E.2. LA “QUESTIONE DI GENERE” E LO SFRUTTAMENTO DELLA DONNA
La condizione di sfruttamento e di oppressione della donna è una caratteristica permanente dall'inizio del processo di divisione sociale del lavoro. Secondo il marxismo (capostipite della letteratura marxista femminista a riguardo è L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato di Friedrich Engels) dal momento in cui la donna venne allontanata dai settori determinanti del processo produttivo con la formazione delle società patriarcali, essa è sempre stata sottomessa a forme più o meno dure di sfruttamento e di subordinazione politica, culturale e sociale all'uomo. Per il marxismo inoltre i rapporti di produzione investono anche i rapporti di riproduzione: di conseguenza la famiglia, che è una delle forme istituzionali tipica dei rapporti di riproduzione dell'umanità da molti secoli a questa parte, viene influenzata in maniera determinante dall'organizzazione complessiva del processo produttivo e quindi dalla società. A loro volta determinate condizioni istituzionali che regolano i rapporti tra uomo e donna sono necessarie alla forma di organizzazione della società per riprodursi e mantenere immutati i rapporti di produzione. La condizione della donna è quindi una delle contraddizioni fondamentali della società, resa particolarmente acuta dal momento della formazione della moderna società capitalistica. La lotta che la classe operaia ha condotto per la propria emancipazione ha aperto condizioni politiche e sociali favorevoli allo sviluppo di un movimento di liberazione della donna. Dopo le numerose testimonianze che già verso la metà dell'800 illustrarono la condizione femminile (ad esempio ne La condizione della classe operaia in Inghilterra di Engels), sorse un movimento in forma organizzata, anche se, inizialmente, la sua attività tese alla pura e semplice rivendicazione della cosiddetta parità di diritti tra uomo e donna. Soprattutto in Inghilterra e in America le “suffragette” si batterono per ottenere il diritto di voto e la parità di retribuzioni e di condizioni di lavoro con gli uomini, cosa che non avveniva in nessun paese del mondo. Tuttavia la nascita di un vero e proprio movimento di rivendicazione femminile che prendesse coscienza da un lato della generale divisione in classi della società e della posizione sociale occupata dalla donna, e dall'altro dell'esigenza di costituire un'organizzazione femminile a fianco della classe operaia, è databile ai primi anni del '900. La più famosa sostenitrice della necessità di un movimento femminile di classe fu Klara Zetkin che fece parte della Lega di Spartaco e fu tra le fondatrici del Partito Comunista Tedesco. Da allora le rivendicazioni di liberazione della donna sono state, con fortune alterne, legate alla storia del movimento operaio. Dopo la rivoluzione del 1917 Lenin affermava:
Molteplici cause sono all'origine della notevole produzione teorica e saggistica del dopoguerra, che, da vari paesi, ha contribuito ad approfondire i temi della condizione femminile: fra esse, l'imponente ingresso delle donne nella produzione e nelle lotte del lavoro, l'elevamento del livello culturale medio, l'introduzione del suffragio universale, la progressiva scomparsa della grande famiglia patriarcale che paralizzava soprattutto la donna, la massiccia proletarizzazione di donne appartenenti a vari ceti, ecc.
Questi motivi indicano la fragilità delle posizioni che individuano semplicisticamente nel rapporto uomo/donna la contraddizione essenziale, attribuendogli di fatto una sorta di perennità sottratta alla complessa dinamica delle altre contraddizioni che lacerano la società dominata dal capitalismo. Tali dinamiche erano diventate chiare a Simone De Beauvoir, uno dei punti di riferimento centrali per le successive teorie femministe, che però non sempre la seguirono in questa sua affermazione:
Da quando è iniziata la crisi ad oggi, la diminuzione di posti di lavoro qualificati occupati da donne congiuntamente all'aumento delle posizioni non qualificate, ha comportato un complessivo e significativo deterioramento delle loro condizioni lavorative. In totale l’occupazione femminile nel 2012 è ferma al 47.1%; e in ambito industriale durante la crisi è diminuita con una tasso doppio di quella maschile. La maggioranza delle donne occupa posizioni che richiedono un titolo di studio inferiore a quello posseduto e la differenza di paga fra i due sessi aumenta all'aumentare dell’età. Non si deve dimenticare che per tutti gli anni ‘90 e 2000 l’occupazione femminile a tempo pieno è rimasta pressoché stabile, mentre ha visto un forte incremento quella a tempo parziale.
Queste difficoltà nell’ambiente lavorativo sono conseguenza del ruolo femminile all’interno del suo ambito familiare, che la discredita agli occhi del datore di lavoro. La donna è spesso costretta, di fatto, ad avere due occupazioni: quella ufficiale e quella di cura della famiglia. In particolare, negli schemi imposti dalla società capitalista è la donna che deve occuparsi quasi interamente delle questioni di assistenza familiare e di cura domestica: non è un caso che, nelle coppie con figli, quasi una donna su due sia ufficialmente disoccupata a fronte di una quasi piena occupazione maschile. Inoltre, la stessa condizione biologica della donna comporta prevaricazioni e negazioni di diritti, con i frequenti casi di mobbing, ma anche con gli episodi di dimissioni in bianco: in questo modo si lede tanto il diritto al lavoro della donna quanto le tutela della gravidanza. Un partito comunista deve saper affrontare la questione di genere non come guerra fra sessi, ma in un’ottica di classe, come aspetto determinante della lotta contro il capitalismo e tutte le forme di sfruttamento.
Marx, riprendendo un motto di Charles Fourier, declamava che «la condizione della donna in una società è la misura del grado di civiltà di quella società».
Lenin lo seguiva in scia proclamando formalmente che «il proletariato non raggiungerà una completa emancipazione se non sarà prima conquistata una completa libertà per le donne».
