21 Novembre 2024

5.06 LA LEGGENDA DI HO CHI MINH

Alcune brevi citazioni per introdurre il mito di Ho Chi Minh (Hoang Tru, 19 maggio 1890 – Hanoi, 2 settembre 1969):
«Piuttosto morire / che vivere servi!»56
«Al principio, il patriottismo e non il comunismo mi condussero ad aver fiducia in Lenin e nella Terza Internazionale. Passo dopo passo, attraverso la lotta, studiando il marxismo-leninismo partecipando alle attività pratiche, gradualmente giunsi alla conclusione che solo il socialismo e il comunismo potevano liberare le nazioni oppresse dalla schiavitù».57
«Ricordate che la tempesta è una buona opportunità per il pino e il cipresso per mostrare la loro forza e la loro stabilità».58
«Gli antichi si dilettavano / a cantar la natura: / fiumi, montagne, nebbia, / fiori, neve, vento, luna. / Bisogna armare d'acciaio / i canti del nostro tempo. / Anche i poeti / imparino a combattere!»59
Rivolto a Henry Kissinger: «Potete uccidere dieci miei uomini per ognuno dei vostri che io uccido. Ma anche così, voi perderete e io vincerò».60

Qui invece un ricordo affettuoso di Võ Nguyên Giáp:
«Quando ritornavamo in servizio dopo una missione, rivedendo lo zio Ho Chi Minh, avevamo la sensazione di rientrare a casa da un padre che sapeva tutto ciò che la rivoluzione esigeva in pazienza davanti alle difficoltà. “Il partito deve essere la nostra ragione di vivere e di agire”, ci diceva, “è la nostra famiglia”. La sua calma e il suo sangue freddo furono per noi la migliore scuola. Il suo caloroso affetto, le sue cure costanti ci hanno dato una fiducia incrollabile nell'avvenire della rivoluzione, una fiducia che penetrò fin nel più profondo noi per tradursi nelle nostre parole ed azioni».61
Lasciamo la parola al discorso tenuto nel 2009 da Sandra Scagliotti, da membro del Consiglio di Presidenza dell’Associazione Nazionale Italia-Viet Nam62:
«Eclettico nelle attività così come nei nomi: a tutt'oggi non è ancora possibile avere un quadro chiaro degli pseudonimi ed appellativi segreti che Ho Chi Minh utilizzò nel corso della sua vita; ne sono stimati centosessantacinque. Il primo nome di Ho fu Nguyen Sinh Cung, ma si faceva chiamare Van Ba quando fu ingaggiato come aiuto-cuoco a bordo del bastimento francese Latouche-Tréville nel giugno 1911. Ed era Lin nel periodo in cui fu studente a Mosca, negli anni Trenta. Del resto, lo stesso nome Ho Chi Minh è in realtà uno pseudonimo; il suo nome anagrafico era Nguyen Tat Thành. Per tutti i suoi compatrioti egli era ed è “Bác Ho”, lo zio Ho, l’espressione più comune per indicarlo, un appellativo affettuoso che, nella famiglia allargata vietnamita è anche segno di rispetto verso il fratello più anziano della madre, colui che supera il padre in saggezza e prestigio… […] I due pseudonimi “storici” di Ho sono: Nguyen Ái Quoc (Nguyen il Patriota), - nome con cui egli condusse tutta la sua attività di rivoluzionario comunista dal 1919 al 1941 - e Ho Chi Minh (“colui che porta la luce”), il nome con cui egli svolse la sua opera di leader nazionale. Ovviamente, nel suo caso, il ricorso a pseudonimi derivava soprattutto dalla necessità di depistare i servizi segreti francesi (e di altri paesi) che gli davano la caccia. […] una delle ragioni fondamentali di questa gran copia di pseudonimi risiedeva nel proverbiale riserbo del Presidente, della cui vita […] si sa ben poco, poiché egli preferiva non parlare di sé ed anche circondarsi di un alone di segretezza. Fu dunque per modestia, abitudine, necessità… E di modestia certamente si trattava nel caso dei suoi scritti. È noto infatti che le poesie del famoso Diario dal carcere furono ritrovate per caso nel 1960, da un ricercatore vietnamita, sepolte in un archivio sperduto; l'autore non ne aveva mai fatto menzione. La modestia dunque era un sentimento che lo caratterizzava, come del resto l’autoironia; era un vero talento nel non prendersi mai troppo sul serio: “Alloggio amministrativo” / - scriveva dal carcere - “riso di Stato/ guardie che si danno il cambio ad ogni nostro passo / meditazioni a volontà / passeggiate…/ quanti onori nel mondo per un sol uomo, non vi pare?
