10.3. IL FENOMENO DELL'OBSOLESCENZA PROGRAMMATA
Baran nelle righe precedenti ha fatto accenno al fenomeno dell’obsolescenza programmata. È utile approfondire l’argomento a partire da alcune domande semplici: vi siete mai chiesti perché certi giocattoli si rompono subito? Perché è così faticoso trovare pezzi di ricambio per un elettrodomestico? Perché il computer che avete in casa dopo pochi mesi è già diventato un pezzo da museo? La risposta si trova appunto nel concetto dell’obsolescenza programmata. Significa che vi sono prodotti che vengono progettati e costruiti per durare poco, rompersi in fretta ed essere così continuamente sostituiti. Il ragionamento è impietoso ma chiaro: il sistema capitalista che regola la nostra società si sostiene solo se si continua a “consumare” senza sosta e per avere la certezza che ciò avvenga occorre creare il “bisogno”, la “necessità”. Quindi, cosa c’è di più efficace del mettere a disposizione dei consumatori oggetti pensati e realizzati per durare poco, in modo che vengano costantemente ricomprati? In termini tecnici l’obsolescenza programmata è la definizione dei sistemi produttivi che includono nei loro progetti caratteristiche tali da rendere non più funzionante o obsoleto un prodotto nei tempi che l’azienda stessa ritiene giusti per provocare un nuovo acquisto dello stesso bene di consumo. Naturalmente questo principio tende a funzionare meglio quando il produttore ha un oligopolio del prodotto. Lo scopo dunque è quello di non trovarsi alla saturazione di un mercato, costringendo le aziende alla riduzione della loro produzione, ma, al contrario, di fare in modo che la domanda dei prodotti si rinnovi periodicamente in modo da creare un flusso continuo (e magari in crescita) della richiesta di un bene. Ci sono molte prove a testimonianza che questo sistema è stato applicato in molti settori produttivi e da molte aziende. L’azione di programmazione dell’obsolescenza si può realizzare in due modi: mettendo in commercio prodotti di scarsa qualità, per cui il guasto si manifesterà nei tempi voluti e molto facilmente, oppure con la frequente produzione di nuovi modelli dello stesso bene di consumo, sollecitando, tramite campagne di marketing, il desiderio da parte dei consumatori di impossessarsi del nuovo decantato modello. Nel 1924 il cartello mondiale dei produttori di lampadine, Phoebus, decide di ridurre la durata della vita dei bulbi a incandescenza da 2.500 a 1.000 ore. Il primo esempio di obsolescenza programmata garantisce ai produttori un evidente beneficio economico, grazie alle vendite che in breve tempo raddoppiano, a cui si contrappone però un maggiore impatto ambientale per la duplicazione dell’uso delle risorse naturali e della quantità di rifiuti prodotti. Sono gli anni in cui la produzione di massa inizia a immettere nel mercato grandi quantità di prodotti che i cittadini, embrione dell’attuale società dei consumi, iniziano ad acquistare più per piacere che per reale bisogno. Nel 1928 un articolo su una rivista per pubblicitari interpreta i prodotti di qualità che non si logorano come una tragedia per il business, perché non in grado di garantire la continuità delle vendite. L’inquietante allarme trova in breve conferma, nella realtà e nella finzione. Sono gli anni ‘40 e la Dupont inventa una fibra resistentissima, il nylon, materiale di base per collant che si dimostrano però essere troppo robusti, tanto da costringere il colosso chimico ad assegnare a un gruppo di ingegneri il compito di ridurne la resistenza e quindi la vita utile. Nel 1951 il film Lo scandalo del vestito bianco, narra la storia dell’inventore di una fibra irresistibile, troppo simile alla vicenda del nylon per apparire casuale, costretto a rinunciare alla propria rivoluzionaria scoperta di fronte alle minacce dei produttori e dei lavoratori dell’industria tessile. Nel 2003 la Apple ha perso una causa svolta come “class action” in USA perché la batteria del suo iPad era programmata per durare 18 mesi, poi si guastava e non era sostituibile. Tuttora comunque un iPhone, come un iPad, un Apple Watch e un televisore della ditta, non durano più di tre anni. Con i Mac questo tempo di “resistenza” sale a quattro anni. Molti elettrodomestici o apparati elettronici sono assemblati in modo tale che l’utilizzatore non sia in grado di