4.4 I MISTERI SULLA MORTE
Se già il passaggio precedente mostra come vi sia stato concretamente il tentativo, forse tardivo, da parte di Stalin di elevare una nuova leva di quadri comunisti, i rimproveri maggiori che gli vengono fatti dai marxisti-leninisti devono scontrarsi anche con gli enigmi nati attorno alla sua morte. Sono diversi gli storici che hanno affrontato il tema. Tra gli ultimi i fratelli Medvedev hanno affrontato in Stalin sconosciuto. Alla luce degli archivi segreti sovietici (2006) l'ipotesi dell’avvelenamento di Stalin da parte della cerchia più ristretta dei suoi collaboratori: il complotto sarebbe stato favorito proprio dal fatto che i Berija, i Malenkov e i Chruščev, avrebbero compreso, soprattutto dopo il XIX congresso del Partito (autunno 1952), che Stalin stava preparando la loro estromissione dalla gestione del potere per favorire la crescita di una nuova lega di giovani quadri dirigenti più preparati. Massimo Iacopi36 ricostruisce le torbide vicende degli ultimi momenti di vita di Stalin:
«Negli ultimi anni della sua vita Stalin non si trattiene più a lungo al Cremlino. Dopo aver firmato la posta e ricevuto le visite, il dittatore si ritira nella sua dacia di Kuntsevo, in piena foresta, a un quarto d’ora di macchina dal centro di Mosca. […] Non riuscendo a sopportare la solitudine dopo il suicidio della seconda moglie, egli invita spesso tre o quattro collaboratori a cene interminabili […]. Il cardiologo Vinogradov, che lo ha in cura da 15 anni, ha consigliato a Stalin uno stile di vita più sobrio e di smettere di fumare. Ma il paziente non ama ricevere ordini; ha paura della morte e rifiuta di assumere medicine, temendo di essere avvelenato. […] Stalin incarica la polizia segreta di accertarsi se i medici che hanno in cura i principali dignitari del Partito non abbiano fomentato un complotto. Il 13 gennaio 1953, la Pravda (Verità) denuncia gli “assassini in camice bianco”, dei professori di medicina, ebrei per la maggior parte, che si sospettano essere agli ordini dei servizi segreti inglesi o americani e di una organizzazione sionista, la Joint, infiltrata, secondo le voci che circolano, persino nei più alti ranghi del Partito. Non passa un giorno che i giornali non denuncino un nuovo scandalo e nuovi arresti. […] Le infermiere sembra sappiano che all’interno avvengono cose poco chiare, ma non osano aprire la bocca per paura dei medici ebrei. Il “processo degli assassini in camice bianco” viene fissato per il 5-7 marzo 1953 […]. Anche i principali dignitari del partito si sentono minacciati. Viasheslav Molotov perché sua moglie è ebrea, Nikita Chruščev a proposito delle vicissitudini del Partito in Ucraina, Laurentij Berija per alcune negligenze nella gestione dei servizi segreti. […] Il 26 febbraio 1953, verso le 11 di sera, quattro invitati arrivano alla dacia di Stalin: Georgij Malenkov, Nikolai Bulganin, Nikita Chruščev e Laurentij Berija. […] Verso le 4 del mattino Stalin va a dormire e i quattro invitati si congedano. Berija, da qualche giorno è riuscito a fare allontanare la guardia del corpo più vicina a Stalin, Aleksej Rybin, facendolo nominare Capo della guardia del Teatro Bolshoi e a farlo rimpiazzare con uno dei suoi, Krustalev. Il 1° marzo 1953, Stalin, che normalmente si alza intorno alle ore 11, non dà alcun segno di vita. Nessuno, tuttavia, è autorizzato a entrare nel suo appartamento senza un ordine specifico. Il tempo passa, mezzogiorno, le due, le sei, le dieci. I domestici e le guardie del corpo si preoccupano, anche perché in tutte le stanze, i saloni e i bagni sono stati installati dei telefoni affinché possa comandare il tè, la posta e i giornali e Stalin non li ha ancora utilizzati. Questo sistema telefonico è completato da un sistema d’allarme, ogni stanza risulta equipaggiata da sensori nascosti nelle tende e nelle porte, in modo che le guardie possano seguire tutte gli ingressi e le uscite, e nessuno di questi sensori ha segnalato il minimo movimento. Verso le 11 di sera, dopo molte esitazioni, il capo delle guardie del corpo della dacia, Starostin, si fa coraggio e prendendo a pretesto l’arrivo di un dispaccio del Comitato Centrale, si arrischia a bussare alla porta del capo. Nessuna risposta. A questo punto egli entra e scopre Stalin steso a terra, in pigiama, con gli occhi perduti nel vuoto, incapace di articolare parola.
