21 Novembre 2024

3.07. UN BILANCIO POLITICO DELLA SEGRETERIA TOGLIATTI

«Senza una dottrina rivoluzionaria non esiste partito di avanguardia. Nel nostro partito queste verità sono state un po' dimenticate. Da ciò deriva che oggi si legge, si studia, si lavora teoricamente troppo poco. Non crediate però che io dica questo solo come critica alla massa dei compagni. La critica è rivolta a tutti i nostri quadri, di cellula, di sezione, di federazione e anche del Comitato centrale e della direzione del partito. In ognuna di queste istanze si legge e si studia troppo poco e ciò avviene proprio in un momento in cui lo studio è necessario più che mai. […] E che cosa bisogna studiare? Prima di ogni altra cosa bisogna studiare quella che è la nostra dottrina fondamentale, la dottrina politica della classe operaia: il marxismo, il leninismo, bussola che ci ha diretto per venti anni della nostra storia e che ci dirigerà ancora per trovare la strada giusta, la strada italiana della lotta per la democrazia e il socialismo. […] Oltre a questo ritengo necessario per la formazione ideologica dei nostri quadri vada anche in altre due direzioni: la prima è quella dello studio più approfondito della storia del nostro paese, che noi non conosciamo abbastanza, che le giovani generazioni ignorano completamente o quasi […] Dobbiamo ristabilire la verità, insegnare come la storia del nostro paese è storia di lotte di classe e individuare attraverso a queste lotte lo sforzo democratico delle forze avanzate, progressive, della borghesia prima, poi dei contadini, degli operai, ecc... per riuscire a democratizzare l'Italia. Quindi dobbiamo individuare quali sono le tradizioni nazionali che noi continuiamo e quali sono quelle che respingiamo perchè non sono nostre […] La seconda direzione in cui deve pure muoversi la formazione ideologica dei nostri quadri è quella dello studio approfondito dell'esperienza internazionale del movimento operaio e del movimento comunista […] È nostro compito farli conoscere, ed è nostro compito di comunisti elaborare a fondo queste esperienze allo scopo di riuscire noi stessi a progredire e nella misura delle nostre forze – scusate l'espressione forse un po' ambiziosa – dare un contributo allo sviluppo di quel marxismo vivente il quale non è altro che la elaborazione generale delle esperienze di lotta della classe operaia di ogni paese e dei singoli popoli per la emancipazione del lavoro, per la democrazia e per il socialismo».
(Palmiro Togliatti, La nostra lotta per la democrazia e il socialismo, discorso pronunciato a Firenze alla Conferenza nazionale di organizzazione del Partito comunista italiano, 10 gennaio 1947)
Quanto detto finora deve servire ai comunisti italiani odierni, e in generale a tutti coloro interessati al progresso sociale, che gli errori della “sinistra” vengono da lontano: le cause remote risiedono nel distacco dal marxismo-leninismo. Si potrà certamente obiettare che Togliatti[1] ha preso in mano un Partito (sostanzialmente nel 1927) che conta poche migliaia di iscritti e ha lasciato nel 1964 un Partito che gode di un'organizzazione comprendente 1.641.214 iscritti e un consenso elettorale di circa un italiano su quattro. Ciò è indubbio. In qualsiasi analisi non si possono dimenticare gli enormi meriti storici e lo spessore della biografia politica del dirigente Togliatti. Sotto la sua leadership in ultima istanza è stato possibile mantenere viva una rete clandestina antifascista in Italia; organizzare una Resistenza partigiana di massa, riscattando un popolo intero di fronte al mondo; garantire al paese una Repubblica che, tra i paesi capitalisti, presenta una delle Costituzioni più avanzate possibili, per quanto scarsamente applicata; la stessa esistenza di una classe operaia fortemente organizzata ed educata politicamente e sindacalmente dal PCI (e dalla CGIL da essa controllata), ha posto alcune premesse necessarie per la grande avanzata del “decennio rosso” (1968-1979), durante il quale il paese ha ottenuto riforme importantissime tanto in termini di diritti civili che sociali.
