«Come la filosofia trova nel proletariato le sue armi materiali, così il proletariato trova nella filosofia le sue armi intellettuali; e, quando il lampo del pensiero avrà penetrato completamente questo ingenuo terreno popolare, i tedeschi si emanciperanno diventando uomini. Riassumiamo il risultato. L’emancipazione pratica della Germania non è possibile se non nell’ambito di quella teoria che proclama l’uomo la più alta essenza dell’uomo. La Germania non potrà emanciparsi dal Medioevo, se non emancipandosi nello stesso tempo dai parziali superamenti del Medioevo. In Germania non si può abolire nessuna specie di servitù senza abolire tutta la servitù. La Germania radicale non può fare la rivoluzione, senza compierla dalle radici. L’emancipazione del tedesco è l’emancipazione dell’uomo. La filosofia è la testa di tale emancipazione, il proletariato ne è il cuore. La filosofia non può realizzarsi senza l’eliminazione del proletariato, il proletariato non può eliminarsi senza la realizzazione della filosofia». (Karl Marx, da Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione)64
Tutti i grandi maestri del socialismo sono stati anche filosofi, avendo assimilato bene l’insegnamento marxiano della filosofia come prima arma del proletariato. Non stupisce insomma che tuttora gli Stati borghesi non la vogliano insegnare in tutte le scuole. Alla borghesia serve un popolo di analfabeti disfunzionali, non certo un esercito di lavoratori coscienti dei propri diritti e della propria condizione di lavoratori salariati soggetti ad un ordine padronale. In questo capitolo si vuole solo ribadire come una delle armi più potenti dell’egemonia culturale dell’imperialismo sia la conquista degli intellettuali. La battaglia filosofica non è appariscente e non fa rumore a livello mediatico, ma si svolge silenziosamente per lo più nelle università, nelle scuole, sulle riviste e nelle scelte editoriali con cui si decide quali libri stampare e come organizzare i manuali scolastici di vario tipo. Eppure è una lotta fondamentale, con cui si combatte sul lungo termine la conquista delle menti e la capacità di incidere egemonicamente nella società. Il materialismo dialettico oggi in Occidente è stato ridotto ad una burla, ad uno scherzo ossificato, rigido, dogmatico; i professori più progressisti lo ritengono una creatura riconducibile alle rigidità di Engels o alla schizofrenia di Stalin di contro ai progressi molto più stimolanti del materialismo storico marxiano e degli sviluppi del marxismo occidentale. Quasi nessuno però conosce davvero il materialismo dialettico. In parte perché non lo si insegna nei programmi scolastici (neanche in quelli universitari), in parte perché è stato espunto dalla stessa cultura comunista nell’ambito della “destalinizzazione”. Occorrerebbe quindi tornare a leggere e studiare non solo le opere più puramente filosofiche di Marx, Engels, Lenin, Stalin, Mao, ma anche ottime introduzioni e compendi come i
Principi elementari di filosofia di G. Politzer o
La filosofia marxista-leninista di A. Sceptulin. Sarebbe soprattutto necessaria la messa a punto di un manuale critico che tracci una storia della filosofia secondo un punto di vista materialista dialettico, ovvero marxista-leninista. Il modello migliore per realizzare un simile progetto è stato offerto da
La distruzione della ragione di Lukàcs, il quale si “limita” però ad analizzare la filosofia tedesca del XIX secolo e parte di quella del XX secolo. Oggi servirebbe un’opera ampia che sia in grado di fungere da riferimento per studenti e insegnanti nell’acquisizione di un punto di vista alternativo sulla storia della filosofia e sugli autori insegnati. Alcuni tentativi pregevoli sono stati fatti negli ultimi anni, ad esempio da Costanzo Preve, dal già citato Onfray (il quale parte da un punto di vista anarchico) e in tempi più recenti il misconosciuto
Pitagora, Marx e i filosofi rossi realizzato da Roberto Sidoli, Daniele Burgio e Massimo Leoni e disponibile gratuitamente sul web
65. L’impressione è però che su questo fronte molto lavoro debba ancora essere svolto al fine di far emergere pienamente la natura di classe reazionaria di svariati filosofi entrati nel senso comune e diventati spesso punti di riferimento di molti intellettuali di sinistra. Si pensi al peso che ha avuto il concetto del “post-moderno” nell’anticipare a fine anni ‘70 la “fine delle ideologie”, oggi uno dei cavalli di battaglia per giustificare l’antipolitica imperante.