21 Novembre 2024

3.5. L'ESEMPIO DELLA “FOIBA” DI BASOVIZZA

Pubblichiamo di seguito un estratto del saggio storico Foibe tra storia e mito: appunti sulla questione delle foibe di Claudia Cernigoi30, dando spazio ad una delle maggiori storiche antirevisioniste sul fenomeno:
«Alla questione della cosiddetta “foiba” di Basovizza, monumento nazionale sul quale vengono a rendere omaggio esponenti di quasi tutte le formazioni politiche ed autorità ufficiali, abbiamo dedicato un dossier in questa stessa collana. Brevemente possiamo esporre quanto segue. Nell’estate del 1945, dopo alcune notizie stampa (provenienti da alcuni esponenti del C.L.N. triestino) che davano come recuperati dal pozzo di Basovizza (la denominazione “foiba” non è corretta, poiché si tratta di una voragine artificiale, un pozzo di miniera abbandonato) 400 corpi di “infoibati”, il Governo Militare Alleato smentì il recupero, che non era avvenuto, e provvide ad effettuare le ispezioni nel pozzo. Così scrive un “rapporto segreto” dell’epoca: “È del 13 ottobre 1945 il rapporto che elenca sommariamente i risultati delle esumazioni, effettuate utilizzando la benna […] questo documento […] permette di avere la conferma che almeno una decina di corpi umani furono recuperati dagli angloamericani. 'Le scoperte effettuate - si legge nel rapporto - si riferiscono a parti di cavallo e cadaveri di tedeschi, e si può dedurre che ulteriori sopralluoghi potrebbero eventualmente rilevare cadaveri di italiani'”.
Nello stesso articolo vengono riportati brani del “rapporto segreto” sopra citato nel quale appare la reale entità dei recuperi effettuati: otto corpi umani interi, due di questi presumibilmente di tedeschi ed uno forse di sesso femminile, alcuni resti umani e carcasse di cavalli. Prosegue l’articolo: “Ma una decina di corpi smembrati e irriconoscibili non dovevano sembrare un risultato soddisfacente e alla fine si preferì sospendere i lavori”. Vediamo un altro “rapporto segreto” stilato dagli Alleati nell’ottobre 1945 e pubblicato sul Piccolo del 30 gennaio 1995, in un articolo intitolato Così due preti testimoniarono gli infoibamenti.
In questo rapporto un certo “Source” (nome in codice) riferisce ciò che gli avrebbero detto due preti, don Malalan di Borst e don Virgil Šček, parroco di Corgnale, intellettuale e già parlamentare del Regno d’Italia prima dell’avvento del fascismo. Il primo non riferisce di avere assistito personalmente ai processi sommari ed alle esecuzioni, dando però queste, a domanda di Source, per avvenute, e dichiarando che i prigionieri, quasi tutti agenti di polizia, si erano ben meritati la fine che avevano fatto. Ciò che riferisce don Malalan è il suo colloquio con don Šček, che aveva “ammesso di essere stato presente al momento in cui le vittime venivano gettate nelle foibe”. Lasciamo da parte la testimonianza di don Malalan, che parla de relato, come si direbbe in un’aula di Tribunale, e vediamo invece cosa riferisce Source del racconto di don Šček. “Il 2 maggio egli (don Šček, nda) andò a Basovizza... mentre era lì aveva visto in un campo nelle vicinanze circa 150 civili 'che erano riconoscibili dalle loro facce quali membri della Questura'. La gente del luogo voleva far giustizia in modo sommario ma gli ufficiali della IV Armata erano contrari. Queste persone furono interrogate e processate alla presenza di tutta la popolazione che le accusò […] Quasi tutti furono condannati a morte. […] Tutti i 150 civili furono fucilati in massa da un gruppo di partigiani, e poi, poiché non c’erano bare, i corpi furono gettati nella foiba di Basovizza”.
