4.04. 1999: LA DISTRUZIONE DELLA JUGOSLAVIA
Ancora Losurdo:
«Facciamo un ulteriore salto in avanti di alcuni anni e giungiamo così alla dissoluzione o piuttosto, allo smembramento della Jugoslavia. Contro la Serbia, che storicamente era stata la protagonista del processo di unificazione di questo paese multietnico, nei mesi che precedono i bombardamenti veri e propri si scatenano una dopo l’altra ondate di bombardamenti multimediali. Nell’agosto del 1998, un giornalista americano e uno tedesco “riferiscono dell’esistenza di fosse comuni con 500 cadaveri di albanesi tra cui 430 bambini nei pressi di Orahovac, dove si è duramente combattuto. La notizia è ripresa da altri giornali occidentali con grande rilievo. Ma è tutto falso, come dimostra una missione d’osservazione della UE” […]. Non per questo la fabbrica del falso entrava in crisi. Agli inizi del 1999 i media occidentali cominciavano a tempestare l’opinione pubblica internazionale con le foto di cadaveri ammassati al fondo di un dirupo e talvolta decapitati e mutilati; le didascalie e gli articoli che accompagnavano tali immagini proclamavano che si trattava di civili albanesi inermi massacrati dai serbi. Sennonché: “Il massacro di Racak è raccapricciante, con mutilazioni e teste mozzate. È una scena ideale per suscitare lo sdegno dell’opinione pubblica internazionale. Qualcosa appare strano nelle modalità dell’eccidio. I serbi abitualmente uccidono senza procedere a mutilazioni […]. Come la guerra di Bosnia insegna, le denunce di efferatezze sui corpi, segni di torture, decapitazioni, sono una diffusa arma di propaganda […]. Forse non i serbi ma i guerriglieri albanesi hanno mutilato i corpi” […].
O, forse, i cadaveri delle vittime di uno degli innumerevoli scontri tra gruppi armati erano stati sottoposti a un successivo trattamento, in modo da far credere a un’esecuzione a freddo e a uno scatenamento di furia bestiale, di cui era immediatamente accusato il paese che la NATO si apprestava a bombardare […]. La messa in scena di Racak era solo l’apice di una campagna di disinformazione ostinata e spietata. Qualche anno prima, il bombardamento del mercato di Sarajevo aveva consentito alla NATO di ergersi a suprema istanza morale, che non poteva permettersi di lasciare impunite le “atrocità” serbe. Ai giorni nostri si può leggere persino sul Corriere della Sera che “fu una bomba di assai dubbia paternità a fare strage nel mercato di Sarajevo facendo scattare l’intervento NATO” […]. Con questo precedente alle spalle, Racak ci appare oggi come una sorta di riedizione di Timisoara, una riedizione prolungatasi per alcuni anni. E, tuttavia, anche in questo caso il successo non mancava. L’illustre filosofo che nel 1990 aveva denunciato “l’Auschwitz della società dello spettacolo” verificatasi a Timisoara cinque anni dopo si accodava al coro dominante, tuonando in modo manicheo contro “il repentino slittamento delle classi dirigenti ex comuniste nel razzismo più estremo (come in Serbia, col programma di ‘pulizia etnica’)” […]. Dopo aver acutamente analizzato la tragica indiscernibilità di “verità e falsità” nell’ambito della società dello spettacolo, egli finiva col confermarla involontariamente, accogliendo in modo sbrigativo la versione (ovvero la propaganda di guerra) diffusa dal “sistema mondiale dei media”, da lui precedentemente additato come fonte principale della manipolazione; dopo aver denunciato la riduzione del “vero” a “momento del movimento necessario del falso”, operata dalla società dello spettacolo, egli si limitava a conferire una parvenza di profondità filosofica a questo “vero” ridotto per l’appunto a “momento del movimento necessario del falso”. Per un altro verso, un elemento della guerra contro la Jugoslavia, più che a Timisoara, ci riconduce alla prima guerra del Golfo. È il ruolo svolto dalle public relations: “Milosevic è un uomo schivo, non ama la pubblicità, non ama mostrarsi o tenere discorsi in pubblico. Sembra che alle prime avvisaglie di disgregazione della Jugoslavia, la Ruder&Finn, compagnia di pubbliche relazioni che stava lavorando per il Kuwait nel 1991, gli si presentasse offrendo i suoi servizi. Fu congedata. Ruder&Finn venne assunta invece immediatamente dalla Croazia, dai musulmani di Bosnia e dagli albanesi del Kosovo per 17 milioni di dollari all’anno, per proteggere e incentivare l’immagine dei tre gruppi. E fece un ottimo lavoro! James Harf, direttore di Ruder&Finn Global Public Affairs, in un’intervista […] affermava: 'Abbiamo potuto far coincidere nell’opinione pubblica serbi e nazisti […]. Noi siamo dei professionisti. abbiamo un lavoro da fare e lo facciamo. Non siamo pagati per fare la morale'”(Toschi Marazzani Visconti 1999)».29
29. Ibidem.