[…] quando si presentò alla nazione come Ho Chi Minh, nessuno sapeva chi fosse. Sua sorella, Thi Thanh vide la sua foto sul giornale e si disse: “Ma è mio fratello!” […]. Persino i membri del governo provvisorio non erano certi della sua reale identità; si sospettava ch’egli fosse il celebre Nguyen Ái Quoc, ma non si poteva esserne sicuri. È celebre l’aneddoto del can go; una sera, a cena, uno dei suoi ministri azzardò una domanda: “Signor Presidente, qual è la sua provincia natale?” Ho, che era nato nella provincia di Nghe An, non rispose direttamente. Disse invece: “Sono uno del can go”. Il “can go” è il pesce di legno che, secondo un antico detto popolare, gli abitanti dello Nghe An, poveri da generazioni, usavano per “condire” il loro riso, in mancanza di quello vero.
Lo studioso francese Charles Fourniau di Ho Chi Minh mantiene un ricordo vivido e illuminante. Grande inviato del giornale L'Humanité in Vietnam negli anni della guerra anti-americana, lo vide la prima volta nel 1960 e l’ultima nel 1969, con il triste privilegio di essere stato l’ultimo straniero ad incontrarlo, una settimana prima della sua morte. Ricorda Fourniau: “Si restava completamente dominati dalla sua personalità. È estremamente difficile spiegarne la ragione: era un uomo di media statura, generalmente riceveva i suoi ospiti con indosso la veste dei contadini vietnamiti; ai piedi portava sandali di gomma, ricavati da pneumatici. Aveva una voce sommessa, parlava in modo semplice e non faceva mai grandi discorsi; eppure, chiunque vi si trovasse di fronte rimaneva letteralmente catturato dal suo carisma straordinario”.
Ho Chi Minh non amava mettersi in mostra. Si considerava un rivoluzionario, un capo di Stato “che agisce per una causa” e di conseguenza non riteneva interessante per gli altri parlare di sé. La maggior parte dei suoi ospiti non li accoglieva nell’imponente palazzo presidenziale - l’antico edificio che era stato dimora del governatore coloniale -, ma in una casetta costruita nel parco attiguo. Abitava lì, in quella piccola casa di legno che si era fatto costruire. Semplicità e impegno, questo il suo motto: come un buon padre di famiglia, ai giovani raccomandava di evitare la pigrizia, le spese inutili, la vanità, l’arroganza, l’ipocrisia. Li invitava a “non domandare cosa il paese avesse fatto per loro, ma piuttosto chiedersi cosa essi avessero fatto per il paese”. […] Pierre Brocheux […] si domanda “in che cosa egli fu così rappresentativo da meritare di figurare nella galleria dei grandi uomini?” In fondo - scrive - Ho Chi Minh non aveva “la profondità di spirito di un pensatore politico, il genio creativo di uno scrittore, l’abilità di uno stratega militare”… Di tali qualità si può discutere, ma qui risiede inevitabilmente il “mistero” del suo successo personale. Per comprenderne la personalità occorre quindi utilizzare parametri differenti da quelli solitamente impiegati per i “grandi uomini”. In questo dato Brocheux coglie il reale prodigio di Ho Chi Minh che, in questa prospettiva, non sta tanto nei fatti della sua vita privata quanto nella sua personalità di uomo, di rivoluzionario capace di guidare individui e affrontare le sfide della Storia; non genio o condottiero, ma uomo, con la fierezza di essere anzitutto se stesso.