«nessun partito democratico del mondo e nessuna delle repubbliche borghesi più progredite ha fatto in decine d'anni nemmeno la centesima parte di quello che noi abbiamo fatto anche solo nel primo anno del nostro potere. Noi non abbiamo letteralmente lasciato pietra su pietra di tutte le abiette leggi sulla menomazione dei diritti della donna, sulle restrizioni al divorzio, sulle oziose formalità da cui era vincolata, sulla ricerca della parternità ecc».E continuava:
«la donna, nonostante tutte le leggi liberatrici è rimasta una schiava della casa perché essa è oppressa, soffocata, inebetita, umiliata dalla meschina economia domestica che la incatena alla cucina, ai bambini e ne logora le forze in un lavoro bestialmente improduttivo, meschino, snervante che inebetisce e opprime. La vera emancipazione della donna, il vero comunismo incomincerà soltanto là e allora, dove e quando incomincerà la lotta delle masse contro la piccola economia domestica, o meglio dove incomincerà la trasformazione di questa economia nella grande economia socialista».È quindi messo in evidenza il rapporto tra la questione femminile e il tema generale della lotta per una nuova organizzazione della società. La seconda guerra mondiale ha provocato un'accelerazione della maturazione sociale della donna, ormai esposta quanto l'uomo alle conseguenze disastrose e distruttive di un conflitto moderno, e ne ha visto la partecipazione organizzata - e insostituibile - alle lotte di liberazione nazionale condotte grazie alla Resistenza partigiana.
Molteplici cause sono all'origine della notevole produzione teorica e saggistica del dopoguerra, che, da vari paesi, ha contribuito ad approfondire i temi della condizione femminile: fra esse, l'imponente ingresso delle donne nella produzione e nelle lotte del lavoro, l'elevamento del livello culturale medio, l'introduzione del suffragio universale, la progressiva scomparsa della grande famiglia patriarcale che paralizzava soprattutto la donna, la massiccia proletarizzazione di donne appartenenti a vari ceti, ecc.
Questi motivi indicano la fragilità delle posizioni che individuano semplicisticamente nel rapporto uomo/donna la contraddizione essenziale, attribuendogli di fatto una sorta di perennità sottratta alla complessa dinamica delle altre contraddizioni che lacerano la società dominata dal capitalismo. Tali dinamiche erano diventate chiare a Simone De Beauvoir, uno dei punti di riferimento centrali per le successive teorie femministe, che però non sempre la seguirono in questa sua affermazione:
«Non ho mai nutrito l'illusione di trasformare la condizione femminile, essa dipende dall'avvenire del lavoro nel mondo e non cambierà seriamente che a prezzo di uno sconvolgimento della produzione. Per questo ho evitato di chiudermi nel cosiddetto femminismo».Alexandra Kollontai, in maniera ancora più esplicita, ritiene che
«la liberazione della donna può compiersi solo tramite una trasformazione radicale della vita quotidiana. E la vita quotidiana potrà essere modificata unicamente da un rinnovamento profondo dei processi di produzione, edificato sulle basi dell'economia comunista».Riassumendo: la prima oppressione di classe coincide con quella dell'uomo sulla donna. Il sistema capitalistico è caratterizzato da rapporti di sfruttamento da parte di un popolo su un altro a livello internazionale, da una classe sull’altra all'interno dello stesso paese e dall’uomo sulla donna nell’ambito della medesima classe. Così come i rapporti di produzione fanno pagare alle classi più deboli gli effetti della crisi economica, le relazioni fra i due sessi li riversano sulla donna, aggravando la sua condizione lavorativa e riportandola fra le mura domestiche.
Da quando è iniziata la crisi ad oggi, la diminuzione di posti di lavoro qualificati occupati da donne congiuntamente all'aumento delle posizioni non qualificate, ha comportato un complessivo e significativo deterioramento delle loro condizioni lavorative. In totale l’occupazione femminile nel 2012 è ferma al 47.1%; e in ambito industriale durante la crisi è diminuita con una tasso doppio di quella maschile. La maggioranza delle donne occupa posizioni che richiedono un titolo di studio inferiore a quello posseduto e la differenza di paga fra i due sessi aumenta all'aumentare dell’età. Non si deve dimenticare che per tutti gli anni ‘90 e 2000 l’occupazione femminile a tempo pieno è rimasta pressoché stabile, mentre ha visto un forte incremento quella a tempo parziale.
Queste difficoltà nell’ambiente lavorativo sono conseguenza del ruolo femminile all’interno del suo ambito familiare, che la discredita agli occhi del datore di lavoro. La donna è spesso costretta, di fatto, ad avere due occupazioni: quella ufficiale e quella di cura della famiglia. In particolare, negli schemi imposti dalla società capitalista è la donna che deve occuparsi quasi interamente delle questioni di assistenza familiare e di cura domestica: non è un caso che, nelle coppie con figli, quasi una donna su due sia ufficialmente disoccupata a fronte di una quasi piena occupazione maschile. Inoltre, la stessa condizione biologica della donna comporta prevaricazioni e negazioni di diritti, con i frequenti casi di mobbing, ma anche con gli episodi di dimissioni in bianco: in questo modo si lede tanto il diritto al lavoro della donna quanto le tutela della gravidanza. Un partito comunista deve saper affrontare la questione di genere non come guerra fra sessi, ma in un’ottica di classe, come aspetto determinante della lotta contro il capitalismo e tutte le forme di sfruttamento.
Marx, riprendendo un motto di Charles Fourier, declamava che «la condizione della donna in una società è la misura del grado di civiltà di quella società».
Lenin lo seguiva in scia proclamando formalmente che «il proletariato non raggiungerà una completa emancipazione se non sarà prima conquistata una completa libertà per le donne».