8.10. ALCOOL E DROGHE, LE LIBERTÀ DEVIATE
«Tutte le lusinghe, tutte le possibili tentazioni si uniscono per spingere gli operai all’ubriachezza. L’acquavite è per essi quasi la sola fonte di piacere, e tutto congiura per mettergliela a portata di mano. L’operaio ritorna a casa stanco ed esaurito dal suo lavoro; trova un’abitazione priva di ogni comodità, umida, sgradevole e sudicia; ha un acuto bisogno di una distrazione, deve avere qualcosa per cui valga la pena di lavorare, che gli renda sopportabile la prospettiva delle fatiche del giorno successivo; il suo umore depresso, insoddisfatto e ipocondriaco che nasce già dalle sue precarie condizioni di salute, soprattutto dalla cattiva digestione, viene spinto oltre i limiti del tollerabile dalle sue condizioni generali di vita, dall’insicurezza dell’esistenza, dalla dipendenza assoluta dai capricci del caso, dalla incapacità di fare personalmente qualcosa per dare sicurezza alla propria posizione; il suo fisico logorato, indebolito dall’aria viziata e dalla cattiva alimentazione, chiede prepotentemente uno stimolo dal di fuori; il suo desiderio di compagnia può essere soddisfatto solo in un’osteria, egli non ha assolutamente altro luogo dove incontrare i suoi amici; e con tutto questo l’operaio non dovrebbe sentire fortissima la tentazione di ubriacarsi, dovrebbe essere capace di respingere gli allettamenti del bere? Al contrario in simili circostanze esiste una necessità fisica e morale, per cui una grande parte degli operai deve soggiacere all’alcol. E, prescindendo dai fattori più propriamente fisici, che spingono l’operaio a bere, l’esempio della maggioranza, l’educazione trascurata, l’impossibilità di proteggere i giovani dalla tentazione, in parecchi casi l’influsso diretto di genitori ubriaconi che danno l’acquavite ai propri figli, la certezza di poter dimenticare per qualche ora nell’ebrietà la miseria e il peso della vita; queste e centro altre circostanze agiscono così fortemente che in verità non si può rimproverare agli operai la loro predilezione per l’acquavite. L’ubriachezza in questi casi cessa di essere un vizio del quale si possa rendere responsabile il vizioso, diviene un fenomeno, la conseguenza necessaria e inevitabile di determinate condizioni nei confronti di un oggetto che, almeno riguardo a queste condizioni, è privo di volontà. Coloro i quali hanno fatto dell’operaio un puro e semplice oggetto ne portino la responsabilità. Ma come è inevitabile che un gran numero di operai cada vittima dell’ubriachezza, così è anche inevitabile che l’alcol eserciti i suoi effetti distruttivi sullo spirito e sul corpo delle sue vittime».Alcol e droghe leggere, assunti in proporzioni libertine ed esagerate, sono diventati strumenti potenti di assuefazione e distrazione soprattutto per le fasce sociali più giovani. Se è evidente, infatti, che tali svaghi sollevino l’individuo dalle miserie e dalle insicurezze prodotte dal capitalismo, è altrettanto vero che distolgano sempre più dalla capacità di mettere in campo una seria organizzazione di lotta. L’uso eccessivo di alcol e droghe destabilizza l’individuo compromettendone sul lungo termine le capacità psico-fisiche, tanto necessarie per mantenere la lucidità e il discernimento critico in un mondo totalitario in cui dominano l’inganno e la falsificazione. Questo discorso non riguarda solo ragazzi “annoiati” o delusi dalla società, ostili ai “massimi sistemi” e incapaci di affrontare i primi fallimenti individuali. Ad essere colpiti dal fenomeno sono anche lavoratori adulti, se non anziani, il che ne fa un problema di classe, come emergeva da un’inchiesta di Loris Campetti pubblicata su Il Manifesto nel 2008106, di cui riportiamo un estratto:
(Friedrich Engels, da La situazione della classe operaia in Inghilterra, 1845)105
«Nel 2008 ci sono realtà industriali importanti in cui addirittura il 50% dei lavoratori si fa di cocaina e, in misura minore, di eroina e di ogni sostanza capace di rendere più tollerabile una “vita di merda”, o meglio, di far sognare un’improbabile fuga da essa. Di merda è il lavoro così come la normalità delle relazioni in paesi privi di vita sociale, che concedono ben poco alle speranze di futuro e di cambiamento, ci raccontano le tute blu. Ci si fa per lavorare, per sballare, per fare l’amore. Ci si fa alla catena di montaggio, in discoteca con gli amici, a letto con la moglie per migliorare le prestazioni sessuali; poi arriva la dipendenza e con essa lo spaccio per pagarsi la dose. Operai e operaie, capi e sorveglianti, adescati in fabbrica da altri operai: una “pista” nei cessi della fabbrica tanto per provare, l’esaltazione e il cuore che batte a mille, l’adrenalina che all’inizio fa persino aumentare la produzione, infine la consuetudine. Si lavora di notte per guadagnare trecento euro in più, 1.400 invece di 1.100 euro buoni per affrontare l’astinenza e la crisi della quarta settimana. La notte ci sono meno controlli, “tu fai i picchi di produzione e i capi non ti rompono il cazzo”».Un discorso ancora peggiore occorre fare per le droghe pesanti, che distruggono in maniera assai più rapida la salute psico-fisica di un individuo, tanto da renderne insopportabili le conseguenze politiche per i comunisti anche di fronte al più piccolo consumo.