aprirli per tentarne una riparazione. In alcuni casi vengono usate viti che richiedono uno speciale strumento al posto del normale cacciavite, altre volte gli involucri sono assemblati ad incastro, quindi senza alcuna vite (cosa molto comoda per la produzione che è pure più rapida) e che dunque non sono apribili se non rompendo l’involucro di plastica. La motivazione ufficiale spesso usata è “il bene del consumatore”, ovvero per protezione da eventuali rischi cui potrebbe incorrere tentandone personalmente la riparazione. La logica dell’obsolescenza programmata era già argomento di grande discussione nel ‘29, quando Brendon London negli USA proponeva di renderla obbligatoria per legge, con l’intento di alimentare la ripresa dell’economia attraverso questo meccanismo di forzato sostegno dei consumi. La proposta non ebbe successo, ma si gettavano le basi per introdurre un sistema indiretto e più raffinato per rendere obsolescenti i prodotti, agendo sui bisogni del consumatore. Il designer Brooks Stevens, negli anni Cinquanta, propagandava la propria strategia basata su un consumatore interessato a possedere «un oggetto più nuovo e prima di quanto fosse realmente necessario» e di fatto i volubili desideri dei consumatori iniziano a diventare il meccanismo più semplice per rendere obsolescenti i beni. Quando l’Europa cercava di distinguersi con prodotti caratterizzati da resistenza e durata, Brooks pensava a realizzare beni sempre più attraenti in grado di favorire la sostituzione di quelli acquistati in precedenza. L’opposto di quanto sarebbe accaduto nella Germania dell’est socialista qualche decina d’anni più tardi, dove i frigoriferi dovevano garantire per legge una durata di 25 anni. Ma le lampade a lunga durata prodotte dalla Narva di Berlino o l’industrializzazione di modelli innovativi che promettono una vita utile perfino di 100.000 ore continuavano a non trovare spazio nel mercato occidentale. Anzi, la logica dell’usa e getta diventa sempre più pervasiva, come dimostra l’esperienza di Marcos, un giovane di Barcellona la cui stampante ha smesso di punto in bianco di funzionare, con la sola spiegazione di un generico messaggio “rivolgersi all’assistenza”. Quando il ragazzo catalano si rivolge ai centri di assistenza la risposta che riceve è la medesima: “costa troppo ripararla, le conviene comprarne una nuova”. La maggior parte di noi davanti a una simile prospettiva si arrende all’evidenza e opta per acquistare una nuova stampante, ma Marcos vive la vicenda come una sfida personale. Inizia così a cercare in internet chi abbia vissuto esperienze simili e a frequentare forum specialistici sull’argomento. Alla fine scopre che la stampante ha un contatore di copie, teoricamente introdotto dal produttore per garantire la massima qualità di stampa fino all’ultima copia, che a quota 18.000 stampe blocca la macchina, rendendola di fatto inutilizzabile. La soluzione arriva alla fine da un ragazzo russo, che trasferisce a Marcos un software libero, in grado di azzerare il contatore delle pagine. E la stampante riprende a funzionare come se nulla fosse. Ridurre la vita utile dei beni ha alimentato il mercato prima della crisi. È però evidente che, in un mondo in cui le risorse naturali sono un indiscusso fattore limitante e la popolazione mondiale è destinata a raggiungere i 10 miliardi, pensare di uscire dalla crisi solo incrementando i consumi è miope oltre che non sostenibile. L’unica risposta possibile per eliminare questa assurdità dell’obsolescenza programmata è rimettere sotto controllo popolare e di enti pubblici la produzione industriale, facendo sì che l’economia sia al servizio dell’umanità e del pianeta, e non viceversa. Un po’ come si faceva nella DDR e nei paesi del socialismo reale insomma...129
129. Fonti usate: D. Pernigotti, Una società dei consumi a “obsolescenza programmata”, La Stampa (web), 13 giugno 2013; GeoMath, Obsolescenza programmata: lampadine, tecnologia e consumismo, Forum Nibiru2012, Nibiru2012.it, dicembre 2013; F. Balocco, Obsolescenza programmata, cos’è e perché è ora di una legge anche in Italia, Il Fatto Quotidiano (web), 20 gennaio 2017; Redazione Nonsprecare.it, Obsolescenza programmata, un iPhone non dura più di tre anni. Eppure costa tanto…, Nonsprecare.it, 18 aprile 2016; Wikipedia, Obsolescenza programmata.