7.1. LA CONDANNA DEL MOVIMENTO COMUNISTA INTERNAZIONALE
Di seguito il punto di vista dei comunisti vietnamiti89 sulla politica interna di Pol Pot:
«Padrone del paese, il gruppo Pol Pot-Ieng Sary era ormai libero di applicare le sue teorie “rivoluzionarie” tanto in politica interna che in politica estera. La prima misura presa dai liberatori di Phnom Penh fu quella di ordinare l’evacuazione totale della capitale e di tutti gli altri centri urbani. Furono invocate due ragioni: le città potevano nascondere delle basi contro-rivoluzionarie che non era facile scoprire; d’altra parte, la dispersione della popolazione urbana implicava la liquidazione automatica delle classi sfruttatrici, feudali e borghesi. Nell’insieme del paese si cominciò ad applicare una politica di discriminazione non mascherata. Tutti gli ex “collaboratori”, sostenitori di Lon Nol e di Sihanuk, furono giustiziati, i più alti in grado anche con le famiglie. Gli altri abitanti delle regioni appena liberate erano classificati nella categoria dei “nuovi cittadini”. Cacciati nelle campagne, essi venivano incorporati nelle brigate di produzione agricola in seno alle “comuni popolari” e posti agli ordini dei “cittadini anziani” (abitanti delle regioni liberate prima del prima del 17 aprile 1975). Si diffidava perfino degli operai che avevano vissuto nelle città; non erano più autorizzati a lavorare nelle fabbriche di caucciù. Al loro posto venivano reclutati dei soldati dell’armata khmer rossa. La stessa diffidenza si manifestava nei confronti di tutte le persone di una certa età; erano sospetti di essere impregnati dell’ideologia del vecchio regime. Anche tra i “cittadini anziani” si ammettevano nel Partito comunista solo quelli che avevano meno di 23 anni nel 1975, cioè meno di 18 anni nel 1970, l’anno del colpo di Stato. In ogni modo si proibiva ai giovani di più di 18 anni di vivere con i loro genitori per paura di vederli contaminati dalle idee del vecchio regime. Ogni vita familiare andava sparendo sotto il nuovo regime. Le coppie erano autorizzate a incontrarsi solamente di notte e, in certe regioni, in modo irregolare. Tutti erano obbligati a un lavoro duro per la coltivazione del riso e dell’hevea o allo scavo dei canali d’irrigazione. La giornata di lavoro durava dalle quattro del mattino fino a notte fonda. Essendo state soppresse le cucine private, si mangiava insieme per brigate di produzione. Le razioni di riso erano nettamente insufficienti, anche per i “cittadini anziani”; due scodelle di riso per pasto nella maggior parte delle regioni e ciò solamente dopo il raccolto; esse erano ridotte di un terzo o della metà per i “nuovi cittadini”. Regnava una disciplina di ferro: ogni velleità di opposizione, ogni segno di rilassamento nel lavoro erano duramente castigati dall’Angkar, la misteriosa “Organizzazione” creata dai militari in camicia nera. Costoro uccidevano i refrattari a colpi di piccone, di ascia, di martello. Le esecuzioni in massa servivano da esempio. Nel calcolo delle persone morte per alimentazione insufficiente o per mancanza di medicinali (è difficile dare cifre esatte) c’è chi parla di 2 milioni di vittime dopo il 1975. Un vero genocidio! La nuova società si proclamava senza classi. Spesso si eliminavano fisicamente non soltanto gli elementi borghesi e feudali, ma anche quasi tutti gli intellettuali accusati di essere più o meno borghesi. Il regime si vantava di essere ateo; le pagode furono demolite, le statue di Budda distrutte, i bonzi obbligati ad abbandonare la loro veste color zafferano e a lavorare nelle comuni popolari. Una xenofobia sfrenata si accaniva