Ho Chi Minh non incoraggiò mai la creazione del “mito Ho Chi Minh”. Forse, inconsapevolmente, “creò” una “figura”, indossando, ad esempio, semplici vesta e calzando poveri sandali. Certi episodi tuttavia manifestano una realtà, non una “creazione”. Il più famoso resta quello della lettura della dichiarazione d’indipendenza, in piazza Ba Dình, a Hanoi il 2 settembre 1945, davanti ad una folla smisurata. Era il coronamento - impensabile sino a poco tempo prima - di una lotta di anni; quel testo denunciava una lunga oppressione, rivendicava un nuovo futuro. Fu un momento “storico”. Eppure, dalla tribuna, dinnanzi al microfono, a un tratto egli interruppe la lettura per chiedere: “Dong bao (compatrioti), mi sentite bene?” - e gli rispose un fragore di sì. L’altro episodio, meno noto, concerne il viaggio di ritorno dalla Francia, tra il settembre e l’ottobre del 1946: sull’incrociatore Dumont d’Urville, il Presidente del Vietnam, ospite del governo francese quale passeggero d’onore di quella nave da guerra, si lavava la biancheria nel lavandino della cabina… Dai ricordi di Raymond Aubrac, amico personale del leader e intermediario nelle negoziazioni della guerra anti-americana, così come da altri personaggi di rilievo della politica francese, si apprendono numerosi altri episodi che vanno in questa stessa direzione. Tutti coloro che lo hanno conosciuto lo ricordano come “l’esatta copia di un contadino vietnamita e, nel contempo, di un letterato della tradizione confuciana”. Era l’incarnazione stessa della nazione vietnamita e il suo carisma era dovuto probabilmente a questo. Sul piano della politica internazionale, occorre ricordare, era una figura dall’esperienza peculiare: fra i grandi dirigenti della Terza Internazionale, Ho Chi Minh fu il solo ad avere soggiornato in vari paesi stranieri. Mao Tse-tung non uscì mai dalla Cina, né Stalin dalla Russia; Ho, per contro, conosceva il mondo, aveva navigato, aveva viaggiato e conosceva la condizione dei più poveri. Ciò rappresenta una caratteristica peculiare del suo pensiero così come dell’agire del Partito comunista vietnamita: il radicato patriottismo dei Vietnamiti e del Partito si ascrive nell’internazionalismo, ritenuto elemento fondamentale. […] Il Presidente riuscì a fondere armoniosamente l’analisi fondata su basi marxiste con la tradizione del suo paese e del suo popolo, cioè con la tradizione di lotta contro l’occupante e rivolta popolare, alimentate in parte dal Confucianesimo. E questa tradizione nazionale, che egli, come si è detto, incarnava fisicamente, si nutriva del pensiero marxista. […]
Ho Chi Minh, come abbiamo detto, personificava la “memoria autoctona”, in sintonia con il pensiero marxista; e autoctona e nazionale fu la rivoluzione dell’agosto 1945 che, occorre rilevare, non contemplò alcuna operazione congiunta con agenti sovietici: per anni l’Unione Sovietica, temendo difficoltà internazionali, del cui pondo non voleva farsi carico, fu reticente nei confronti del Vietnam. Molto più consistente allora fu invece l’influenza del partito comunista francese, accanto al partito vietnamita, permeato dal pensiero di Ho. E se è vero che Ho Chi Minh non volle mai sentirsi definire un teorico e che non esiste alcun trattato da lui redatto sulla teoria marxista-leninista, è pur vero che il suo pensiero di teoria è profondamente intriso. Come pensare di realizzare un’opera rivoluzionaria efficace come quella che il leader conseguì, senza una teoria che la sostenga? Resta il fatto che tentare di ricostruire il pensiero teorico e politico di Ho Chi Minh è un’impresa complessa. Disponiamo, è vero, di