«Noi respingiamo ogni pretesa di imporci una qualsiasi dogmatica morale come legge etica eterna, definitiva, immutabile nell'avvenire, col pretesto che anche il mondo morale abbia i suoi princìpi permanenti, che stanno al di sopra della storia e delle differenze tra i popoli. Affermiamo per contro, che ogni teoria morale sinora esistita è, in ultima analisi, il risultato della condizione economica della società del tempo. E come la società si è mossa sinora sul piano degli antagonismi di classe, così la morale è sempre stata una morale di classe; o ha giustificato il dominio e gli interessi della classe dominante, o, divenuta la classe oppressa sufficientemente forte, ha rappresentato la rivolta contro questo dominio e gli interessi futuri degli oppressi […] Ma non abbiamo ancora superato la morale di classe. Una morale che superi gli antagonismi delle classi e le loro sopravvivenze nel pensiero, una morale veramente umana è possibile solo a un livello sociale in cui gli antagonismi delle classi non solo siano superati, ma siano anche dimenticati per la prassi della vita». (Friedrich Engels, da Antidühring)
Tale lotta contro i settori più arretrati del proletariato, più o meno presenti nelle organizzazioni operaie, è secondo Lenin strettamente intrecciata proprio al fenomeno dell'imperialismo:
«I capitalisti di uno dei tanti rami industriali, di uno dei tanti paesi, ecc., raccogliendo gli alti profitti monopolistici hanno la possibilità di corrompere singoli strati di operai e, transitoriamente, perfino considerevoli minoranze di essi schierandole a fianco della borghesia del rispettivo ramo industriale o della rispettiva nazione contro tutte le altre. Questa tendenza è rafforzata dall'aspro antagonismo esistente tra i popoli imperialisti a motivo della spartizione del mondo. Così sorge un legame tra l'imperialismo e l'opportunismo. […] Più pericolosi di tutti, da questo punto di vista, sono coloro i quali non vogliono capire che la lotta contro l'imperialismo, se non è indissolubilmente legata con la lotta contro l'opportunismo, è una frase vuota e falsa».
Un'analisi che ricorda molto da vicina quella realizzata da Antonio Gramsci:
«La demagogia, l’illusione, la menzogna, la corruzione della società capitalistica non sono accidenti secondari della sua struttura, sono inerenti al disordine, allo scatenamento di brutali passioni, alla feroce concorrenza in cui e per cui la società capitalistica vive. Non possono essere abolite, senza abolire la struttura che la genera. Le prediche, gli stimoli, le moralità, i ragionamenti, la scienza, i “se…” sono inutili e ridicoli. La proprietà privata capitalistica dissolve ogni rapporto d’interesse generale, rende cieche e torbide le coscienze. Il lucro singolo finisce sempre col trionfare di ogni buon proposito, di ogni idealità superiore, di ogni programma morale».
Gli effetti negativi della corruzione in seno alla classe operaia, qualora dovessero giungere a devastare l'organizzazione rivoluzionaria, tendono inoltre a generare fenomeni tra loro contrapposti, venendo meno la capacità dialettica di giungere ad una sintesi proficua delle varie tendenze politiche spontanee e non scientifiche:
«una forte organizzazione rivoluzionaria è assolutamente necessaria per rendere stabile il movimento e per premunirlo contro la possibilità di attacchi inconsulti. Proprio in questo momento, data la mancanza di una simile organizzazione, dato il rapido sviluppo spontaneo del movimento operaio, si possono già notare due estremi (che, come è naturale, “si toccano”): un economismo assolutamente inconsistente, che predica la moderazione, e un “terrorismo stimolante” che è altrettanto inconsistente e cerca “di provocare artificialmente i sintomi della fine di un movimento il quale è in progresso continuo, ma ancora più vicino al punto di partenza che non al punto di arrivo”».