10.2. L'IRRAZIONALITÀ SOCIALE DELLE PUBBLICITÀ
«Le persone si riconoscono nelle loro merci; trovano la loro anima nella loro automobile, nel giradischi ad alta fedeltà, nella casa a due piani, nell’attrezzatura della cucina. Lo stesso meccanismo che lega l’individuo alla sua società è mutato, e il controllo sociale è radicato nei nuovi bisogni che esso ha prodotto». (Herbert Marcuse)125
Nel 2015 la spesa pubblicitaria globale si è attestata circa sui 545 miliardi di dollari126. Una cifra tanto spaventosa quanto irrazionale. Occorre ricordare che questa spesa, che contribuisce a determinare l’onnipresenza della pubblicità in ogni aspetto della vita quotidiana, con il conseguente bombardamento costante dell’idea che qualsiasi cosa possa e debba diventare una merce, viene di fatto finanziato dal consumatore con l’aumento del prezzo del prodotto: la pubblicità «è la prima imposta diretta» e costituisce secondo Yves Frémion una vera e propria arma di distruzione di massa che «uccide ogni attività intellettuale e cittadina lasciando vivere nell’individuo i soli riflessi del consumo, come i cani di Pavlov. Dubbio, pensiero, interesse pubblico, senso collettivo e solidarietà, tutto viene spazzato via in quanto ostacolo al pensiero unico: acquistare».127 L’economista marxista Paul Baran128 ha tracciato un’analisi accurata del fenomeno pubblicitario, mostrandone più di tutti la profonda natura di classe: in condizioni di oligopolio, infatti, la concorrenza può essere esercitata sulla qualità dei prodotti e sul loro prezzo, ma si tende a privilegiare la pubblicità e altri aspetti come l’obsolescenza programmata fisica e/o morale. In tal senso «il secolare aumento delle spese pubblicitarie è un sintomo del secolare... declino della concorrenza nei prezzi». Già negli anni ‘60 negli USA si spendeva circa il 4% del reddito nazionale in pubblicità: uno spreco di risorse che si sarebbe potuto utilizzare per favorire la piena occupazione. Baran chiude il cerchio così:
«i difensori della pubblicità sostengono che, stimolando i consumi e gli investimenti, essa svolge un ruolo indispensabile nel funzionamento dell’economia capitalistica. In base all’esperienza americana, questo argomento ci sembra valido. È quasi certo che la cronica sottoutilizzazione delle risorse che ha afflitto gli Stati Uniti per più di una generazione sarebbe ora molto più grave se non fosse intervenuto, nel frattempo, lo spettacoloso sviluppo della pubblicità. Se questa affermazione è corretta, ne consegue che i tentativi di abolire o di ridurre la pubblicità potrebbero avere conseguenze gravemente dannose, se non fossero accompagnati da una pianificazione vasta ed efficace in vista del conseguimento di un’occupazione piena e socialmente desiderabile. Questo è un punto che i critici della pubblicità trascurano regolarmente e a cui bisognerebbe certamente dare gran peso nella elaborazione di una nuova politica per la pubblicità».Altro effetto deleterio della dipendenza pubblicitaria dei mezzi di comunicazione di massa:
«gli utenti pubblicitari, che cercano naturalmente di raggiungere il più vasto pubblico possibile, si preoccupano di evitare di inimicarsi ogni potenziale cliente e perciò preferiscono che i mezzi di comunicazione seguano una linea conservatrice e non polemica nella loro politica editoriale o di programmazione».Per quanto riguarda la sfera valoriale, per Baran:
«il danno più grave della pubblicità sta proprio nel fatto che essa mette continuamente in mostra la prostituzione di uomini e donne che prestano la loro intelligenza, la loro voce e la loro abilità artistica a scopi in cui non credono, e nel fatto che essa insegna la fondamentale mancanza di significato di tutte le creazioni della mente: parole, immagini e idee. Il vero pericolo della pubblicità è che essa contribuisce a minare, e infine a distruggere, i nostri beni non materiali più preziosi: la fiducia nell’esistenza di scopi significativi dell’attività umana e il rispetto dell’integrità dell’uomo».
125. H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1967 [1° edizione originale 1964], p. 23.
126. Redazione Youmark!, La spesa pubblicitaria mondiale crescerà del 5% nel 2015 e del 6% nel 2016 spinta da mobile advertising, social media e programmatic buying. Lo dice l’Advertising Expenditure Forecasts di ZenithOptimedia Worldwide, Youmark!, 9 dicembre 2014.
127. Y. Frémion, La pubblicità è più efficace delle bombe: i crimini pubblicitari nella guerra moderna, all'interno di A.V., Il libro nero del capitalismo, Marco Tropea Editore, Milano 1999, pp. 524, 534.
128. P. A. Baran, Saggi Marxisti, Einaudi, Torino 1976, cap. Tesi sulla pubblicità, pp. 225-238.