21 Novembre 2024

D.4. ANTONIO GRAMSCI E LA “GUERRA DI POSIZIONE” IN OCCIDENTE

È sorprendente constatare che mentre Lenin teorizza questi assunti ad inizio '900, Gramsci arriva autonomamente (non conoscendo l'opera del Che fare?) alle stesse conclusioni durante il periodo “ordinovista” (1919-1925), riflettendo sull'incapacità del Partito Socialista Italiano di riuscire a portare a termine la rivoluzione in Italia in un clima più che propizio. A partire da tali riflessioni giovanili Gramsci diventerà uno dei protagonisti più illustri della nascita del Partito Comunista d'Italia (PCd'I) in seguito alla scissione dal PSI avvenuta a Livorno nel 1921. Gramsci era in tutto e per tutto un convinto marxista-leninista (ritiene che il leninismo sia il «marxismo dell’epoca del capitalismo monopolista, delle guerre imperialiste e della rivoluzione proletaria»), ma proprio per questo dedicò il periodo della prigionia cui lo confinò il regime fascista dal 1926 all'anno della morte (avvenuta nel 1937) a riflettere sulle diversità di contesto tra la Russia asiatica e contadina di Lenin e l'Occidente europeo industrializzato. Da tale riflessione scaturiscono i Quaderni dal Carcere, il fondamentale contributo teorico con cui Gramsci cerca di capire come si possa esercitare l'egemonia in una società democratica borghese in cui siano già sviluppate in una certa misura alcune libertà sociali e civili. Gramsci affronta anche diverse altre tematiche strettamente correlate a quella dell'“egemonia culturale”, ossia: il ruolo degli intellettuali, l’organizzazione del Partito Comunista, il ruolo della Chiesa, la cultura nazional-popolare, oltre ad approfondimenti teorici del marxismo di capitale importanza. Vediamo in cosa consiste l’importante contributo che Gramsci ci ha lasciato.
Gramsci, in continuità con Marx, non pensa che il capitalismo crollerà da sé, facendo posto ad una società comunista. Questa concezione che hanno i socialisti utopisti serve solo a mascherare la loro impotenza politica e incapacità di prendere l’iniziativa per conquistare il potere. La base materialista del marxismo offre lo strumento per il superamento del capitalismo, a partire dallo studio dei rapporti tra struttura e sovrastruttura per giungere ad una corretta analisi delle forze che operano nella storia di un determinato periodo. Gramsci si dedica quindi allo studio dello Stato e di come il proletariato possa, tramite un partito comunista guidato da intellettuali, conquistare l’egemonia culturale e quindi il potere politico. Gramsci nota come lo Stato, espressione della classe dominante, per l’esercizio del potere si avvalga di due strumenti:
- la “dittatura”, intesa come espressione coercitiva del potere politico;
- l’egemonia culturale raggiunta con l’organizzazione del consenso.
La classe al potere cerca di interconnettere questi due strumenti e raggiungere un equilibrio tra la forza coercitiva del potere politico e il consenso culturale della maggioranza. Per ottenere il consenso si accrescono sempre più strumenti che formino l’opinione pubblica. In questo quadro assume importanza la figura degli intellettuali. Per Gramsci, tutti gli uomini sono intellettuali, in quanto ognuno ha una linea di condotta morale ed opera nella realtà secondo il proprio modo d’intendere e di volere, secondo una filosofia e un’etica spontanea, e contribuisce a modificare visioni del mondo e modi di pensare. Gramsci distingue due tipologie di intellettuali: ci sono quelli definiti “tradizionali”, cioè coloro che elaborano la propria attività intellettuale al di fuori degli schemi stabiliti dall’egemonia culturale dominante, considerandosi quindi politicamente ed economicamente «autonomi ed indipendenti dalla classe dominante»; l’altra categoria è quella degli intellettuali “organici” alla classe che offrono a questa funzioni organizzative e connettive tali da permetterne la guida ideologica e culturale.