Nella dacia non ci sono né medici, né infermieri. Ma invece di chiamare un medico, come chiedono i domestici, Starostin giudica più prudente avvertire Ignatiev, il Ministro della Sicurezza, suo diretto superiore. Questi, prende a sua volta una precauzione. Invece di avvertire Berija, avvisa Chruščev e Bulganin e li accompagna al corpo di guardia della dacia, dove Starostin spiega loro la situazione. Ignatiev li fa giurare di serbare il segreto assoluto. Verso mezzanotte, essi se ne vanno senza neanche entrare nell’appartamento di Stalin. Grazie a questo vantaggio su Berija, Bulganin, ministro della Difesa, adotta qualche provvedimento: fa avvicinare discretamente al Cremlino qualche battaglione di cui si fida e il suo amico Chruščev fa emanare gli ordini per far cessare immediatamente la campagna di stampa antisemita, cosa che gli varrà il favore di Molotov. Ignatiev può a quel punto avvertire Malenkov. Questi, a sua volta, parte alla ricerca di Berija, il suo mentore, e finisce per trovarlo verso le 3 del mattino. Berija e Malenkov si fanno allora portare nella stanza di Stalin. Malenkov, per non rischiare di svegliare il gran capo, si toglie i suoi nuovi stivali che scricchiolano sul parquet. Davanti al corpo inerte di Stalin, Berija si rivolge verso le guardie del corpo: “Logzashev perché avete paura ? Voi potete ben vedere che il compagno Stalin dorme profondamente! Non disturbatelo e smettete di allarmarci”. Berija si dirige allora al Cremlino nell’ufficio di Stalin […]. Sono le 7 del mattino del 2 marzo quando finalmente chiama Tretyakov, ministro della Sanità, per chiedergli dei medici. Due ore più tardi, quindi alle ore 9 del 2 marzo 1953, Berija e Malenkov ritornano alla dacia, seguiti da Bulganin e da Chruščev, quindi da Tetryakov, accompagnato da quattro dottori. Per evitare qualsiasi imbarazzo in occasione della pubblicazione del bollettino medico, Berija gli racconta che Stalin ha appena avuto un attacco. In realtà è rimasto per ben 14 ore senza alcuna cura. I medici diagnosticano una emorragia cerebrale.
Se allertati il giorno prima, avrebbero potuto prolungare l’agonia di qualche giorno, ma non certamente salvare il malato. Essi chiedono di vedere la cartella medica, ma non si riesce a trovare nulla sia nella dacia, sia nel suo ufficio al Cremlino. Gli vengono applicate delle ventose, praticate iniezioni, vengono effettuati elettrocardiogrammi e radiografie, mentre si fa arrivare uno stimolatore cardiaco. Berija, dopo aver ricoperto di ingiurie i medici, al colmo dell’eccitazione si mette a schernire Stalin, ma questi apre un occhio e sembra puntare il dito verso di lui. Terrorizzato, Berija si inginocchia, prende la mano del dittatore e la bacia, quindi il morente si mette a vomitare sangue, come dopo un avvelenamento. I quattro dignitari lasciano i medici al capezzale del malato e rientrano al Cremlino. Devono gestire la spartizione del potere. Il clan Bulganin-Chruščev riesce a trovare un compromesso con il clan Berija-Malenkov. Malenkov, che Berija si immagina di poter manovrare, diventerà Presidente del Consiglio dei Ministri, assistito da quattro vice presidenti: Molotov, Bulganin, Kaganovič e Berija, che allargherà la sua autorità sulla polizia. Chruščev, da parte sua, diventerà Segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Resta il fatto di dover far digerire al Comitato Centrale, al consiglio dei Ministri e al Presidium del Soviet Supremo la nuova organizzazione del potere. Il 5 marzo 1953 la successione di Stalin viene approvata all’unanimità, senza dibattito. Malenkov, Berija, Bulganin, Chruščev, accompagnati questa volta da Molotov e da Vorošilov, possono ritornare al capezzale del morente. […]
Il 6 marzo un bollettino ufficiale annuncia il decesso di Stalin, attribuito a una emorragia cerebrale conseguenza dell’ipertensione, che ha comportato la paralisi, la perdita della parola e della coscienza. Un secondo attacco avrebbe poi toccato i polmoni e il cuore. Curiosamente, il bollettino passa sotto silenzio i vomiti di sangue. Il 9 marzo, sulla Piazza Rossa, una immensa folla sfila per salutare il feretro aperto dove riposa il dittatore. Nella calca, diverse centinaia di uomini e soprattutto donne, muoiono soffocate o calpestate, come nel giorno dell’incoronazione dello zar Nicola II Romanov. Lo steso giorno Polina Molotov esce di prigione, seguita ben presto da tutti i medici implicati nel complotto dei camici bianchi».
36. M. Iacopi, Stalin, un'agonia ben orchestrata, Storia in Network, n° 194, dicembre 2012. L'autore ha utilizzato come fonti: J. Rapoport, Il complotto dei camici bianchi, Gentili, Milano 1990; Il figlio di Mikoyan “Cosě morě Stalin”, La Repubblica, 23 febbraio 1988; R. Conquest, Stalin. La rivoluzione, il terrore, la guerra, Mondadori, Milano 2003; Z.A. Medvedev & R.A. Medvedev, Stalin sconosciuto, alla luce degli archivi segreti sovietici, cit.
37. A. L. Perna, La Russia quotidiana ai tempi di Stalin, cit.