meglio notizie, film, video, dischi o riviste, stabiliscano alleanze commerciali con partner stranieri. La sudafricana Naspers, ad esempio, controlla 23 riviste (comprese le più lette della stampa rosa), sette quotidiani e il colosso televisivo DSTV. Con oltre un secolo di vita, questa multinazionale del Sudafrica – che ha attraversato il regime dell’apartheid e si è adattata ai tempi che cambiavano – vende servizi in più di 130 paesi. Tra questi è compreso il Brasile (dove è di proprietà della influente casa editrice Abril), la Cina (associata a Tencent, con servizi Internet e telefonia mobile) e la Russia (dove ha azioni della società DST, proprietaria del portale internet Mail.ru). In Kenya, la Nation Media Group (NMG), fondata mezzo secolo fa, è in Africa orientale il più grande raggruppamento ed è uno dei più grandi del continente. È presente con televisioni, radio e giornali in Kenya, Tanzania, Uganda e Rwanda. Il suo maggiore azionista è il Fondo Aga Khan per lo Sviluppo Economico, che a sua volta è parte dell’Aga Khan Development Network, con sede a Ginevra. Questa struttura ha interessi in 30 paesi in Africa, Asia e Medio Oriente, in settori che spaziano dall’ambiente al microcredito, dalla sanità all’istruzione, alla cultura. Legata, chiaramente, al leader miliardario degli sciiti ismailiti. Anche nell’Africa sub-sahariana il capitale di diversi settori economici penetra in modo palese e controlla i mezzi di comunicazione, è il caso di IPP Media Group, in Tanzania. Possiede 10 quotidiani nazionali, due delle più popolari stazioni televisive dell’Africa orientale e una dozzina di stazioni radio. Allo stesso tempo possiede Bonite Bottlers, il solo imbottigliatore di prodotti Coca-Cola nel nord della Tanzania e della marca di acqua in bottiglia Kilimanjaro, la più venduta nel paese. Invece IPP Resources dello stesso gruppo, possiede miniere d’oro, di uranio, rame, cromo e carbone. Un ultimo esempio illustra come “la globalizzazione dei media nel continente africano è in un momento di crescente dinamismo e le sue pratiche sono legate ai processi capitalistici globali”. In Nigeria, la più grande economia dell’Africa, il raggruppamento più importante è il Daar Communications PLC, uno dei pionieri della televisione satellitare, dal 1996: African Independent Televison (AIT). È stato lanciato successivamente negli Stati Uniti, Messico, Caraibi e in tutta Europa. Il suo presidente, Raymond Dokpesi, è anche a capo di un consorzio di banche guidato da Union Bank Plc, di capitale per lo più inglese. Con una tale situazione non è sorprendente che Sebastián Ruiz confermi che l’Africa “è invasa dai contenuti dei mass media e con essi dalla filosofia, dai valori e da diverse visioni del mondo, in particolare degli Stati Uniti”. Sottolinea che al centro dell’impero, cinque grandi aziende legate alle élite politiche ed economiche (Time Warner, Disney, News Corporation, Bertelsmann e Viacom), controllano il 90% dei mezzi di comunicazione. E le loro ramificazioni raggiungono tutto il mondo. Anche l’Africa».