La segreteria Berlinguer ha potuto sfruttare l'onda lunga dell'eredità togliattiana, accumulando consenso durante il primo periodo di inceppamento del capitalismo mondiale alla metà degli anni '70. Torneremo più avanti su questi aspetti.
La funzione storica del PCI dell'epoca di Togliatti è stata quella di liquidare il fascismo e gli aspetti più retrivi della cultura clericale, educando milioni di lavoratori e sfruttati alla democrazia liberale, alla solidarietà e all'importanza di un'organizzazione che dovesse fungere da avanguardia. La sua concezione del Partito è rigorosa e puntigliosa e merita tuttora di essere studiata come un adeguato modello leninista di applicazione degli insegnamenti di Lenin e Gramsci. Togliatti ha sempre ribadito l'opposizione del PCI alla NATO e alle istituzioni europee, denunciando le destabilizzazioni dell'imperialismo statunitense (e non solo) e sostenendo la lotta dei popoli coloniali; ha cercato di storicizzare la figura di Stalin rifiutando la categoria dello stalinismo, ha combattuto ideologicamente e culturalmente le derive socialdemocratiche e le culture “liberali”, svelando la loro ipocrisia e il loro intrinseco razzismo. Ha mostrato come una vera democrazia organica sia possibile solo in un regime socialista. Togliatti però è uscito nettamente dai binari del marxismo-leninismo, non tanto nel sostenere la conquista del potere per via democratico-elettorale, quanto nella convinzione che sia possibile costruire il socialismo stando all'interno dei vincoli di quella ha definito una “democrazia progressiva”, accettando di fatto l'internità alla democrazia liberale e rinunciando a spezzare il meccanismo dello Stato borghese. È anche il vero responsabile del mancato tentativo rivoluzionario in Italia, e da questo punto di vista la sua “democrazia progressiva” si è rivelata un'arma a doppio taglio, lasciando il potere economico e politico nelle mani della borghesia, la quale, indebolita e ferita nel dopoguerra e negli anni '70, ha potuto rimanere in sella grazie al supporto dell'imperialismo straniero per poi sferrare una decisa controffensiva politica, militare e ideologica dopo il 1976, alla quale un PCI ormai disarmato ideologicamente non ha saputo opporre una Resistenza adeguata, mostrando i primi cedimenti strutturali durante la segreteria Berlinguer, nonostante certi tardivi (ma non esaustivi) ripensamenti dello stesso dirigente sardo negli ultimi anni di vita.
Che sia arrivata una macchietta politica come Occhetto a sciogliere il Partito non era un processo inevitabile, ma molto prevedibile, constatato il costante e progressivo distacco dal marxismo-leninismo avviatosi già in epoca togliattiana.
Sono condivisibili a parere di chi scrive le seguenti conclusioni di Ferdinando Dubla189:
«Deve ritenersi responsabile, da questo punto di vista, Togliatti o il “togliattismo” della degenerazione successiva del PCI, del fatto, concretissimo, che oggi in Italia non vi sia un partito comunista che possa dirsi erede effettivo del PCI, ad es.? Io credo che non bisogna addossare a un singolo personaggio storico, per quanto importante, l’intera responsabilità di una degenerazione successiva. Questo è valido sempre ed è valido anche per Togliatti. Certo è che gli epigoni togliattiani hanno interpretato le linee politiche e l’analisi di Togliatti in senso progressivamente opportunista, leggendo le fasi politiche contingenti secondo diottrie accentuatamente revisioniste, di cui portano però per intero la responsabilità. Togliatti nel 1964 non lascia affatto delle macerie: egli aveva comunque sviluppato una riflessione ampia e non di corto respiro sul ruolo dei partiti comunisti nel cuore dell’occidente capitalistico. Nella fase antifascista egli questo ruolo non lo concepisce distaccato dalle sorti complessive dell’intero movimento operaio internazionale. Anche se, nelle lezioni sul fascismo tenute alla scuola di Mosca nel 1935, avvia una metodologia di ricerca che possiamo denotare come analisi differenziata. È convinto, cioè, che bisogna ricercare le specificità nazionali e studiare le peculiarità storiche di un paese (nel suo caso l’Italia e il regime fascista come “regime reazionario di massa”) per sviluppare adeguatamente tattiche politiche e delineare obiettivi e strategie efficaci per la rivoluzione socialista. Ma il punto è proprio questo: se nel ’35 il problema è ancora la “transizione al socialismo”, dal ’43-’44 diventa la transizione ad una “democrazia più avanzata” (con i caratteri di cui s’è già detto) e dal ’56, sotto la copertura di una via italiana, il problema cruciale per i comunisti, la transizione e la presa del potere della classe operaia e dei ceti subalterni, viene circoscritto nel limbo di un’indistinta prospettiva, perché la vera e reale prospettiva diventa il peso specifico e contrattuale della forza politica nell’agone istituzionale, con l’inevitabile conseguenza della professionalizzazione del ceto politico. Ben altro, cioè, che i “professionisti della rivoluzione”!
