21 Novembre 2024

9.2. L'IRRAZIONALISMO E LA FEDE

Le religioni nascono e si fondano su un messaggio irrazionale fondato sulla fede verso l’esistenza di qualcosa che l’essere umano non può comprendere completamente né oggi né mai. Le religioni tendono insomma in ultima istanza a relegare il razionalismo in secondo piano rispetto alla fede, favorendo la diffusione di una mentalità fideistica che tende all’introiezione di un pensiero acritico e propenso a privilegiare una fonte di auctoritas, la quale è stata spesso utilizzata nell’arco della Storia per diffondere un’idea del diritto naturale consona e adeguata alle classi dominanti. Se Dio viene prima di ogni altra cosa, infatti, ne deriva che non può che aver creato un ordine fondato su leggi divine e naturali (razionali perfino, secondo la teologia dominante). Se le cose stanno come stanno occorre insomma rispettarle, perché in una certa misura figlie dell’ordine razionale voluto da Dio. L’irrazionalità della fede in un’esistenza mitica, onnipotente e primordiale, serve allora agli oppressori a giustificare razionalmente l’ordine esistente, lasciando agli oppressi la sola speranza di una felicità futura, in una seconda esistenza ultraterrena di cui però nessuno ha una prova razionale da esibire. I detentori della parola di Dio, ossia le caste religiose, di qualsiasi formato e colore esse siano, detengono così un enorme potere, per millenni perno di veri e propri totalitarismi capaci di espungere con la forza e con il consenso dalle masse ogni pensiero e teoria estranea all’ottica religiosa. Tuttora l’ideologia religiosa è potente e attrattiva soprattutto per i più disperati, che in questa maniera possono ambire ad un mondo migliore almeno in un’altra esistenza. Questa credenza, diventata una “scommessa” per molti individui, aiuta insomma a sopportare il tran tran quotidiano e ad accettare la situazione vigente. La fede e l’irrazionalismo diventano quindi i più imponenti ostacoli alla diffusione di un messaggio rivoluzionario teso a liberare l’uomo dalle proprie catene. Non è un caso che storicamente le organizzazioni religiose siano sempre state ostili ai movimenti rivoluzionari proletari, ed in particolar modo negli ultimi secoli ai movimenti socialisti e comunisti. Rimane ancora da portare a termine e da far rispettare su tutto il globo il motto oraziano ripreso da Kant, «sapere aude»: abbi il coraggio di conoscere! Abbi il coraggio di mettere in gioco te stesso e le tue credenze! Ben si comprende quindi perché Lukàcs abbia costruito uno dei suoi capolavori, La distruzione della ragione, identificando le varie forme di irrazionalismo e fideismo residui delle religioni presenti nella filosofia tedesca dell’epoca contemporanea. Il discorso di un marxista è necessariamente sempre complesso, articolato e richiede l’accettazione da parte dell’interlocutore del discorso razionale. Un requisito non scontato. In mancanza di tale premessa il risultato non potrà che essere sempre quello già descritto da Gramsci112:
«Disabituati al pensiero, contenti della vita del giorno per giorno, ci troviamo oggi disarmati di contro alla bufera. Avevamo meccanizzato la vita, avevamo meccanizzato noi stessi. Ci accontentavamo di poco: la conquista di una piccola verità ci riempiva di tanta gioia come se avessimo conquistato tutta la verità. Rifuggivamo dagli sforzi, ci sembrava inutile porre delle ipotesi lontane e risolverle, sia pure provvisoriamente. Eravamo dei mistici inconsapevolmente. O davamo troppa importanza alla realtà del momento, ai fatti, o non ne davamo loro alcuna. O eravamo astratti perché di un fatto, della realtà facevamo tutta la nostra vita, ipnotizzandoci, o lo eravamo perché mancavamo completamente di senso storico, e non vedevamo che l’avvenire sprofonda le sue radici nel presente e nel passato, e gli uomini, i giudizi degli uomini possono fare dei salti, devono fare dei salti, ma non la materia, la realtà economica e morale. Tanto più grande è il dovere attuale di porre un ordine in noi […]. Gli errori che si sono potuti commettere, il male che non si è potuto evitare non sono dovuti a formule o a programmi. L’errore, il male era in noi, era nel nostro dilettantismo, nella leggerezza della nostra vita, era nel costume politico generale, dei cui pervertimenti anche noi partecipavamo inconsapevolmente […]. Cambiare le formule non significa nulla. Occorre che cambiamo noi stessi, che cambi il metodo della nostra azione. Siamo avvelenati da un’educazione riformistica che ha distrutto il pensiero, che ha impaludato il pensiero, il giudizio contingente, occasionale, il pensiero eterno, che si rinnova continuamente pur mantenendosi immutato […]. Progrediamo per intuizioni più che per ragionamenti; e ciò porta a una instabilità continua, a una continua insoddisfazione: siamo dei temperamenti più che dei caratteri. Non sappiamo mai ciò che i nostri compagni potranno fare domani; siamo disabituati al pensare concreto, e perciò non sappiamo fissare ciò che domani si debba fare, e se lo sappiamo per noi, non lo sappiamo per gli altri, che ci sono compagni di lotta, che dovranno coordinare i loro sforzi ai nostri sforzi».
La conclusione inevitabile di una fede irrazionalistica è il ripudio, totale o parziale, di un approccio scientifico riguardante qualsiasi questione, non solo quelle fisiche e chimiche, ma anche quelle sociali, economiche e politiche. Trionfa l’opinione della grande e piccola autorità con gli annessi pregiudizi e luoghi comuni dovuti ad interessi e ignoranza. Viene demolito lo spirito critico (e autocritico), l’atteggiamento severamente scientifico e serio.
In un ordine costruito su tali basi non trionfa solo un ordine reazionario, ma muore anche la civiltà scientifica e si torna ad un passato in cui scienziati come Galilei erano costretti ad abiurare. Un errore in cui sono caduti purtroppo anche i sovietici con il caso Lysenko.
112. A. Gramsci, Letture, Il Grido del Popolo, 24 novembre 1917.

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