21 Novembre 2024

7. LA REPUBBLICA POPOLARE SOCIALISTA D'ALBANIA

«Un vecchio albanese, partigiano nel PCA, incontrato per caso nei vicoli di Kruya, sentendoci parlare italiano, ci rivolse la parola. Cosa temeraria e proibita, ma eravamo lontani da occhi indiscreti e lui così vecchio non aveva più nulla da temere. Le sue parole furono illuminanti: “in Albania – ci disse – possiamo essere contenti. Il comunismo ci ha liberati da tre grandi flagelli: dallo straniero (ormai siamo liberi a casa nostra), dall’ignoranza (l’analfabetismo che era del 90% alla fine della guerra, era quasi scomparso), infine, dalla fame (visto che l’essenziale per la vita c’era per tutti, dal lavoro al cibo)».
(Michele Brondino e Yvonne Fracassetti)
L’Albania è stato un paese sottoposto per secoli alla dominazione straniera, forgiando la propria identità in opposizione allo straniero: la più lunga delle dominazioni è stata quella turco-ottomana, durata cinque secoli dal 1417 al 1912, anno in cui il paese conquista l'indipendenza. Durante la prima guerra mondiale intervengono sul territorio la Francia e l’Italia. Nel dopoguerra seguono anni d’instabilità politica che finiscono con l’occupazione dell’Italia fascista (1939-43), seguita da quella nazista che termina il 29 novembre 1944 con la vittoria della Resistenza albanese. Da questa emerge il Partito Comunista Albanese (che cambierà nome in Partito dei lavoratori albanesi su consiglio di Stalin) di Hoxha che ha guidato la Liberazione senza alcun coinvolgimento degli Alleati. Ne consegue l'assenza di direttive imposte da altri paesi per deliberare sull'assetto interno; la trasformazione dell'assetto istituzionale da monarchia a Repubblica del Popolo, con tanto di riconoscimento internazionale, avviene così senza troppi problemi. In politica estera nel luglio 1946 si stringe un accordo fra Belgrado e Tirana; in generale per il paese è naturale orientarsi verso i paesi balcanici, prospettandosi la possibilità di entrare a far parte dell’insieme delle repubbliche jugoslave guidate da Tito. La rottura di quest'ultimo con il Cominform però spinge l’Albania dalla parte dell’URSS e determina la sostituzione di tutti i tecnici jugoslavi presenti nel paese con altrettanti russi, rompendo le relazioni con la Jugoslavia. In tutte le scuole diventa obbligatorio lo studio della lingua e letteratura russa, mentre vengono interrotti i rapporti con la Chiesa cattolica albanese e la Santa Sede.
La posizione del paese favorisce il passaggio dei militanti comunisti verso la Grecia in aiuto degli insorti nella guerra civile stroncata dagli anglo-americani. Nel settembre del 1949 una speciale Commissione delle Nazioni Unite dichiara l’Albania la «principale responsabile del trattato di pace nei Balcani», e le intima di interrompere l’invio di forze e di aiuti ai ribelli. Nel dicembre 1955, ormai terminato il conflitto in Grecia, l’Albania è ammessa alle Nazioni Unite, allacciando relazioni con i vari paesi occidentali. Resta un cardine l'alleanza con Mosca che fornisce incentivi di ogni genere per lo sviluppo economico e militare. A partire dagli anni ’60 nell’ambito europeo Enver Hoxha è l’unico leader a tentare di frenare il processo chruščeviano di “destalinizzazione” che dilaga nel blocco comunista. La sua linea politica viene ricordata come la più ortodossa tra le dottrine marxiste-leniniste del XX secolo. Sia la politica interna che quella estera tendono da una parte a conservare lo status quo precedente al 1953, dall'altra a mantenersi in equilibrio tra i due blocchi, assumendo delle caratteristiche del tutto peculiari, estranee a tutti i paesi socialisti d’Occidente e più vicine invece ai paesi asiatici di orientamento socialista. Nel 1960 la Sigurimi, la polizia segreta albanese, scopre un complotto pilotato dall’Unione Sovietica e dalla Jugoslavia, volto a rovesciare il governo di Hoxha. Ne consegue un periodo di purghe con l’obiettivo di eliminare dai vertici del partito tutti i simpatizzanti filosovietici o filo-jugoslavi.
