5.2.03. LE DEMOCRAZIE POPOLARI DELL'EUROPA ORIENTALE
«I nuovi regimi degli anni '40, benché in Europa fossero stati tutti resi possibili dalla vittoria dell'Armata rossa, solo in quattro casi erano stati imposti esclusivamente dalle forze dell'esercito sovietico: in Polonia; nella parte occupata della Germania; in Romania (dove il movimento comunista locale, nella migliore delle ipotesi, annoverava poche centinaia di persone, la maggior parte delle quali non era neppure etnicamente romena) e, in sostanza, in Ungheria. In Jugoslavia e in Albania il regime comunista aveva radici interne; in Cecoslovacchia il Partito comunista disponeva in quegli anni di una forza autentica, come dimostrò il 40% dei voti raccolto nelle elezioni del 1947; in Bulgaria l'influenza dei comunisti era rafforzata dal sentimento russofilo così universalmente diffuso in quel paese. […] Tuttavia, perfino negli stati dove il potere comunista era imposto solo dall'Armata rossa, i nuovi regimi godettero inizialmente di una temporanea legittimazione e, per un certo tempo, di un autentico sostegno popolare». (Eric Hobsbawm)1Si è parlato spesso di “imperialismo” per definire l'atteggiamento dell'URSS nei confronti dei “paesi-satellite” dell'Est Europa. Queste definizioni, affibbiate da storici borghesi spesso finanziati dalla CIA, rientrano nella logica di screditare l'URSS come capofila del blocco socialista. Certamente si struttura, tramite il Comecon, il tentativo di rendersi pressoché indipendenti dall'imperialismo occidentale anche dal punto di vista economico. Basti pensare che a metà anni Sessanta la percentuale del commercio estero dei paesi dell'Europa orientale, Romania esclusa (che già nel 1967 è il primo paese est-europeo a stabilire rapporti diplomatici con la Germania Ovest, facendo infuriare la leadership della DDR), con l'URSS e gli altri membri del Comecon raggiunge quasi il 70%, riguardando soprattutto la fornitura di beni economici fondamentali (in particolare l'energia). In realtà questa cooperazione va maggiormente a vantaggio dello stesso Est Europa: a metà degli anni '70 Mosca vende il proprio petrolio all'Occidente a 17-18 dollari al barile, mentre solo a 3 dollari alla Polonia, la quale viene notevolmente aiutata anche negli anni a venire: nel triennio 1980-82 l'URSS fornisce a Varsavia circa tre miliardi di dollari, nonostante i consumi medi polacchi siano superiori a quelli sovietici e nonostante in quel periodo l'industria polacca utilizzi solo il 60% del proprio potenziale.2 Per quanto riguarda l'aspetto militare, tutti gli interventi dell'Armata Rossa interni all'Europa dell'Est sono stati concordati con gli stessi paesi membri del Patto di Varsavia e su richiesta interna dei partiti comunisti locali (o almeno della loro parte interna marxista-leninista, ritrovatasi momentaneamente in minoranza politica interna per l'ascesa di revisionisti). Su questi aspetti, che riguardano soprattutto il '56 di Budapest, il '68 di Praga e le crisi polacche, rimandiamo agli specifici approfondimenti forniti nel capitolo. In generale preme la necessità di smontare categoricamente il luogo comune per il quale Mosca controlli a colpi di bacchetta i regimi dell'Est Europa, i quali invece mantengono ampi margini di autonomia e indipendenza, con un'unica eccezione resa inammissibile: il tradimento del socialismo e il ritorno al capitalismo fomentato dalla controrivoluzione.
È questo il senso della “dottrina Brežnev” enunciato nell'autunno del 1968:
«Il diritto dei paesi socialisti e dei loro partiti a scegliere le loro vie di sviluppo non era contestato. Ma, si aggiungeva, le loro decisioni non dovevano essere contrarie al socialismo all'interno del paese o ai fondamentali interessi degli altri stati che formavano la comunità socialista. La sovranità di ogni suo singolo appartenente era quindi limitata dagli interessi del socialismo e da quelli del movimento rivoluzionario internazionale. […] Ogni partito comunista era quindi libero di applicare i principi del socialismo nel suo paese, ma non di deviare da essi. L'Unione Sovietica, in quanto cuore della comunità, aveva perciò non solo il diritto ma anche il dovere di prendere ogni misura necessaria a neutralizzare una tale minaccia, inclusa l'opzione estrema di un intervento militare, anche se essa fu già nel 1968, e rimase sempre in seguito, la meno gradita».3Occorre segnalare che in tutti paesi dell'Est Europa in cui c'è stato il socialismo, le percentuali di chi lo rimpiange sono consistenti e in molti casi maggioritarie.4 Bollare la questione come semplice “ostalgia” è ridicolo e limitante per capire un fenomeno assai diverso: le classi lavoratrici e gli oppressi di quei paesi hanno capito, con il tempo, quanto sia duro il regno dell'imperialismo, constatando che le condizioni di vita (non solo da un punto di vista materiale, ma “spirituale”, inteso in senso di benessere psicologico) fossero migliori al tempo del socialismo. Lungi dal voler fare un elogio acritico delle Repubbliche popolari, occorre affrontare anche il tema del diffuso malcontento sociale in esse presenti. L'imposizione sostanziale della dittatura del proletariato guidata da partiti comunisti dagli anni '50 tende ad eliminare il dissenso politico anti-socialista, il che crea disagio soprattutto nelle classi sociali più colpite dalle nuove misure economiche. Ci sono però diversi fattori con cui spiegare il progressivo venir meno del sostegno politico ai nuovi regimi in sempre più ampie fasce della popolazione e in diversi paesi. Li sintetizza bene Losurdo:
«Per comprendere il restringimento, talvolta drammatico, della base sociale di consenso dei gruppi dirigenti scaturiti da grandi rivoluzioni, occorre tener presenti due fattori:
1. Il ruolo dei nemici. Facciamo un esempio desunto dai giorni nostri.
a) Non c’è dubbio che l’embargo e il blocco imposti a Cuba qualche risultato l’hanno conseguito: le difficoltà raddoppiate che incontra lo sviluppo dell’economia socialista creano inevitabilmente fasce di malcontento, tanto più che a soffiare sul fuoco c’è il potente apparato multimediale dell’imperialismo.
b) Qualche risultato ha conseguito anche il terrorismo anti cubano alimentato da Washington e da Miami. Le misure di difesa comportano inevitabilmente un indurimento della repressione, e questa diventa l’occasione per l’ideologia dominante […] per gridare allo scandalo, per denunciare la “degenerazione” burocratica, autoritaria ecc.
2. Ovviamente non bisogna mai perdere di vista gli errori dei gruppi dirigenti.
a) Talvolta questi errori sono in effetti il burocratismo, l’autoritarismo, la confusione tra contraddizioni in seno al popolo e contraddizioni antagonistiche, il “marxismo” volgare che liquida come puramente “formali” i diritti umani.
b) Talaltra gli errori sono di natura opposta: l’incapacità di far funzionare il sistema produttivo e di combattere l’anarchismo e il parassitismo sul luogo di lavoro».5
1. E. Hobsbawm, Il secolo breve, cit., p. 463.
2. A. Graziosi, L'URSS dal trionfo al degrado, cit., pp. 341, 343, 410, 467
3. Ivi, p. 357.
4. Redazione Reuters, Nell'Europa dell'est cresce la nostalgia del comunismo, Reuters.com, 9 novembre 2009.
5. D. Losurdo, Il forum incontra Domenico Losurdo, Socialismoxxi.forumcommunity.net, 19 maggio 2009.