Qui in occidente Togliatti non costruisce un percorso rivoluzionario per obiettivi rivoluzionari con un partito rivoluzionario, ma un percorso che nei fatti rinuncia alla prospettiva del potere politico (o di modifica strutturale dello stesso potere, ad es. non prendendo atto sino in fondo della degenerazione della democrazia rappresentativa ad egemonia clericale rispetto alla Carta Costituente e rinunciando a ipotizzare altre forme concrete di istituti democratici) in cambio di un equilibrio contrattuale che mira a rivendicare spazi di conquista dei diritti per le masse lavoratrici come terreno più avanzato nella dialettica sociale. Il concreto riformismo, abiurato a parole, è la prassi effettiva del PCI dal 1956 in avanti. Con salti e contraddizioni, s’intende, e con un partito ancorato nella sua base di massa ai principi del marxismo-leninismo. In sintesi e schematicamente: mentre Gramsci aveva rintracciato nella categoria di “guerra di posizione” il perno della transizione per la conquista del potere politico del proletariato (l’egemonia, da conquistarsi con il consenso prima di divenire classe dominante), Togliatti considera la strutturazione di trincee avanzate nella società civile e casematte come equilibrio da spostare in avanti per la contrattazione riformista. Allontanando la prospettiva (in un primo momento) e poi rendendola indistinta. […] Togliatti non concepisce mai la mondializzazione della rivoluzione: non crede cioè che la rivoluzione o è mondiale o non è, marcando una netta antitesi con il trockijsmo storico. Nello stesso tempo, però, manca di elaborare il nesso tra prospettiva interna e strategia internazionale per la rivoluzione socialista. […] Credo che sia possibile nella massima onestà politica e intellettuale. Non addossare cioè a Togliatti colpe che di Togliatti non sono. Così come evidenziare tutti i limiti della sua linea politica e della strategia, specie dal dopoguerra agli anni ’60, è necessario e doveroso per non ripercorrerne il tracciato. […] Il “partito nuovo” era necessario per trasformare il PCI da partito di gruppi piccoli e compartimentati in un grande partito di massa. Questo partito di massa, però, non è detto che dovesse progressivamente perdere i connotati e le qualità del partito d’avanguardia, così come la sua potente organizzazione di cellule nei luoghi di lavoro. Qui è il punto cruciale e la sfida persa del “togliattismo”: ma non solo di esso, se si pensa alle vicende del partito francese di Thorez e del partito spagnolo della Ibarurri e di Josè Diaz (pur in condizioni diverse, come la natura nazionalista del gaullismo in Francia e la clandestinità forzata dal franchismo in Spagna)».