Non è un caso che la diffusione di droghe pesanti sia stata utilizzata fin dagli anni ‘70 sia negli USA per stroncare l’organizzazione delle Black Panthers107, sia negli altri paesi, tra cui l’Italia. Lo spiega molto bene l’estratto di articolo108 che segue:
«Continuità. Da questo occorre partire e questo va sempre tenuto bene in mente per non fare dell’antifascismo un fattore di liturgia ma un fronte di lotta anche in tempi come questi. Ad esempio perché Milano è la città dove un commando (misto?) uccise nel 1978 Fausto e Iaio, due giovani attivisti del Centro Sociale Leoncavallo che stavano conducendo una inchiesta proprio sui legami tra i fascisti e il boom dello spaccio di eroina nel territorio milanese. E anche su questo le date sono importanti. Il 1978 non è un anno qualsiasi. Dai verbali della Commissione parlamentare antimafia della XI legislatura, presieduta da Luciano Violante, il boss mafioso Tommaso Buscetta, nella dodicesima seduta della Commissione riferisce che il traffico di stupefacenti in Italia era iniziato solo nel 1978, benché fosse risaputa sin dalla relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, della VI legislatura, l’attività di narcotraffico della mafia siciliana strutturata da anni da Lucky Luciano in direzione degli Stati Uniti (la sola New York, negli anni ‘50, necessitava di almeno 100 kg di eroina al giorno, fornita ai Gambino dai clan palermitani). La crescita del traffico di droga, rispetto al contrabbando, secondo Buscetta, costituì una vera e propria rottura epocale del sistema dei valori della mafia tradizionale, che implicò anche i principi dell’affiliazione, portando alla luce le famiglie più grosse e numerose, quelle che potevano contare su più parenti emigrati all’estero ed in Italia. Il 1978 è dunque un anno decisivo, uno spartiacque temporale per il boom della diffusione dell’eroina nel nostro paese strettamente connesso alla storia dei movimenti e del conflitto sociale.
L’anno prima, il 1977, un ampio e combattivo movimento si era diffuso in tutte le principali aree metropolitane contro la politica dei sacrifici e il governo del compromesso storico DC-PCI. Decine di manifestazioni, scontri, morti nelle piazze, il comizio di Lama contestato all’università di Roma, i primi vagiti dei gruppi clandestini della sinistra. Contro quel movimento fu scatenata una controffensiva violenta in cui gli apparati dello Stato misero in campo tutto l’armamentario di cui disponevano, inclusi i gruppi neofascisti e malavitosi (non a caso a Roma sono gli anni della crescita della “Banda della Magliana”). Lo spaccio massiccio di eroina “a prezzi stracciati” nei quartieri popolari e nei settori giovanili è parte di questa controffensiva. L’idea era stata elaborata solo qualche anno prima. A rivelarlo è un fascista interrogato per la Strage di Brescia, Roberto Cavallaro. Arrestato ed inquisito dalla magistratura nell’ambito dell’indagine sul fallito golpe, riferì agli organi inquirenti che, nel 1972, mentre si trovava in addestramento in Francia, apprese dell’esistenza di una operazione segreta della CIA in Italia, denominata Blue Moon, con l’obiettivo della diffusione delle sostanze stupefacenti a base di oppiacei tra i giovani delle principali città italiane e per sviluppare disgregazione sociale, con l’obiettivo di diffondere il consumo di droga negli ambienti sociali vicini all’area della contestazione studentesca, fiaccandone le velleità rivoluzionarie ed esaltandone gli istinti individualisti ed anarcoidi, come già era stato sperimentato con successo negli USA. L’operazione Blue Moon “era condotta in Italia dai servizi statunitensi utilizzando uomini e strutture che facevano capo alle rappresentanze ufficiali di quel paese in Italia”».
105. F. Engels, da La situazione della classe operaia in Inghilterra, 1845, all'interno di F. Marx & F. Engels, Opere, vol. IV (1844-1845), Editori Riuniti, Roma 1972, p. 335.
106. L. Campetti, Quanto “tira” la classe operaia, Il Manifesto-Gennarocarotenuto.it, 16 maggio 2008.
107. A. De Vito, Operazione Bluemoon. Eroina di Stato, Contropiano, 30 dicembre 2016.
108. Redazione Contropiano, Milano. Nuove conferme sui legami tra fascisti, criminalità e traffico di droga, Contropiano, 18 aprile 2014.