in modo crudele; si perseguitavano tutti i non khmer, fossero essi Cham, Cinesi o Vietnamiti. Tutte le istituzioni sociali ritenute feudali o borghesi venivano soppresse per timore che creassero complicazione, che la CIA e la borghesia le utilizzassero per scalzare il regime: furono soppressi il mercato, la moneta, il servizio postale, le scuole a partire dal secondo grado. Un tratto dominante del regime era il primato, almeno teorico, assegnato ai contadini e alla produzione agricola. “Fare di ogni persona un contadino”; “avere riso significa avere tutto il resto”; queste erano le parole d’ordine in voga. Di fatto, tutte le misure erano state prese sotto la spinta di un timore ossessionante delle forze del nemico. I dirigenti della Cambogia non avevano alcuna fiducia nelle loro forze. Essi non riponevano neppure fiducia nel popolo e alla fine giunsero a farselo nemico. Vedendosi dappertutto circondati, essi raddoppiavano in barbarie per cercare di difendersi».I vietnamiti attribuiscono alla Cambogia la responsabilità della guerra che scoppia nel 1978 tra i due paesi:
«Immediatamente dopo la liberazione della Cambogia, a partire dal 1º maggio 1975, le forze armate cambogiane cominciarono a violare il territorio del Viet-Nam in diverse località della zona di frontiera da Ha Tien a Tay Ninh. Il 4 maggio esse sbarcarono sull’isola di Tho Chu, massacrando numerose persone e sequestrando 515 abitanti dei quali non si hanno notizie fino a questo momento. Costrette alla legittima difesa, le forze armate regionali vietnamite scacciarono gli aggressori dall’isola di Tho Chu. In seguito, i dirigenti cambogiani riconobbero il loro torto, attribuendo alla “non conoscenza dei luoghi” da parte dell’esercito cambogiano il “doloroso e sanguinoso scontro”».90I sovietici, schierati con il Vietnam in funzione anti-cinese, accettano pienamente il loro punto di vista, come emerge dal discorso di Breznev al XXVI Congresso del PCUS (1981):
«Ci sono anche casi particolari in cui gli amici hanno bisogno di aiuto immediato. Così è stato con il Vietnam, che nel 1979 fu vittima della barbara aggressione di Pechino. L’URSS e gli altri paesi della comunità socialista gli inviarono con urgenza generi alimentari, medicinali, materiali da costruzione e mezzi militari. Così è stato con la Kampuchea, completamente depredata dalle bande di Pol Pot: creature di Pechino».91Sull'onda delle accuse concentriche a Pol Pot, anche in Italia per anni nessuno ha messo in dubbio la malvagità criminale del regime, tant'è che se ne è trovata una conferma nel supporto dato dagli USA a Pol Pot a seguito dell'invasione vietnamita che pone fine alla rivoluzione kampucheana. Luciano Canfora ad esempio ha ricordato: «meno noto semmai è che i vietnamiti furono biasimati da tutto l'Occidente e fino all'ultimo gli Stati Uniti difesero all'Onu il seggio di Pol Pot, per dire la nostra cattiva coscienza»92.
Su tali legami inconfessabili e ormai pienamente accertati, portati avanti per anni dagli USA in funzione anti-vietnamita, ha scritto a fondo il giornalista australiano John Pilger.93
89. A.V., Cina, Viet Nam, Cambogia: all’origine dei conflitti, Aurora, 1979, pp. 29-31.
90. Ivi, p. 33.
91. L.I. Breznev, Rapporto del Comitato Centrale al XXVI Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e i compiti immediati del PCUS in politica interna ed estera, Agenzia Novosti, 1981, p. 12.
92. Pol Pot come Auschwitz? Il paragone divide gli storici, Marx21 (web), 31 ottobre 2007.
93. J. Pilger, Uncle Sam And Pol Pot, Covert Action Quarterly, Thegreatervietnamwar.blogspot.it-Andreacarancini.it, autunno 1997.