«Dopo l’esito fallimentare dell’esperimento di organizzazione territoriale, le macrostrutture della pianificazione furono ripensate ritornando alla tradizionale impostazione settoriale, anche se meno centralizzata (i ministeri federali-repubblicani erano più numerosi di quelli federali) e con un potere meno incondizionato. I ministeri settoriali furono affiancati da importanti comitati con compiti funzionali (pianificazione, controllo investimenti, coordinamento intersettoriale etc.). La vera novità della riforma economica adottata nel ’65 e gradualmente realizzata stava tuttavia nel recepire in qualche modo i risultati dei dibattiti avvenuti tra il ’62 e il ’64, che prevedevano una maggior autonomia per le imprese. Per queste ultime si pensò a una riduzione del numero di indici quantitativi da rispettare e soprattutto all’introduzione di un indice di redditività costituito dal rapporto fra profitto e fondi di produzione, che doveva spingere l’impresa ad aumentare il profitto e/o economizzare i fondi. Dal profitto netto dovevano essere creati tre accantonamenti a beneficio dell’impresa: uno per i premi individuali, uno per le attività culturali e i servizi sociali resi ai lavoratori e uno per finanziare piccoli miglioramenti produttivi. L’esito della riforma, tuttavia, si rivelò nel complesso deludente per vari ordini di ragioni, in parte derivate dai rapporti fra le unità economiche di base e le autorità centrali, in parte riconducibili ai difetti intrinseci con cui era stata concepita l’incentivazione. I ministeri e gli altri organi dell’amministrazione continuarono infatti a interferire sulla vita delle imprese e a cercare di impedire i rapporti diretti fra un’impresa e l’altra, che pure erano permessi dalla legge. Le imprese, inoltre, mancavano di autonomia nella fissazione dei prezzi e, in mancanza di un adeguato sistema di sanzioni, le inadempienze delle imprese fornitrici potevano danneggiare le imprese clienti; anche l’utilizzo dell’indice di produzione venduta ebbe poco successo in un mercato squilibrato dal lato dell’offerta, nel quale gli acquirenti non avevano alternative. Gli stessi fondi accantonati che rimanevano disponibili presso le aziende, infine, erano difficilmente utilizzabili: in parte risultavano distribuiti in modo inadeguato e in parte, dato il contesto di distorsioni burocratiche e penuria, erano difficilmente spendibili».22