Dubla, nel finale qui non riportato, batte l'accento sul fatto che tale deriva diffusa sia conseguenza del venir meno dell'Internazionale Comunista, confermando un giudizio già espresso nei capitoli precedenti riguardo al mancato tentativo rivoluzionario nel periodo 1945-47, omettendo però di ricordare il tentativo di ricostruirla in forme diverse nel COMINFORM. Il resto della storia è noto. Si deve aggiungere una questione importante e non secondaria per la Storia d'Italia e del PCI: pur non ammettendo la presa del potere per via violenta e rivoluzionaria, continuando a denunciare la rottura dell'unità d'azione antifascista del 1947, proponendo implicitamente la possibilità di una riedizione di una simile maggioranza politica tesa a superare il “fattore K”, occorre tenere a mente che per tutta l'epoca della segreteria Togliatti rimane sempre attiva una struttura paramilitare di una certa ampiezza, pronta a reagire nel caso di un golpe militare diretto dalla borghesia o dall'imperialismo. È la cosiddetta “Gladio Rossa190, così denominata da giornalisti di tendenza liberale in tempi recenti. Su questo aspetto è interessante sentire la testimonianza tenuta nel 1997 davanti alla “Commissione Stragi” di uno dei massimi esponenti della Democrazia Cristiana e della Prima Repubblica, Francesco Cossiga191:
«Esistevano due altre strutture. La struttura paramilitare, sia ben chiaro, nulla ha a che fare con il cosiddetto “Triangolo rosso”. Tant'è vero che, come è noto, Togliatti, quando accaddero questi episodi, si precipitò a parlare in quelle federazioni. Sono amico di quel povero sindaco il quale, pur di tenere fuori il partito, si è fatto sbattere in galera per l'omicidio di don Pessina, mentre lui non c'entrava niente: gli dissero che era meglio se andava in galera lui piuttosto che far scoprire tutti gli altri e lui è rimasto in galera. Solo la grande onestà dei discendenti delle persone coinvolte ha portato ad una soluzione del caso, anche se credo che non abbiano neppure fatto la revisione del processo. L'altra struttura era quella di cui avete senz'altro letto perché se ne può trovare traccia in qualunque testo sulla storia del Partito comunista: si trattava di una struttura clandestina, un partito parallelo che veniva tenuto dormiente per il caso - e comprendo benissimo la prudenza - che il Partito comunista venisse dichiarato illegale, in modo che potesse essere subito sostituito da una struttura in grado di funzionare. È quella per la quale si è parlato di una cosiddetta “Gladio rossa” che non era tale, tanto è vero che è intervenuta la richiesta di archiviazione da parte dei magistrati, approvata dal Gip. Si trattava di una struttura difensiva del Partito comunista, organizzata certamente dal Comitato per la politica estera del Partito comunista dell'Unione Sovietica con l'aiuto del Kgb. Non è stata considerata illegale in quanto era una struttura puramente difensiva: una Gladio alla rovescia, dotata di stazioni trasmittenti. Mandarono in Unione Sovietica a fare dei corsi quindici o venti persone, come risulta dagli atti della procura della Repubblica, nell'eventualità che il Partito comunista legale fosse dichiarato illegale».
Alla domanda del Presidente della Commissione, che chiede se ciò non sia stato concepito anche nell'ipotesi in cui potesse verificarsi una involuzione autoritaria della situazione italiana, Cossiga risponde così:
«Sì, certamente. Tant'è vero che, benché si trattasse di una struttura clandestina, l'autorità giudiziaria di Roma ha chiesto l'archiviazione anche dopo aver accertato che i fatti contestati erano veri: si trattava infatti di una attività non rivolta contro lo Stato italiano, perché prepararsi a far fuggire delle persone dall'aeroporto dell'Urbe, addestrarsi a truccarle o altre attività del genere non vedo in quale altro modo potevano essere giudicate. Se io fossi stato un dirigente del Partito comunista avrei fatto io stesso. Come lei capisce, signor Presidente, ho una grande simpatia nei confronti di queste organizzazioni clandestine del Partito comunista. […] Se noi cominciamo a dire che il Partito comunista mandava venti o trenta giovani nell'Unione Sovietica ad addestrarsi per far scappare la gente, a fare corsi di cifrario, sembra che stessero facendo attività di spionaggio. Invece il Partito comunista si trovava da una parte del mondo dove se fosse scoppiata la guerra i dirigenti comunisti sarebbero finiti tutti in galera: che il Partito comunista si preparasse a farli scappare mi sembra assolutamente logico e non tale da far scandalizzare nessuno. […] Quando mi sono chiesto per quale motivo il Partito comunista non si sia impadronito del potere con la forza, dato l'alto grado di penetrazione che aveva in tutti gli apparati dello Stato, la spiegazione è stata solo una: la scelta irrevocabilmente democratica e parlamentare fatta da Togliatti e la divisione del mondo in due. Lo Stato italiano non sarebbe stato assolutamente in grado di impedire una presa del potere per infiltrazione o per violenza da parte del Partito comunista. Di questo non ho dubbio alcuno. Ecco il motivo del mio giudizio di democraticità sul Partito comunista: perché il Partito comunista non ha fatto quello che avrebbe potuto facilmente fare. E non lo ha fatto per due motivi: perché Mosca non glielo avrebbe permesso, anzi li avrebbe mollati, e in secondo luogo perché la scelta democratica e parlamentare di Togliatti (la “via nuova”) era irrevocabile. La “Bolognina” non è stata fatta da Occhetto, ma da Togliatti».
