8.04. LE RIVOLUZIONI COLORATE IN NOME DELLA LIBERTÀ
Nel 2007 Domenico Losurdo pubblica un preziosissimo libro, La non-violenza. Una storia fuori dal mito91, in cui dedica i capitoli conclusivi alle “rivoluzioni colorate” avvenute ad esempio in Georgia nel 2003, quando l’allora premier Shevardnadze fu obbligato a dimettersi per lasciare il posto ad un governo più compiacente verso gli occidentali. Losurdo fa notare come la tecnica usata fosse la stessa di quella con cui si cercò di incrinare il potere cinese nella rivolta di Tienanmen (1989)92 e che nello stesso periodo ebbe successo nella caduta dei paesi socialisti dell’est Europa. In molti hanno notato dei parallelismi sospetti con diverse altre “rivoluzioni” messe in atto negli anni Duemila in altri paesi dell’area post-sovietica: Armenia, Kirghizistan, l’Ucraina (2004 e poi 2013)93. Di fatto tutti questi rivolgimenti politici sono caratterizzati da una medesima metodologia, chiamata per l’appunto “rivoluzione colorata”, di cui si sono studiate e precisate a fondo le caratteristiche: controllare l’informazione e una serie di ONG operanti dentro e fuori il territorio; utilizzare situazioni di malcontento per scatenare e guidare rivolte apparentemente non-violente (per le quali è più facile simpatizzare); utilizzare squadre specializzate, facendo leva se necessario sugli estremismi nazionalistici o religiosi; non limitarsi ad ottenere riforme e concessioni ma perseguire senza esitare la presa del potere.94 Tale casistica, lungi dall’essere causale o segreta, è stata scientemente teorizzata negli anni ‘80 dall’intellettuale Gene Sharp, ridefinito “il Clausewitz della guerra non-violenta”. Nel 1983 Sharp fonda l’Albert Einstein Institution (AEI) grazie al sostegno finanziario di una serie di istituti filo-governativi americani come NED, NDI, IRI, Freedom House e varie fondazioni riconducibili al miliardario George Soros95. Il risultato più importante del lavoro di questa associazione è stato la pubblicazione, avvenuta nel 1993, dell’opera Dalla dittatura alla democrazia (da cui anche il film di grande successo How to start a revolution del 2011): un manuale in 198 punti di lotta «realisticamente» non-violenta, che venne tradotto in decine di lingue (tra cui molte di quelle delle minoranze etniche in Cina) e che è disponibile gratuitamente anche online96. È significativo che nel corso degli anni diversi ricercatori dell’AEI siano stati avvistati sia a Tienanmen sia in alcune insurrezioni anti-russe. A questo punto dovrebbe essere chiaro come la strategia studiata da Sharp sia diventata di fatto il modus operandi preferito dagli USA per destabilizzare un paese e porlo sulla propria orbita egemonica, attraverso un sistema che consente di rimanere nell’ombra senza dover far ricorso a rischiosi, sanguinosi e costosi conflitti militari, i quali vanno intrapresi solo come ultima ratio, qualora ci siano condizioni e necessità stringenti, e attraverso la strategia del Leading from behind, ossia del coinvolgimento ampio di paesi attraverso alleanze facenti perno su NATO o ONU, al fine principale di limitare i danni d’immagine e mascherare l’aggressione imperialista.
Esagerazioni? Complottismo? No, è sufficiente analizzare alcuni documenti per attestare la credibilità di tali tesi. A partire dal Memorandum n° 40 del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli USA riunito da Kissinger nel 1970, che sanciva la strategia «di basso profilo» da adottare per destabilizzare il Cile socialista di Salvador Allende97. 5 punti che prevedevano la creazione del caos economico, l’autorizzazione ad azioni paramilitari, un’offensiva di propaganda, il finanziamento di settori dell’estrema destra, l’infiltrazione e divisione dall’interno della sinistra cilena. Uguali tattiche furono adottate negli anni precedenti e successivi dalla CIA (su preciso mandato presidenziale) contro decine di paesi di tutto il mondo. Ancora nel 2004, in un cablo diplomatico del 9 novembre 2006 diffuso da Wikileaks, l’ambasciatore statunitense rivelava le direttive del “Piano di 5 punti contro il Governo Bolivariano”, che prevedevano tra le altre cose l’infiltrazione nella base politica chavista, la protezione degli affari vitali degli Stati Uniti e l’isolamento internazionale di Chavez. È recente infine la rivelazione di Raul Capote, nell’opera Un altro agente all’Avana.
