21 Novembre 2024

8.07. LA SCISSIONE CULTURALE TRA LIBERTÀ E GIUSTIZIA SOCIALE

Di seguito un importante estratto di un’opera fondamentale di David Harvey101 che spiega bene quando sia avvenuta all’interno della cultura di sinistra la scissione culturale tra libertà e giustizia sociale e le conseguenze rovinose che ciò ha avuto per le organizzazioni rivoluzionarie, facendo venir meno quell’indispensabile disciplina individuale al servizio del progetto collettivo:
«I valori della libertà individuale e della giustizia sociale non sono, però, necessariamente compatibili. Il perseguimento della giustizia sociale presuppone solidarietà sociali e una propensione a sublimare le esigenze, i bisogni e i desideri individuali nell’ambito di una lotta più generale, per esempio per l’uguaglianza sociale o la giustizia ambientale.
Nel movimento del ‘68 gli obiettivi che riguardavano la giustizia sociale e quelli relativi alla libertà individuale si fondevano con qualche difficoltà. L’attrito divenne più che mai evidente nella tensione che caratterizzò i rapporti tra la sinistra tradizionale (organizzazioni dei lavoratori e partiti politici a favore delle solidarietà sociali) e il movimento studentesco, desideroso di libertà individuali. Il sospetto e le ostilità che separarono queste due componenti in Francia (per esempio il Partito Comunista e il movimento studentesco) durante i fatti del ‘68 rappresentano un caso indicativo. Anche se non è impossibile colmare tali divergenze, non è però difficile accorgersi che possono anche essere più profonde. La retorica neoliberista, con la sua enfasi sulle libertà individuali, è in grado di separare il libertarismo, le politiche dell’identità, il multiculturalismo e il consumismo narcisistico dalle forze sociali che perseguono la giustizia sociale tramite la conquista del potere. Da tempo si è dimostrato estremamente difficile per la sinistra statunitense, per esempio, costruire la disciplina collettiva necessaria per un’azione politica tesa alla conquista della giustizia sociale senza recare offesa all’aspirazione dei partecipanti a libertà individuali e a un pieno riconoscimento ed espressione delle identità particolari. Il neoliberismo non ha creato queste distinzioni, ma ha potuto facilmente sfruttarle, se non fomentarle […]. Appropriandosi delle idee di libertà individuale e volgendole contro le pratiche interventiste e regolatorie dello Stato, gli interessi della classe capitalista potevano sperare di proteggere, e anche di restaurare, la loro posizione. Il neoliberismo era del tutto funzionale a questo compito ideologico, ma doveva trovare sostegno in una strategia pratica che ponesse l’accento sulla libertà di scelta del consumatore, non solo rispetto a prodotti specifici, bensì anche rispetto a stili di vita, modi d’espressione e un’ampia gamma di pratiche culturali. La neoliberalizzazione richiedeva, politicamente ed economicamente, la costruzione di una cultura populista neoliberista, basata sul mercato, fatta di consumismo differenziato e libertarismo individuale. In quanto tale si è dimostrata più che compatibile con la corrente culturale chiamata “postmodernismo”, che per molto tempo era rimasta in posizione subalterna, ma che ora poteva emergere pienamente come una dominante culturale e intellettuale. La sfida messa a punto con grande sottigliezza dalle corporazioni e dalle classi dominanti negli anni Ottanta fu questa».
101. D. Harvey, Breve Storia del Neoliberismo, Il Saggiatore, Milano 2005, pp. 53-55.

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