«La nuova direzione politica, dopo una breve fase di incertezza per la quale si è parlato a ragione di un Chruščevismo senza Chruščev, mostrò di lì a poco quella che doveva diventare la sua fisionomia definitiva. Se l’era chruščeviana si era aperta per alcuni anni all’insegna di grandi speranze di liberalizzazione politica, quella di Brežnev vide un partito chiaramente determinato ad arrestare la destalinizzazione e a porre precisi limiti al dissenso. Il gruppo dirigente manifestò certamente anche il proposito, in parte realizzato, di aumentare i consumi e modernizzare il paese, ma senza mettere in questione gli equilibri politico-ideologici caratteristici della società sovietica. La politica economica adottata seguì fedelmente queste linee di fondo. Essa puntò infatti non tanto al rinnovo delle strutture macroeconomiche della pianificazione, che conobbero dei mutamenti nel complesso limitati, ma su una riordino dei meccanismi microeconomici, soprattutto a livello d’impresa. L’economia sovietica, infatti, mancava di meccanismi simili a quelli delle economie di mercato, in grado di penalizzare efficacemente le imprese inefficienti e di migliorare la qualità della produzione. Mancava inoltre – e questo aveva un’importanza determinante nella competizione con l’Occidente – uno stimolo a rinnovare la produzione servendosi dei nuovi ritrovati scientifici: la ricerca sovietica, infatti, si svolgeva in larga parte fuori delle imprese e queste ultime stentavano a incorporarne i risultati».21