19.1. LA NECESSITÀ DI AGGIORNARE IL PARADIGMA IMPERIALISTA
La cosa certa è che l'applicazione meccanica del paradigma imperialista – così come formulato da Lenin – alla Cina, non sia accettabile. Quando Lenin ha scritto L'imperialismo non esistevano Stati socialisti, né tantomeno si potevano immaginare le problematiche che si sarebbe trovato ad affrontare il movimento operaio. Lenin non poteva sapere quali sarebbero stati i problemi di un neonato Stato socialista costretto ad ergersi in un clima internazionale ostile, né poteva immaginare di conseguenza quanta importanza avrebbe assunto la questione della cooperazione economica e commerciale su scala internazionale. Lenin descriveva gli Stati capitalisti e non poteva certamente immaginare la storia tortuosa che avrebbe caratterizzato il XX secolo. Applicazioni meccanicistiche e dogmatiche del paradigma leninista sono state applicate frequentemente in passato, ad esempio accusando l'URSS di essere un paese imperialista, proprio a causa del primato avuto nell'ambito del COMECON, trascurando e omettendo di dire invece che l'URSS ci abbia costantemente rimesso economicamente in tali partnership. La Cina, abbandonando (tatticamente e temporaneamente?) l'internazionalismo proletario, non si propone di sostenere i paesi socialisti e le organizzazioni comuniste del mondo. La Cina porta avanti una politica tesa a normalizzare le relazioni commerciali internazionali, fondata sul rispetto reciproco degli Stati sovrani di tutto il mondo, sul rifiuto di espansioni territoriali e militari, evitando di interferire in qualsiasi maniera nelle vicende interne di qualsivoglia singolo Stato, rigettando così esplicitamente la logica della destabilizzazione tanto cara alla CIA. Si può considerare questo atteggiamento imperialista, slegandolo dalla progettualità politica che sta dietro questo piano? Si può inoltre tralasciare il fatto che nonostante un'indubbia crescita di potere economico della borghesia cinese, il potere politico resti per ora saldamente nelle mani del Partito Comunista? L'opinione di chi scrive è che non si possano trascurare tali fattori. Il paradigma leninista dell'imperialismo è uno dei più importanti contributi analitici del XX secolo, non solo nell'ambito del marxismo, ma la sua validità va ancorata ai paesi capitalisti. Non può invece essere applicato ai paesi socialisti, salvo rare casistiche di degenerazione. È vero che la Cina non è un paese socialista in senso formale, non avendo costruito ancora il socialismo, ma questi sono sofismi: la sostanza è che non si possa applicare la categoria di imperialismo per un paese controllato da un Partito Comunista che sta strutturando una precisa strategia di sviluppo delle proprie forze produttive e di crescita di peso del campo socialista nelle relazioni internazionali. Anche in questo caso i fatti hanno la testa più dura delle parole. La realtà storica e attuale ci dice che il ruolo giocato dalla Cina nel mondo post-sovietico sia estremamente progressista. Il rischio di una degenerazione in senso imperialista c'è e ci sarà sempre, nell'impossibilità di cristallizzare un regime politico, ma allo stadio attuale questa degenerazione non si è manifestata. Occorrerebbe usare i piedi di piombo anche quando si applica la categoria di imperialismo nei confronti di altri paesi non socialisti ma progressisti (come ad esempio il Brasile di Lula e Rousseff, o il Sudafrica): in questi casi il rischio di degenerazione e corruzione ideologica è certamente più elevato, dato che il potere politico non è nelle mani dell'avanguardia dei lavoratori, ma di elementi ideologicamente deboli e non pienamente coscienti politicamente, non marxisti-leninisti insomma. È altresì rischioso sottovalutare la questione strategica fondamentale dello sviluppo delle forze produttive per i paesi in via di sviluppo, così come fare un uso indiscriminato della categoria di imperialismo da applicare a qualsiasi Stato che non rispetti lo status di appartenenza al modello sovietico.