Nell’aprile del 1961 si intensificano i rapporti cino-albanesi con il conseguente avvio di una stretta cooperazione economica, riguardante specialmente i settori chimici, metallurgici, elettrici ed edilizi: soltanto nel terzo piano quinquennale albanese la Cina stanzia un aiuto di 125 milioni di dollari. In parallelo si aprono rapporti commerciali con Italia, Grecia, Svizzera, Belgio e Tunisia. È grazie alla piccola Albania che a partire dagli anni ’60 viene promossa all’Assemblea generale dell’ONU una risoluzione volta ad assegnare il legittimo seggio alla Repubblica Popolare Cinese in seno alle Nazioni Unite (infine ottenuto nel 1971), al posto di Taiwan. Nell’estate del 1967 avviene il tanto atteso incontro tra Mao Tse-tung e Enver Hoxha, organizzato segretamente (nemmeno le più alte cariche del Partito Comunsita Cinese ne erano a conoscenza), a seguito del quale la Repubblica Popolare Cinese decide di recapitare 100.000 copie del Libretto Rosso di Mao al popolo albanese come «un prezioso regalo da parte del fraterno popolo cinese». Nell’introduzione del volume è inclusa una dedica di Mao, che definisce l’Albania «un faro del socialismo in Europa» (già in precedenza, nel 1966, Mao aveva affermato che l’Albania era «l’unico Stato marxista-leninista in Europa») A seguito della Rivoluzione Culturale, la Cina entra in un periodo di totale isolamento diplomatico che sarebbe durato alcuni anni. In quel periodo l’unico alleato della Cina rimane l’Albania socialista: i due paesi raggiungono una simbiosi senza precedenti. Il 20 agosto del 1968 l’invasione sovietica della Cecoslovacchia è duramente condannata dalla Cina e semina uno stato di allarme anche in Albania.
Il maoismo influenza profondamente le scelte di politica interna: nel 1967, dopo circa vent’anni di ateizzazione profonda, Hoxha dichiara che l’Albania è il primo paese al mondo a contemplare, nella propria costituzione, l’ateismo di Stato. L’art. 55 del nuovo codice penale (1977) punisce con la reclusione da 3 a 10 anni i propagandisti religiosi di qualsiasi tipo e, ispirandosi alla politica maoista, avvia un processo di confisca di moschee, chiese, monasteri e altri luoghi di culto, trasformandoli in musei, uffici amministrativi, officine meccaniche o cinema.
L’opera di ateizzazione si fa sentire anche nella toponomastica: tutti i villaggi con i nomi dei santi sono rinominati e viene vietato alle famiglie di dare ai figli nomi religiosi, siano questi cristiani o musulmani. Un esempio concreto dell’importazione dei mezzi rivoluzionari cinesi in Albania è quello dei flete-rrufe, che analogamente ai dazibao cinesi, ricoprono l’intera lunghezza delle mura di scuole e fabbriche, con slogan volti a denunciare e attaccare la politica occidentale e i traditori. Le influenze della Rivoluzione Culturale si fanno sentire anche nelle politiche per la parità dei sessi. Le donne, da sempre in posizione marginale nella società albanese (soprattutto nelle regioni settentrionali), ottengono finalmente posto nella vita politica e sociale del paese. In realtà già a partire dalla seconda guerra mondiale i comunisti albanesi danno grande spazio alle donne, ammesse tra le fila dei partigiani e ora fortemente incoraggiate a prendere parte a tutti i lavori, dalle operaie alle funzionarie. Anche i corpi d’armata mutano radicalmente e l'esercito, adattandosi alla logica maoista della “guerra del popolo”, abolisce i gradi e le gerarchie militari. A partire dal 1970 inizia il lento declino delle relazioni tra Pechino e Tirana. Le prime avvisaglie del cambiamento delle relazioni fra i due paesi si palesano nell’estate del 1968 quando la Cina suggerisce all’Albania di stringere un’alleanza militare con la Romania di Ceaușescu e la Jugoslavia di Tito, lasciando perplesso un Hoxha che non prende minimamente in considerazione il consiglio di taglio geo-politico. È proprio con l’inizio dei rapporti tra la Cina e la Romania (in seguito anche con la Jugoslavia), che l’Albania inizia a prendere le distanze dalla politica estera cinese. Quando agli inizi degli anni ‘70 la Cina termina il suo periodo di isolamento, Mao e il suo entourage rinegoziano e ricalcolano il loro interesse nei confronti della piccola Albania. Il collasso profondo dei rapporti è causato dalla cosiddetta «diplomazia del ping-pong», il processo di riavvicinamento tra Cina e USA. La Rivoluzione Culturale ha lasciato Hoxha riluttante ed incerto. I rapporti sino-albanesi sono ormai irrimediabilmente compromessi e con essi la cooperazione economica tra i due paesi, che termina completamente nel 1978. Le elezioni albanesi del 1974 stabiliscono un netto cambiamento nella politica interna del paese con la caduta dei filo-cinesi e la destituzione di alcuni ministri.
