«Paradossalmente, in maniera controintuitiva rispetto alla vulgata odierna, non fu il troppo controllo dell’economia che affossò l’URSS, bensì al contrario la mancanza di controllo di attività “illegali” che prosperavano sui bassifondi della vita economica sovietica, l’incapacità di dirigerli negli interessi superiori dello sviluppo delle repubbliche socialiste: attività che arrivarono necessariamente ad attaccare i gangli vitali del sistema al fine di prenderne il sopravvento. Quando vennero alla luce fu troppo tardi per fermare questi “spiriti animali”. Se infatti in un sistema capitalista il laissez-faire accordato agli agenti economici privati è salutare, e l’economia sommersa è consustanziale al capitalismo e alimenta alcuni canali di profitto e arricchimento privato, in un sistema socialista, se non controllato, può condurre alla morte e alla paralisi del sistema, il quale è orientato verso altri obiettivi, ossia la ripartizione sociale delle ricchezze sulla base dell’eguaglianza e della giustizia sociale contro l’accumulazione e l’accaparramento privato. E controllo, in tal senso, non vuol dire tanto proprietà, quanto capacità egemonica di indirizzo da parte del potere politico del capitale o dell’attività privata.