vari scritti e discorsi che attestano una chiara visione strategica, ma le circostanze in cui ebbe ad operare e la natura stessa del suo carattere non ci consentono di tracciare un quadro completo. Come annotava Pino Tagliazucchi, “questo, forse, spiega perché rare siano le ricerche sul pensiero politico di Ho Chi Minh e perchè, mentre numerosi sono stati i maoisti, nessuno si è mai dichiarato 'hochiminista'...” Anche William Duiker […] rileva come non sia possibile concentrarsi sul pensiero di Ho Chi Minh trascurando la sua vita privata. Occorre tuttavia fare una distinzione: se non esistono scritti teorici redatti dal leader, vi sono per contro scritti strategici, anche se rari. La via della rivoluzione (1927) e La via della liberazione (1940), così come alcuni testi sulla guerriglia, sono tuttavia pressoché sconosciuti, anche perché non sono mai stati tradotti in lingue occidentali. Eppure, questi scritti indicano chiaramente uno specifico carattere tattico, una precisa linea strategica, sebbene si tratti di indicazioni pratiche rivolte ai quadri politici. Tutto ciò è riconducibile ai contrasti, reali o apparenti, che rendono difficile la presentazione del personaggio Ho Chi Minh. Del resto, osserva Duiker, “come molti grandi personaggi della storia, il vero Ho Chi Minh fu un uomo pieno di complessità e di contrasti, con alcune doti e caratteristiche uniche che lo distinguono da altre personalità del suo tempo”. […] Conviene ragionare sul fatto che, negli anni successivi alla Grande guerra, oltre ai condizionamenti impliciti del regime coloniale, la società vietnamita aveva risentito dell'influsso di particolari cause esterne. La Rivoluzione d’ottobre e la fondazione dei partiti comunisti nei paesi industriali dell'occidente avevano creato nuove prospettive per la liberazione delle colonie. I Vietnamiti residenti in Francia, a contatto con la realtà politica europea, compresero che questo nuovo assetto avrebbe potuto condurre alla liberazione nazionale; essi si organizzarono pertanto in gruppi di differenti tendenze. Fra questi, alcuni gravitavano nella sfera d’influenza dei partiti non rivoluzionari, ispirandosi ad ideali democratico - borghesi; Phan Chu Trinh, l'elemento più rappresentativo di questa corrente, teorizzò la necessità del superamento delle istituzioni di derivazione “feudale” in Vietnam, in seno al regime coloniale, e la ricerca di una progressiva indipendenza senza dover ricorrere alla lotta armata.
Nguyen Ái Quoc, il futuro Ho Chi Minh, organizzò per contro il gruppo più direttamente ispirato alla Rivoluzione d'Ottobre, in più stretto contatto con il movimento operaio francese; membro del Partito socialista d’Oltr’Alpe, nel dicembre 1920, al congresso di Tours, egli optò per l'adesione alla III Internazionale. Assertore della via rivoluzionaria quale unico mezzo per la liberazione dei paesi colonizzati, Ho Chi Minh, dalle pagine dei quotidiani francesi, intraprese un'azione di propaganda sulle condizioni economiche e sociali dei “popoli oppressi” rivolta ai militanti dei partiti proletari europei. “Due temi, vicini e complementari - scrive lo storico Alain Ruscio - imperano senza cessa nei suoi articoli, come nei suoi interventi pubblici: la convergenza degli interessi dei popoli di Francia e delle colonie e l’internazionalismo. Quoc cercò di persuadere i suoi compagni di partito e i proletari di Francia che essi dovevano lottare a fianco dei popoli delle colonie, contro un unico nemico. E fu forse a questo punto che nacque in lui la forte immagine dell’imperialismo, piovra di cui occorre tagliare simultaneamente più tentacoli”.