A partire dal 1976 l’Albania diventa sostanzialmente autosufficiente, sebbene permangano numerose lacune e arretratezze tecnologiche. In quest'anno è promulgata la nuova Costituzione che proclama il paese una Repubblica Popolare Socialista dove viene esercitata la «dittatura del proletariato»; si vieta qualsiasi forma di proprietà privata; si appoggia l’ateismo e ci si oppone all’imperialismo. L’obiettivo dell’Albania socialista è quello di sganciarsi e rendersi sempre più indipendente dalla Cina, improvvisando relazioni diplomatiche e culturali con l’Europa occidentale. Sono avviati negoziati con la Francia, l’Italia e i neo-indipendenti Stati asiatici e africani. Nel 1971 per la prima volta l’Albania normalizza le relazioni con la Jugoslavia e la Grecia. I tentativi di apertura all’Occidente non arrivano però al punto da partecipare alla Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione europea di Helsinki del 1975, momento di distensione tra i blocchi socialisti e capitalisti. Nel 1976, a seguito della morte di Mao, Hoxha si scaglia contro la nuova leadership cinese e le sue politiche di apertura al mercato. Alla fine degli anni '70 l’Albania si trova ad essere sola, isolata e senza nessun alleato su cui fare affidamento. Inizia così l’ultima fase del periodo socialista che vede il paese occultato dallo scenario internazionale fino alla fine del regime negli anni ’90. Si ristabiliscono i rapporti con la Francia e nel 1985 con la Gran Bretagna, nel 1986 con la Spagna, nel 1987 con la RFT. Nel 1985, dopo la morte di Enver Hoxha, assume il potere R. Alia, che inizia un processo di ammorbidimento della politica interna, limitando le pene capitali, non condannando più i reati per propaganda religiosa e liberalizzando il rilascio dei passaporti. Nel novembre 1990 è varata una nuova legge elettorale: il voto diventa segreto ed è possibile presentare candidati esterni al Partito dei Lavoratori Albanesi. Fioriscono i partiti di opposizione come il Democratico, il Repubblicano e l’Ecologista. Nelle elezioni del 1991 però, nonostante buoni piazzamenti del Partito Democratico, la vittoria va ancora ai comunisti e Alia rimane capo dello Stato. La controrivoluzione è ormai però galoppante e il nuovo governo promuove la privatizzazione e la liberalizzazione in ampi settori dell’industria: ciò provoca un immediato aumento della disoccupazione, dovuta al licenziamento del personale in esubero. Manifestazioni di piazza, scioperi e disordini portano alla costituzione di un governo di solidarietà nazionale comprendente anche il Partito Democratico, in attesa della ripetizione delle elezioni che si svolgono nel marzo 1992 e che danno la vittoria al Partito Democratico. Alia si dimette ed il capo del partito vincente, S. Berisha, è eletto Presidente della Repubblica, mentre il governo di coalizione democratica è presieduto da A. Meksi, che elimina completamente ogni traccia di comunismo, epurando dai vari incarichi tutti gli ex dirigenti, incarcerandone i più rappresentativi sotto l’accusa di corruzione ed appropriazione indebita. Nel settembre 1995 Berisha ratifica la “legge sul genocidio” per la quale vengono proibite fino al 2002 tutte le cariche pubbliche a coloro che si erano macchiati di crimini verso l’umanità nel periodo comunista. Il nuovo presidente continua l’opera di liberalizzazione del commercio estero con l’ausilio del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, facendo precipitare la situazione economica interna: nonostante gli aiuti dei paesi europei si verifica un continuo esodo di massa, specialmente verso l’Italia. Le elezioni del 1996 sono rivinte dal Partito Democratico, ma con accuse di irregolarità e di brogli. La situazione del paese peggiora: all’inizio del 1997 molte società finanziarie falliscono e tutti coloro che vi avevano investito i capitali inscenano una manifestazione antigovernativa talmente forte che Berisha deve ricorrere alla mediazione del governo italiano per ristabilire l’ordine. Nessuna manovra politica sembra frenare la disgregazione dello Stato, tanto che le Nazioni Unite sono costrette ad inviare sul posto una forza di protezione sotto comando italiano per stabilizzare la situazione e i flussi migratori. Nelle nuove elezioni che si svolgono lo stesso anno va al potere il Partito Socialista, il cui leader Nano diventa il capo dell’esecutivo; il nuovo presidente è R. Mejdani, al posto del dimissionario Berisha. I loro compiti si dimostrano estremamente difficili: bisogna risanare l’economia nazionale rimborsando ai cittadini le perdite subìte nei fallimenti delle finanziarie; combattere contro la mafia che nel frattempo si è ricostituita; confiscare le armi che i rivoltosi hanno sottratto nelle caserme e nei depositi militari e ripristinare la legge a tutti i livelli. Il paese nel marzo-giugno 1999, a seguito dell'aggressione della Nato alla Jugoslavia, si trova a fronteggiare l’entrata nel suo territorio di migliaia di profughi kosovari, ma anche l’emigrazione clandestina verso le coste pugliesi dell’Italia. Nello stesso tempo diventa il principale centro di raccolta per gli aiuti umanitari destinati al Kosovo, cosa che incentiva una già ampia situazione di illegalità che a tutt’oggi costituisce il problema prioritario della società albanese.70
70. L'autore del capitolo è Rolando Dubini, che ha usato come fonti: Albania, Miraggi.it; L. Manca, 1961-1978, l’«eterna amicizia» sino-albanese, Lavocedellaquila.com, 30 maggio 2017; M. Brondino & Y. Fracassetti, L’Albania di Hoxha: una offesa insanabile?, Margutte.com, 31 maggio 2016; G. Armilotta, La politica estera di Enver Hoxha (1944-1985), Informazioni della Difesa, 2012; History of Albania, Motherearthtravel.com.

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