21 Novembre 2024

F.15. CONCLUSIONI

«Una rivoluzione è certamente la cosa più autoritaria che ci sia: è l'atto per il quale una parte della popolazione impone la sua volontà all'altra parte per mezzo di fucili, baionette e cannoni; mezzi autoritari, se ce ne sono; e il partito vittorioso, se non vuole aver combattuto invano, deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi inspirano ai reazionari. La Comune di Parigi sarebbe durata un sol giorno, se non si fosse servita di questa autorità del popolo armato, in faccia ai borghesi? Non si può, al contrario, rimproverarle di non essersene servita abbastanza largamente? Dunque, delle due cose l'una: o gli anti-autoritari non sanno ciò che dicono, e in questo caso non seminano che confusione; o essi lo sanno, e in questo caso tradiscono il movimento del proletariato. Nell'un caso e nell'altro essi servono la reazione». (Friedrich Engels)
Dall’analisi marxista del modo di produzione capitalistico si desume che l’unico fine della produzione capitalista non è certo il soddisfacimento di bisogni umani, ma è l’accumulazione sempre maggiore di capitale, cioè la produzione di plusvalore e la sua realizzazione mediante la vendita. Se la vendita non avviene, non si realizza il profitto e si perde capitale. Per conservare l’equilibrio economico l’insieme del potere d’acquisto esistente deve servire a comprare l’insieme delle merci prodotte. Questo equilibrio però è destinato a rompersi a causa della scissione tra il carattere sociale (utile) del lavoro dal carattere anarchico (non pianificato) della produzione capitalistica e da una distribuzione ineguale della ricchezza. Nel modo di produzione capitalistico si tende alla produzione illimitata e si considerano tutte le persone come potenziali clienti. Il paradossale sogno di ogni capitalista è che i suoi concorrenti aumentino i salari degli operai (che rappresentano potere d’acquisto) mentre lui abbassa i salari dei suoi per aumentare il profitto. La tendenza all’aumento della produttività è quindi in contraddizione con la limitata capacità di assorbimento delle merci prodotte da parte del mercato. La contraddizione capitalista tra la socializzazione della produzione e l’appropriazione privata esplode gravemente nelle crisi economiche. Le crisi del capitalismo sono diverse da quelle dei sistemi che lo precedono. Nelle società pre-industriali la causa della crisi era la mancanza di beni, mentre nel capitalismo ci troviamo di fronte a crisi di sovrapproduzione. In pratica vengono prodotte più merci di quelle che il mercato riesce ad assorbire (non quindi più di quelle necessarie alla soddisfazione dei bisogni, ma alla capacità di spesa dei salariati). Le crisi del capitalismo non sono di scarsità, ma di sovrapproduzione. Si tratta di crisi di realizzo. La sovrapproduzione di capitale (che si presenta anche nella forma di sovrapproduzione di merci) è la condizione in cui il capitale investito produce una massa di plusvalore uguale o inferiore a quella prodotta prima che il capitale addizionale fosse investito. Le crisi di sovrapproduzione sono la più evidente manifestazione della contraddizione di fondo del modo di produzione capitalistico.
Nella sua fase di maturità il capitalismo porta al massimo livello le proprie contraddizioni, generando una concentrazione di capitali in poche mani e aumentando la polarizzazione sociale (pochissimi possiedono moltissimo e molti possiedono poco o nulla). Il capitalismo tende anche alla formazione di un mercato mondiale. Notiamo infatti che gli investimenti all’estero non derivano dall’impossibilità di investire nel proprio paese, ma dalla possibilità di investire altrove, dove il saggio di profitto è più alto. Marx aveva individuato lo sviluppo delle forze produttive quale elemento progressivo del modo di produzione capitalistico (grazie all’inserimento della scienza nella produzione). Nel capitalismo, però, lo sviluppo della produttività non serve alla liberazione di tempo vitale dal lavoro, bensì solo ad aumentare il saggio di sfruttamento della forza-lavoro. Se quindi lo sviluppo delle forze produttive è stato un elemento progressivo nella prima fase del capitalismo, quando questo modo di produzione giunge alla maturità, le sue contraddizioni (e le crisi da esse generate) impediscono l’ulteriore sviluppo delle forze produttive, mostrando in maniera evidente il limite storico del capitalismo. L’analisi di Marx dimostra quindi il carattere storico e transitorio del capitalismo e la necessità di superare questo modo di produzione verso la struttura economico-sociale del comunismo, in cui anziché essere la mano invisibile del mercato a determinare le scelte economiche, sono gli uomini a stabilire cosa e come produrre e come ripartire i beni prodotti. A differenza dei socialisti utopisti, con Marx finalmente la critica al capitalismo poggia su una base scientifica! Le evidenti contraddizioni del capitalismo ci offrono la possibilità di realizzare una società comunista. Marx, però, ha spiegato che questo movimento è tendenziale e tutt’altro che deterministico: non è previsto alcun crollo automatico e spontaneo del capitalismo! Qualunque trasformazione sociale deve basarsi non solo su elementi oggettivi (condizioni materiali ed economiche determinate), ma anche su elementi soggettivi (l’azione politica della classe lavoratrice come capace di porsi alla guida dell’intera società). Per guidare la rivoluzione è necessario che il proletariato sia organizzato in un partito comunista.

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