Però noi vogliamo evidenziare una successiva affermazione del sacerdote, che viene invece regolarmente omessa da coloro (storici e no) che citano il rapporto: “quando Source chiese a don Šček se era stato presente all’esecuzione o aveva sentito gli spari questi rispose che non era stato presente né aveva sentito gli spari”. Quindi don Šček fu testimone oculare sì, ma dei processi e non degli infoibamenti. Del resto se andiamo a verificare quanti “membri della Questura” sono scomparsi nel corso dei “quaranta giorni”, arriviamo ad un totale di circa 150 nomi, della maggior parte dei quali si sa come e dove sono morti (fucilati a Lubiana, recuperati da altre foibe, morti in prigionia). Ma non a Basovizza: dunque cosa poteva essere successo? Nei primi giorni di maggio i partigiani arrestarono molte persone, in base a degli elenchi di collaborazionisti che avevano portato con sé. Gli arrestati venivano portati a Basovizza, dove aveva sede il Tribunale del Popolo. Dopo il processo gli arrestati, se giudicati colpevoli, venivano inviati a Lubiana per essere processati da un tribunale regolare. Si può supporre che gli ufficiali della IV Armata (che, come riferito da Source, erano contrari alle esecuzioni sommarie) avessero deciso di condannare a morte i prigionieri tanto per calmare gli animi della popolazione inferocita (che, ricordiamo, aveva patito arresti, torture, perdite di persone care e distruzioni dei propri beni da parte dei nazifascisti), e poi li abbiano fatti condurre verso l’interno della Slovenia, a Lubiana o nei campi di lavoro. Ricordiamo anche che molti prigionieri sono rientrati dalla prigionia in Jugoslavia: da tutta la provincia di Trieste le persone (civili e militari) che sono decedute o non hanno fatto ritorno dopo essere state arrestate dai partigiani sono poco più di 500. Tanto per fare quella che Spazzali definì la “contabilità dei morti”, ricordiamo che di questi 500 circa 150 furono i militari internati nei campi, e non rientrati; un centinaio le Guardie di Finanza che facevano parte di un gruppo arrestato a Trieste perché al momento dell’insurrezione avevano sparato contro i partigiani, seguendo ordini dati loro erroneamente; altri 150 erano membri della Polizia (di questi 69 avevano fatto parte dell’Ispettorato Speciale di P.S., la famigerata “banda Collotti” che si macchiò di orribili crimini, torture, violenze carnali, saccheggi); i rimanenti erano per lo più collaborazionisti di vario tipo, però rimangono alcune persone delle quali non si sa molto o che furono vittime di vendette personali.
Ancora un accenno va fatto al corposo elenco di “foibe” che viene reiteratamente pubblicato sui libri di propaganda e ripreso da quelli che vorrebbero essere invece di storia. Questo elenco, il cui primo compilatore dovrebbe essere stato padre Rocchi, è stato ripreso pari pari, con tutti gli errori, sia da Pirina che da Papo. Sono nominate una quarantina di “foibe”, che dovrebbero trovarsi in parte in Istria, in parte nella zona di Fiume ed in parte sul Carso triestino, ma spesso senza l’indicazione del luogo esatto dove si trovano, a volte duplicate (ad esempio l’abisso di Semich e l’abisso di Semez sono la stessa cosa); viene fatta confusione tra l’abisso Plutone che si trova presso Basovizza ed il pozzo della Miniera di Basovizza; i morti nell’abisso Plutone vengono erroneamente “sistemati” in quella di Gropada (dove si dice che furono infoibate 34 persone, mentre è dimostrato da atti giudiziari che gli uccisi furono 5); infine, tanto per citare l’errore più marchiano, segnaliamo la presunta “foiba di Beca” che, stando a padre Rocchi ed al suo discepolo Pirina, si troverebbe “nei pressi di Cosina, nei dintorni di Aurisina e di Comeno”, cosa che, se rispondesse al vero, significherebbe una sensazionale scoperta geologica, dato che si tratterebbe della foiba più grande del mondo, arrivando ad avere un’estensione pari circa a quella dell’intera attuale provincia di Trieste, basti guardare la cartina per rendersene conto».
29. L'intero saggio è C. Cernigoi, Foibe tra storia e mito, Webalice.it, febbraio 2005.

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