Le avventure di un infiltrato nella CIA, dei tentativi statunitensi di destabilizzare tuttora il governo cubano attraverso la creazione di gruppi di opposizione sociale e il controllo dell’informazione98. Le rivoluzioni colorate sono insomma nient’altro che lo strumento più raffinato di cui dispone oggi l’imperialismo per imporre il proprio dominio su paesi sovrani refrattari ad accettare certe misure politiche o economiche. Tale casistica rientra nell’armamentario della cosiddetta “guerra psicologica” ma viene amplificata enormemente grazie al controllo mediatico pressoché totalitario e alla mancanza di un forte circuito di quella che una volta veniva definita “controinformazione”.
Anche in questo caso ha pesato enormemente in Occidente la crisi del movimento comunista, pilastro della lotta antimperialista.
Esagerazioni? Complottismo? No, è sufficiente analizzare alcuni documenti per attestare la credibilità di tali tesi. A partire dal Memorandum n° 40 del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli USA riunito da Kissinger nel 1970, che sanciva la strategia «di basso profilo» da adottare per destabilizzare il Cile socialista di Salvador Allende97. 5 punti che prevedevano la creazione del caos economico, l’autorizzazione ad azioni paramilitari, un’offensiva di propaganda, il finanziamento di settori dell’estrema destra, l’infiltrazione e divisione dall’interno della sinistra cilena. Uguali tattiche furono adottate negli anni precedenti e successivi dalla CIA (su preciso mandato presidenziale) contro decine di paesi di tutto il mondo. Ancora nel 2004, in un cablo diplomatico del 9 novembre 2006 diffuso da Wikileaks, l’ambasciatore statunitense rivelava le direttive del “Piano di 5 punti contro il Governo Bolivariano”, che prevedevano tra le altre cose l’infiltrazione nella base politica chavista, la protezione degli affari vitali degli Stati Uniti e l’isolamento internazionale di Chavez. È recente infine la rivelazione di Raul Capote, nell’opera Un altro agente all’Avana.
Le avventure di un infiltrato nella CIA, dei tentativi statunitensi di destabilizzare tuttora il governo cubano attraverso la creazione di gruppi di opposizione sociale e il controllo dell’informazione98. Le rivoluzioni colorate sono insomma nient’altro che lo strumento più raffinato di cui dispone oggi l’imperialismo per imporre il proprio dominio su paesi sovrani refrattari ad accettare certe misure politiche o economiche. Tale casistica rientra nell’armamentario della cosiddetta “guerra psicologica” ma viene amplificata enormemente grazie al controllo mediatico pressoché totalitario e alla mancanza di un forte circuito di quella che una volta veniva definita “controinformazione”.
Anche in questo caso ha pesato enormemente in Occidente la crisi del movimento comunista, pilastro della lotta antimperialista.
91. D. Losurdo, La non-violenza, cit.
92. D. Losurdo, Le rivoluzioni colorate e la Cina. Da Tienanmen a Hong Kong, Marx21 (web), 1 ottobre 2014.
93. Si vedano a riguardo alcuni articoli che seguono questo schema, quali S. Schembri, Furono reali o pilotate le rivoluzioni colorate nell’ex URSS?, Puntocontinenti.it, 31 luglio 2014 o anche M. L. Andriola, Ucraina: l’ombra di Otpor e delle Ong sulle “rivoluzioni colorate” filoamericane, L’Interferenza, 28 maggio 2014.
94. Per un approfondimento si può vedere: Fondazione di Cultura Strategica, Rivoluzioni colorate come strumento di trasformazione geopolitica, Civg.it, 26 aprile 2014; sulle ONG invece A. Korybko, Wanted: NGO Whistleblowers, Thesaker.it, 15 giugno 2015.
95. Per un quadro completo si consiglia P. Mangano, Otpor - Rivoluzioni colorate, Fattidarte.wordpress.com, 5 gennaio 2018. Anche Giulietto Chiesa espose l’argomento pubblicamente in G. Chiesa, Ucraina: in attesa del premio Nobel per la pace a Gene Sharp”, Il Fatto Quotidiano (web), 4 marzo 2014.
96. G. Sharp, Dalla dittatura alla democrazia. Come abbattere un regime. Manuale di liberazione nonviolenta, Chiarelettere-Nuovoeutile.it, Milano 2011.
97. Per questo e i fatti successivi si fa riferimento a C. Fazio, Il conflitto Stati Uniti/Venezuela e il VII Vertice delle Americhe, Rebelion.org-CCDP, 7 aprile 2015.
98. G. Colotti, «Sono stato un agente cubano infiltrato all’interno della Cia», Il Manifesto, 30 maggio 2015.