Cossiga non ha resistito nel ribadire nel finale un dato indimostrato e su cui da decenni battono gli anticomunisti, ossia la contrarietà dell'URSS alla presa del potere dei comunisti in Italia, confusa verosimilmente con la contrarietà e l'opposizione dei sovietici alla linea ancor più revisionista della segreteria di Berlinguer. Il resto della testimonianza è però eloquente: uno dei massimi esperti e conoscitori della politica internazionale e italiana, nonché seriale applicatore della destabilizzazione in ambito sociale per scopi politici, afferma che il PCI avrebbe senz'altro potuto prendere il potere per via rivoluzionaria, qualora lo avesse voluto, ma la “Gladio Rossa” non entra mai in funzione perché avente solo funzione difensiva. Si può anticipare che l'apparato paramilitare del PCI viene sciaguratamente smantellato192 dalla segreteria Berlinguer nel novembre 1974193, proprio in una fase storica (quella della “strategia della tensione” dello “stragismo”) in cui l'intera politica del Partito è condizionata dal timore di un colpo di Stato. Una smobilitazione totale che avrebbe fatto inorridire perfino Togliatti, il quale da questo punto di vista aveva ben chiaro che un'ipotetica vittoria elettorale comunista ottenuta in maniera democratica, avrebbe richiesto di essere difesa militarmente dalle manovre della controrivoluzione, operante nel mondo sotto la forma della destabilizzazione permanente dell'imperialismo statunitense, in Italia con il blocco sociale fondato sull'accordo strategico di Democrazia Cristiana, Mafia, Chiesa, Confindustria e dei settori più retrivi e reazionari della società.

188. Per una biografia “politica” meno critica di Togliatti si può vedere G. Turris, Biografia politica di Palmiro Togliatti, Marx21 (web), 10 settembre 2014.
189. Aginform (a cura di), Aginform intervista Ferdinando Dubla, cit.
190. Per un approfondimento: G. Donno, La Gladio Rossa del PCI (1945-1967), Rubbettino, Bari 2001.
191. Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Inchiesta su stragi e depistaggi: audizione del senatore Francesco Cossiga, Presidenza del Presidente Pellegrino, resoconto stenografico 27° seduta, 6 novembre 1997, Parlamento.it.
192. O notevolmente ridimensionata? Conversazioni recenti avute con un compagno che è stato membro del servizio d'ordine del PCI obbligano forse a correggere l'affermazione. Sicuramente hanno continuato ad esistere dei servizi d'ordine di adeguate dimensioni in tutte le principali città e un corpo di compagni che facesse capo direttamente al Nazionale, per proteggere i dirigenti più in vista. In ogni caso un'organizzazione di questo tipo non ha certamente numeri tali da poter offrire una risposta armata adeguata ad un golpe.
193. “Cicikov”, La lunga notte della Gladio rossa, L'Europeo, n° 23, 7 giugno 1991.

cookie