1.5. IL FEMMINISMO BORGHESE DELLE SUFFRAGETTE
Concentriamoci ora sullo sviluppo del femminismo “borghese”, caratterizzato dal fenomeno delle suffragette. Una delle prime leader del movimento è la statunitense Elizabeth Cady Stanton (1815-1902), coautrice della Convenzione di Seneca Falls (1848), un documento diviso in due parti (Dichiarazione dei sentimenti e Deliberazioni) ed in cui si può leggere una concezione ancora pienamente giusnaturalista di carattere religioso per giustificare le proprie richieste:
«in considerazione del fatto che le donne si sentono offese, oppresse e private in modo fraudolento dei loro diritti più sacri, dichiariamo che debbono essere immediatamente ammesse a godere di tutti i diritti e i privilegi che spettano loro in quante cittadine degli Stati Uniti. […] Si delibera pertanto che, avendo ricevuto dal Creatore le stesse capacità e la stessa coscienza della responsabilità di esercitarle, è un evidente diritto e dovere della donna, alla pari con l’uomo, promuovere ogni giusta causa con ogni giusto mezzo […]. Ed essendo questa una verità di chiara evidenza, le cui radici affondano nei principi fondamentali della natura umana, la cui origine è divina, qualunque usanza o disposizione in contrasto con essa, sia recente, sia rivestita della venerabile autorevolezza dell’antichità, deve essere considerata come una evidentissima falsità, e in conflitto con l’umanità».
Ciononostante gli USA non prenderanno in considerazione l'idea del suffragio femminile per molti decenni. L'altro Paese-faro del liberalismo è la Gran Bretagna. Qui la legge comunale “Corporations Act” (1835) concede alle donne il diritto di voto, ma solo nelle elezioni locali, mentre lo esclude per quelle nazionali. Occorre dare atto al liberale inglese John Stuart Mill di aver proposto l'idea del suffragio femminile in un programma presentato agli elettori del Regno Unito nel 1865, venendo però ignorato. Ne consegue nel 1869 la nascita ufficiale del movimento nazionale delle suffragette. Nel 1897 le donne si danno una struttura più solida formando la “Società Nazionale per il suffragio femminile” (National Union of Women's Suffrage). La fondatrice, Millicent Fawcett, cercò di convincere anche gli uomini ad aderire al movimento, perché erano i soli, in quel momento storico, che legalmente potessero concedere il diritto di voto, ma ebbe scarso successo. I progressi sul piano del riconoscimento sociale, in quel primo periodo, furono molto limitati. Sul piano economico e sociale il notevole e crescente benessere dovuto all'industrializzazione aveva nel frattempo cambiato radicalmente la vita delle donne. I movimenti femminili ripresero nuovo vigore quando Emmeline Pankhurst fondò, nel 1903, la “Women's Social and Political Union” (WSPU), con il preciso intento di far ottenere alle donne il diritto di voto politico. Le suffragette attuarono azioni dimostrative, incatenandosi a ringhiere, incendiando le cassette postali, rompendo finestre e così via. Una suffragetta, Emily Davison, morì durante i disordini al Derby di Epsom del 1913, e le venne dedicata un'edizione speciale del quotidiano The Suffragette. Molte vennero incarcerate e iniziarono lo sciopero della fame emulando Marion Dunlop, la prima suffragetta ad attuare tale forma di protesta. In vari casi vennero sottoposte ad alimentazione forzata, mostrando a quali orrori potesse arrivare il liberalismo britannico durante la “Belle Époque”. Su questa stagione, per capire quanto questo movimento non fosse solo borghese, ma godesse di una partecipazione nutrita anche del proletariato, è stato fatto un bel film nel 2015 da Sarah Gavron: Suffragette. Il movimento delle suffragette non riesce però in definitiva, nonostante la radicalizzazione della protesta, a sfondare il muro del conservatorismo borghese, mostrando tutti i limiti del femminismo “liberale”. Occorre a questo punto analizzare le soluzioni poste dall'altro grande filone: il femminismo “sociale” egemonizzato dal marxismo.12
12. Ibidem.