Il nodo fondamentale di questo percorso è che la formazione e il rafforzamento di un mondo multipolare siano fatti positivi che consentono di ridurre la capacità di azione criminale e destabilizzatrice dell'imperialismo occidentale. La constatazione poi che i BRICS non siano il nuovo COMECON è un'evidenza che non deve essere sottovalutata ma neanche enfatizzata eccessivamente, parlando come fanno alcuni di «contrapposizione tra blocchi imperialisti». Le contraddizioni esistono e sono palesi, ma il processo va interpretato in senso dialettico e non dogmatico. Il rischio è di scadere in una retorica deteriore astratta dalla realtà e tipica delle “anime belle” incapaci di cogliere i fattori di progresso insiti in questa nuova situazione internazionale. Attaccare i BRICS significa anzi fare il gioco dell'imperialismo occidentale ed in primo luogo degli USA, non a caso impegnati attivamente per evitare che al peso economico sempre più crescente acquisito dai paesi in via di sviluppo consegua una parallela crescita del potere politico. La necessità di abbandonare un'applicazione dogmatica e “idealista” del marxismo-leninismo si collega alla necessità di saper cogliere la progressività anche in processi estremamente contraddittori, in ossequio ad una corretta padronanza del materialismo dialettico e storico e ad una conseguente visione della lotta di classe su scala internazionale, da non confondersi con la mera geo-politica borghese. Una necessità stringente in tal senso sarebbe la ricomposizione di un'Internazionale Comunista fondata sul recupero critico (“critico” nella misura qui presentata) del marxismo-leninismo e su un serio coordinamento delle organizzazioni comuniste, al fine di aiutarle a correggere anche le diffuse istanze degenerative conseguenti ancora in buona misura (ma non esclusivamente) alla “destalinizzazione” del 1956. Nell'attesa che le organizzazioni comuniste capiscano l'urgenza di un coordinamento stabile permanente dotati di poteri ampi, sarebbe un utile passo avanti procedere al rafforzamento del progetto “Solidnet”, giungendo alla costruzione di un coordinamento editoriale che abbia il compito di elaborare un periodico cartaceo diffuso in tutte le lingue del mondo, al fine di favorire il recupero di una dimensione culturale comune su scala intercontinentale.
Il nodo fondamentale di questo percorso è che la formazione e il rafforzamento di un mondo multipolare siano fatti positivi che consentono di ridurre la capacità di azione criminale e destabilizzatrice dell'imperialismo occidentale. La constatazione poi che i BRICS non siano il nuovo COMECON è un'evidenza che non deve essere sottovalutata ma neanche enfatizzata eccessivamente, parlando come fanno alcuni di «contrapposizione tra blocchi imperialisti». Le contraddizioni esistono e sono palesi, ma il processo va interpretato in senso dialettico e non dogmatico. Il rischio è di scadere in una retorica deteriore astratta dalla realtà e tipica delle “anime belle” incapaci di cogliere i fattori di progresso insiti in questa nuova situazione internazionale. Attaccare i BRICS significa anzi fare il gioco dell'imperialismo occidentale ed in primo luogo degli USA, non a caso impegnati attivamente per evitare che al peso economico sempre più crescente acquisito dai paesi in via di sviluppo consegua una parallela crescita del potere politico. La necessità di abbandonare un'applicazione dogmatica e “idealista” del marxismo-leninismo si collega alla necessità di saper cogliere la progressività anche in processi estremamente contraddittori, in ossequio ad una corretta padronanza del materialismo dialettico e storico e ad una conseguente visione della lotta di classe su scala internazionale, da non confondersi con la mera geo-politica borghese. Una necessità stringente in tal senso sarebbe la ricomposizione di un'Internazionale Comunista fondata sul recupero critico (“critico” nella misura qui presentata) del marxismo-leninismo e su un serio coordinamento delle organizzazioni comuniste, al fine di aiutarle a correggere anche le diffuse istanze degenerative conseguenti ancora in buona misura (ma non esclusivamente) alla “destalinizzazione” del 1956. Nell'attesa che le organizzazioni comuniste capiscano l'urgenza di un coordinamento stabile permanente dotati di poteri ampi, sarebbe un utile passo avanti procedere al rafforzamento del progetto “Solidnet”, giungendo alla costruzione di un coordinamento editoriale che abbia il compito di elaborare un periodico cartaceo diffuso in tutte le lingue del mondo, al fine di favorire il recupero di una dimensione culturale comune su scala intercontinentale.