Si può quindi definire l’egemonia culturale come lo strumento che le classi dominanti usano per imporre i propri valori a tutta la società, con l’obiettivo di saldare e gestire il potere intorno ad un senso comune condiviso. L’egemonia è allora l’arma che permette ad una classe di mantenere il controllo sociale di un paese. Se le rivoluzioni comuniste non si sono verificate nei paesi a capitalismo avanzato è a causa del controllo dell’ideologia, dell’autocoscienza e dell’organizzazione dei lavoratori da parte della cultura borghese egemone. La classe borghese dominante impone la propria ideologia alle masse attraverso la scuola, la Chiesa, i mass media e altri canali, inculcando nelle classi subalterne una “falsa coscienza”. A causa di ciò i lavoratori invece di unirsi per rivoluzionare la società (costruendone una che serva a soddisfare i loro bisogni collettivi), fanno propria l’ideologia borghese dominante cedendo alle sirene del nazionalismo, del consumismo sfrenato e della competizione sociale, abbracciando un’etica individualista ed egoistica. Secondo Gramsci, per poter arrivare alla rivoluzione comunista (guerra di movimento, scontro violento di classe per la conquista del potere) è prima necessario combattere una “guerra di posizione” per sostituire l’egemonia culturale della borghesia con quella anticapitalista.
Il materialismo ci insegna che le norme culturali prevalenti non devono essere viste come “naturali”, “inevitabili” o “eterne”, ma possono e devono essere cambiate. Conquistare l’egemonia non è facile perché la classe dominante per mantenere il proprio potere è in grado di realizzare “rivoluzioni passive”, adeguando lo sviluppo economico alle necessità materiali della popolazione subordinata, in modo che questo contentino permetta di non modificare radicalmente le fondamenta della società capitalista. Inoltre per depotenziare la concezione del mondo anticapitalista, le classi dominanti denigrano la cultura delle classi subalterne, derubricandola a folklore. Un gruppo sociale che lotta per conquistare l’egemonia politica deve parallelamente da un lato conquistare ideologicamente gli intellettuali tradizionali, e dall’altro elaborare gli intellettuali organici alla propria classe e fare di questi i propri dirigenti politici. Il Partito Comunista dev’essere sintesi di questo processo: intellettuale collettivo di avanguardia e direzione politica della classe proletaria che lotta per l’egemonia. Quando le classi dominanti non riescono più a risolvere i problemi della collettività e ad imporre la propria ideologia, si manifesta la crisi dell’egemonia. A questo punto se le classi subalterne (proletariato e parte della piccola borghesia) riescono ad indicare soluzioni concrete ai problemi lasciati irrisolti dalla classe dominante, possono diventare dirigenti, creando un nuovo blocco sociale, diventando egemoni. La conquista dell’egemonia avviene inizialmente a livello della sovrastruttura (politica, cultura, idee, morale…), ma poi trapassa nella società investendo anche la struttura, dunque tutto il blocco storico (insieme di rapporti sociali di produzione e i loro riflessi ideologici).
Propedeutica alla lotta per la conquista dell’egemonia è la formazione di una coscienza di classe: il proletariato per lo più non è consapevole della sua condizione reale di subordinazione al capitale, non ha una chiara conoscenza teorica che lo aiuti a conoscere il mondo e quindi a trasformarlo. Per maturare questa autocoscienza critica occorre organizzarsi e creare un gruppo di intellettuali organici alla classe.
L’organizzazione politica del proletariato non può che essere il Partito Comunista. Il partito deve comporsi di tre elementi fondamentali:
1) uomini comuni la cui partecipazione è offerta da disciplina e fedeltà. La forza di questa massa sta nella coesione e nella centralizzazione: in assenza del centro la massa si sparpaglia e si annulla in un pulviscolo impotente;
2) elemento coesivo principale dotato di inventiva. Da solo non forma il partito, ma è più importante (come punto di partenza) della massa: è più facile formare un esercito che formare dei capitani;
3) elemento medio: dei quadri dirigenti che sappiano mettere in contatto fisico, morale e intellettuale il centro dirigente con la massa.
Gramsci ha marchiato in maniera indelebile non solo il Partito Comunista Italiano ma è diventato complessivamente il punto di riferimento fondamentale cui si sono attenuti i partiti comunisti operativi in condizione di un regime democratico liberale borghese. Tutt'oggi è uno degli autori marxisti più studiati nel mondo, dall'America Latina alla Cina.

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