«Nell’urgenza di ottenere risultati concreti per l’agricoltura, Chruščev ricorse all’espediente temporaneo di coltivare le terre vergini situate nelle aree orientali dell’URSS, che le cui riserve nutritive accumulate avrebbero consentito di ottenere in breve tempo grandi raccolti. Supportata da trasferimenti di manodopera e mezzi frettolosamente approntati, la coltivazione delle terre vergini dette inizialmente – tranne che per il ’55 – buoni risultati. Negli anni successivi i rendimenti furono oscillanti; ma nel frattempo tuttavia si fecero sentire gli effetti dell’erosione, in astratto prevedibili ma a cui concretamente si era fatto ben poco caso, i quali condussero nel ’63 a risultati disastrosi (fu in quell’anno che si dovette ricorrere a massicce importazioni agricole che ridussero sensibilmente le riserve auree e valutarie). Decisamente controproducente fu inoltre la contemporanea estensione forzata della coltivazione del mais con la prospettiva di usarlo per potenziare l’allevamento a scapito dei foraggi. Anche in questo caso, la varietà delle situazioni ambientali, a torto trascurata nella fase di estensione delle coltivazioni, produsse in breve dei danni evidenti fin dai primissimi anni Sessanta. Nel frattempo la difficoltà per lo stato di fornire i foraggi ai piccoli allevatori privati portò a rovesciare la precedente propensione a incoraggiare l’allevamento da parte dei contadini, i quali vennero spinti invece a far confluire nuovamente il bestiame nelle aziende collettive, con conseguente perdita di patrimonio zootecnico».17