4.12. LA CRIMINALIZZAZIONE DEI COMUNISTI E DELLA DDR
Riportiamo ora un ampio estratto dell'opera di Giacché, in cui si mostra la repressione scatenata dopo la riunificazione verso i dirigenti comunisti e migliaia di persone accusate di aver collaborato a crimini negli anni della DDR53:
«La liquidazione pratica della RDT procedette in maniera parallela alla sua demonizzazione ideologica. Il documento forse più significativo della criminalizzazione della RDT è rappresentato dal discorso tenuto il primo luglio 1991 dal ministro della giustizia Klaus Kinkel, già presidente dal 1979 dal 1982 del servizio segreto della RFT (il Bundesnachrichtendienst, BND), al primo forum del ministero federale della giustizia. Eccone un passo: “Per quanto riguarda la cosiddetta RDT e il suo governo, non si trattava neppure di uno Stato indipendente. Questa cosiddetta RDT non è mai stata riconosciuta dal punto di vista del diritto internazionale. Esisteva una Germania unica (einheitlich), una parte della quale era occupata da una banda di criminali. Tuttavia non era possibile, per determinate ragioni, procedere penalmente contro questi criminali, ma questo non cambia di una virgola il fatto che c’era un’unica Germania, che ovviamente in essa vigeva un unico diritto e che esso attendeva di poter essere applicato ai criminali”.
La mostruosità storica e giuridica di questo passo meriterebbe un commento approfondito. Basterà, di passaggio, ricordare che la RDT era uno Stato riconosciuto non soltanto dall’ONU e da numerosissimi altri Stati, ma di fatto anche dalla stessa RFT, sin dal Trattato sui principi del 1972. E che il capo della “banda di criminali” di cui parla Kinkel era stato in visita di Stato nella Repubblica Federale non più tardi che nel 1987, quando era stato ricevuto con tutti gli onori da Helmut Kohl. Fu del resto lo stesso Günter Gaus, che ricoprì per anni l’incarico di responsabile della rappresentanza permanente della RFT nella Repubblica Democratica Tedesca, a dichiarare: “è insensato fare come se la RDT fosse una provincia che si era separata dalla Repubblica Federale. C’erano due Stati tedeschi, tra loro indipendenti, riconosciuti da tutto il mondo”. […]
Questa sconcertante dichiarazione di Kinkel non sfuggì a Honecker, il quale negli appunti stesi in carcere e pubblicati postumi ne evidenziò la logica conseguenza: “la criminalizzazione dello Stato che fu la Repubblica Democratica conduce ad un vero bando sociale della massa dei cittadini della RDT. Chi ha partecipato alla costruzione di questo 'Stato di non-diritto' (Unrechtsstaat) sarà 'legittimamente cacciato dal suo posto. Operaio, contadino, insegnante o artista, dovrà prendere atto del fatto che la sua espulsione dall’amministrazione, dall’insegnamento, dal teatro o dal laboratorio è legale'”.
Come vedremo, questa previsione a tinte fosche non si rivelerà troppo lontana dal vero. Ma Kinkel fece un ulteriore grave passo pochi mesi dopo. Nel suo discorso di saluto al 15° congresso dei giudici tedeschi, il 23 settembre dello stesso anno, affermò testualmente:
“conto sulla giustizia tedesca. Si deve riuscire a delegittimare il sistema della SED”.
In questa esortazione è evidente la clamorosa violazione dell'indipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo (ossia uno dei fondamenti dello stato di diritto), e assieme la teorizzazione esplicita di un utilizzo politico della giustizia: in questo modo di fatto Kinkel si rende colpevole proprio di quello di cui accusava la RDT. L’osservazione che Honecker in carcere fa con riferimento al procedimento che lo riguarda può quindi essere in qualche modo generalizzata: “con questo processo viene fatto quello che si rimprovera a noi. Ci si sbarazza dell’avversario politico utilizzando gli strumenti del diritto penale, ma ovviamente secondo i principi dello Stato di diritto”. […]
A questa esortazione di Kinkel, purtroppo, una parte della giustizia federale rispose positivamente, anziché rispedirla al mittente. Nel corso degli anni furono aperti procedimenti penali nei confronti di circa 105 mila cittadini della RDT, in genere finiti nel nulla (ma che spesso ebbero un effetto devastante sulla carriera e sull’esistenza stessa degli interessati). In effetti, finirono sotto processo “soltanto” 1.332 persone (127 delle quali furono coinvolte in più di un processo). Risultarono condannate a pene variabili 759 persone (48 delle quali a pene detentive), si ebbero 293 assoluzioni e 364 processi furono interrotti per morte dell’imputato o per altri motivi. Questo poté avvenire in forza di una sostanziale violazione del Trattato sull’unificazione e di ulteriori forzature della legge. In realtà fu adoperato surrettiziamente il diritto della RFT per giudicare l’operato di persone che avevano agito in ottemperanza alle leggi della RDT (in particolare guardie di confine, giudici e alti esponenti politici). Furono aperti ex novo procedimenti (mentre in base al Trattato la RFT avrebbe dovuto proseguire e portare a termine soltanto procedimenti già iniziati prima del 3 ottobre 1990). Per poter coinvolgere anche i più alti esponenti politici nei processi si inventò un presunto “ordine di sparare” a chi provasse a violare la frontiera impartito dagli alti comandi (mentre i soldati si limitavano a seguire le procedure – analoghe a quelle in uso nell’esercito della RFT - previste in caso di oltrepassamento illegale del confine o di ingresso non autorizzato in una zona militare, come del resto ammise in una sentenza del 1996 anche la Corte costituzionale federale). […] Il parlamento emanò tre successive leggi per prolungare i termini della prescrizione, e alla fine si giunse a considerare i quasi 41 anni della RDT come periodo di sospensione del decorso della prescrizione! Anche se in questo caso l’effetto pratico fu trascurabile (i procedimenti che si poterono effettivamente aprire e portare a termine in questo modo furono pochissimi), l’effetto mediatico e l’obiettivo di porre sul banco degli accusati l’intera storia della RDT fu conseguito.