Quoc, tuttavia enumerava problematiche assai distanti dall’ortodossia del tempo, affermando a più riprese come l’Asia conoscesse da secoli la comunione delle terre e la condivisione, il senso di eguaglianza e il valore della pace; inoltre, evitava le citazioni dei pilastri del credo comunista, convinto com’era dell’inutilità di ripetere all’infinito slogans “già mille volte letti”. Si riferiva invece a Confucio e Mencio e non esitava a mettere in guardia: “Marx ha costruito la sua dottrina su di una certa filosofia della Storia. Ma quale Storia? Quella dell’Europa. Ma che cos’è l’Europa? Solo una parte dell’Umanità”. […] Sin dagli inizi degli anni Venti il futuro presidente è già una sorta di mito, una leggenda vivente. Il suo compatriota Nguyen The Truyen, nel 1922, in un articolo intitolato Il bolscevico giallo, testimonia che il suo nome è già noto sin nel profondo delle campagne vietnamite e si chiede “Ma è davvero un uomo in carne ed ossa questo Signor Nguyen Ái Quoc?” Grazie alla sua opera di informazione e divulgazione e sotto la direzione degli intellettuali ritornati dalla Francia, in Vietnam sono diffusi numerosi giornali, redatti in francese e in vietnamita, che incitano alla lotta patriottica… La missione di Quoc, pur senza ch’egli avesse ottenuto tutti i risultati attesi, aveva preso avvio, in funzione modernista. […] Opponendosi a ogni compromesso, Ho seppe combattere l’imperialismo, sia che esso fosse giapponese, francese o statunitense, realizzando i suoi ideali: l’istruzione per tutto il popolo, il miglioramento delle condizioni di vita, l’unità del paese, il rafforzamento delle strutture amministrative e lo sviluppo di una industria autoctona. […] L’uomo che proclamò la nascita della Repubblica vietnamita nel 1945, morì, tuttavia, il 9 settembre 1969, senza vedere la vittoria del suo popolo. Era contrario al mausoleo e all’esposizione del suo corpo, aveva chiesto di essere cremato e che le sue ceneri fossero diffuse ai “quattro angoli del paese” […]. Se oggi si può leggere con profitto gli scritti di Lenin e di Mao, di Ho Chi Minh, nel complesso, resta ben poco; tuttavia, crediamo, non è per un riflesso puramente accademico che continuino ad apparire biografie a lui dedicate. Colui che “ha mosso un popolo, ha buttato all’aria il secolare sistema coloniale, si è mosso con sagacia e determinazione con e contro grandi potenze mondiali ed ha inciso, anche profondamente, sulla loro strategia politica - scriveva Pino Tagliazucchi -, è rimasto l’uomo che abitava in una casetta di due stanze e che la sera annaffiava le piante del suo giardino. È questo che continua ad attirare il lettore comune”...»
Un ottimo modo per capire come Ho Chi Minh sia diventato un simbolo, sta nella chiusura dell'intervento del Partito Comunista dell'India (marxista) al 18° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai tenutosi nel 201663:
«Ho Chi Minh identificava “capitalismo e imperialismo” come nemici “molto pericolosi” che devono essere combattuti e sconfitti. Questo è il compito che può essere intrapreso solo dai comunisti. Ovviamente, né sconfiggere il capitalismo, né costruire il socialismo, saranno compiti facili. La Grande Rivoluzione Socialista dell'Ottobre, il cui centenario sarà tra poco, ha mostrato questa verità storica. La Storia ci insegna che se non prendiamo noi in mano questo compito, la destra e le forze della divisione che sono sempre all'opera, coglieranno l'opportunità di sviare lo scontento crescente verso canali settari. Questo causerà un danno incommensurabile al movimento rivoluzionario e caricherà altri pesi sulle spalle della classe lavoratrice e della gente comune. Come comunisti dovremmo alzarci contro questo grande sfida e respingere questi tentativi delle forze di destra. Come il compagno Ho Chi Minh ha affermato: “nulla è facile, e nulla è difficile”. È la nostra ferma fede nel marxismo-leninismo e la nostra volontà di ferro di combattere e di vincere che dovrebbero guidare la nostra lotta per una società senza classi.
Noi dobbiamo vincere perché il nemico sia sconfitto”».
56. Ho Chi Minh, Diario dal carcere, Garzanti, Milano 1972, p. 38.
57. Ho Chi Minh, Il cammino che mi ha condotto al leninismo, CCDP, aprile 1960.
58. Citato in P. Kumar, Elogio del leader pacato, Ebook, 2017.
59. Ho Chi Minh, Diario dal carcere, cit., p. 77.
60. Citato in S. Tucci, L'Asia ai miei occhi, Marsilio, Venezia 2016.
61. Citato in Wikiquote, Võ Nguyên Giáp.
62. S. Scagliotti, Nguyễn Tất Thành ovvero Hồ Chí Minh, il rivoluzionario, CCDP, 13 novembre 2009.
63. Partito Comunista dell'India (Marxista), Solo nel socialismo e nel comunismo possiamo trovare la nostra liberazione, cit.

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