Si trattò di fatto di processi esemplari, e più precisamente di “processi di rappresentanza”, in cui il procedimento penale era finalizzato a “delegittimare” postumamente, proprio come aveva richiesto Kinkel, la Repubblica Democratica Tedesca. Per quanto numerosi e gravi siano le responsabilità di Honecker nei suoi quasi 20 anni alla guida della RDT (in particolare l’assoluta sordità nei confronti della domanda di democratizzazione che veniva dalla società e l’ostinato rifiuto di cambiare rotta nella politica economica), è difficile non riconoscere delle ragioni nella sua denuncia del carattere politico del processo cui era sottoposto [...]. In effetti in qualche caso […] questa furia liquidatoria nei confronti della RDT è giunta sino al punto di sconfinare nella adesione e giustificazione di quello che in Germania c’era prima della RDT stessa. Quando Honecker nel 1992 fu estradato dalla Russia di Eltsin (a tal fine i medici russi produssero un certificato falso, che nascondeva la gravità del cancro al fegato di cui Honecker soffriva), venne rinchiuso in Germania nel carcere di Moabit, lo stesso in cui lo avevano rinchiuso i nazisti, per attività sovversiva nel Terzo Reich (durante il nazismo Honecker scontò 10 anni di carcere). E chi predispose l’atto di accusa pensò bene di riprendere letteralmente, senza modificarli in alcun modo, stralci dell’atto di accusa formulato a suo tempo dalla Gestapo. Cosicché nel curriculum vitae di Honecker allegato agli atti del processo si trovano queste frasi: “l’attività svolta [da Honecker] per l’organizzazione giovanile del partito comunista era illegale. Pertanto egli fu arrestato a Berlino il 4 dicembre 1935, per sospetta preparazione di attività di alto tradimento”. Quando l’ex capo delle forze armate della RDT, Heinz Kessler, fu portato davanti a un tribunale tedesco federale - con l’accusa, anche nel suo caso, di aver dato l’“ordine di sparare” alla frontiera - non mancarono commenti sarcastici sul fatto che questo generale tedesco aveva disertato l’esercito tedesco; e in effetti lo aveva fatto: nel 1941, quando aveva abbandonato l’esercito di Hitler per unirsi all’armata rossa. Ma il caso più estremo riguarda Erich Mielke, l’ex capo del potentissimo ministero per la sicurezza dello Stato (meglio noto come Stasi) – in definitiva colui che nella RDT ricopriva lo stesso incarico che nella RFT aveva ricoperto Kinkel. Per Mielke non si trovò di meglio che condannarlo per l’omicidio di due poliziotti nel 1931. In questo caso si riprese il fascicolo processuale aperto sotto il nazismo, che aveva portato nel 1935 alla decapitazione in carcere di un altro comunista, Max Matern. A Mielke negli anni Novanta andò meglio: fu condannato a 6 anni, ma fu scarcerato nel 1995 per motivi di salute (aveva 88 anni), dopo aver passato in carcere complessivamente 5 anni. Gerhard Schürer, l’ex capo della pianificazione della RDT, nelle sue memorie scrive: “è per me incomprensibile che il massacro di 15 donne e bambini italiani [la strage di Caiazzo, nda] da parte del criminale di guerra Lehnigk-Emden durante la seconda guerra mondiale in base al diritto tedesco sia un reato prescritto, mentre l’atto di un giovane comunista, che – anche nel caso in cui egli l’abbia davvero commesso – deve essere spiegato con la situazione dell’epoca, prossima alla guerra civile, ancora dopo 64 anni viene perseguito e la pena implacabilmente comminata”».
53. V. Giacché, Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa, Imprimatur, Reggio Emilia 2013, pp. 149-157, un estratto disponibile su Marx21 (web).