1.01 LE STRAGI DEI COMUNISTI FATTE DAI SUD-COREANI
Il dipinto a olio Massacro in Corea è stato realizzato nel 1951 dal pittore spagnolo Pablo Picasso ed è conservato nel Musée National Picasso di Parigi. L'opera rappresenta un episodio della guerra di Corea del 1950, noto come “massacro di Sinchon”. Al massacro di simpatizzanti comunisti, o presunti tali, partecipano, oltre agli insorti locali, anche un distaccamento della polizia segreta sudcoreana e truppe regolari statunitensi. Il quadro è un'evidente critica dell'intervento statunitense nel conflitto coreano. Perché Picasso realizza un'opera del genere? Partiamo da alcuni dati storici. Nel 1910 il Giappone imperialista, a seguito del Trattato nippo-coreano, annette la Corea. Il fallimento del movimento per l’indipendenza del primo marzo 1919 fa perdere la speranza a molti patrioti coreani.
Vedendo l’avanzamento delle truppe giapponesi in territorio di Manciuria, pronte per un attacco alla Cina, la maggior parte dei nazionalisti coreani rinunciano a resistere, collaborando, in gran numero, coi giapponesi. Nel corso degli anni '30, quasi tutti gli intellettuali e nazionalisti coreani si sono ritirati dal movimento per l’indipendenza. La resistenza resta nelle mani dei soli socialisti, operai e contadini. Dopo la liberazione, nel 1945, si creano rapidamente dei comitati popolari al fine di ricostruire il paese. Fin dalla prima metà degli anni '40 i socialisti avevano preparato il terreno, convinti della sconfitta futura del Giappone. Il socialismo, così, ottiene una certa popolarità: benché non tutti ne comprendano in pieno l’ideologia, il prestigio dei socialisti deriva dall'aver guidato il movimento per l’indipendenza durante l’occupazione giapponese.
Di contro, il governo militare di occupazione USA vorrebbe restaurare il paese a suo piacimento, almeno nella parte Sud della penisola, senza tener conto dei desideri e dei progetti del popolo coreano. Ossessionati dal «pericolo comunista e sovietico», iniziato con la guerra fredda, gli USA impediscono la riunificazione del paese, che avrebbe così sancito l'avvento di un governo filo-sovietico. Per questo motivo si servono dei filo-giapponesi, perfetti collaborazionisti dell’imperialismo USA. Il popolo coreano intraprende così una difficile lotta politica contro i filo-giapponesi che dispongono del controllo dell’economia nazionale grazie al sostegno degli USA. Nel 1948 il governo sud-coreano crea la lega di Bodo e vi arruola forzatamente migliaia (si calcola almeno 300 mila) di comunisti e simpatizzanti di sinistra per rieducarli, promettendogli di dimenticare il loro passato in cambio della fedeltà al regime.
All’inizio della Guerra di Corea centinaia di migliaia di aderenti alla lega di Bodo vengono giustiziati dall’esercito, dalla polizia e dai gruppi paramilitari anticomunisti. Questo massacro, così come le numerose tragedie legate al sistema di rieducazione forzata degli anni '70 nel Sud, costituisce un chiaro esempio delle efferatezze commesse dal Giappone prima e riprodotte successivamente dai pro-giapponesi. Il Giappone infatti era intenzionato a giustiziare tutti i prigionieri politici coreani non appena entrato in guerra contro l’URSS; solo la rapidità della sconfitta glielo aveva impedito. Questi detenuti politici, lasciati in “eredità” dal Giappone, sono arruolati nella lega di Bodo, realizzando la tanto desiderata soluzione concepita dai giapponesi. Il primo degli atti criminali compiuto dai criminali sudcoreani, asserviti ora all'imperialismo yankee, si consuma sull’isola di Jeju, dove in una violentissima repressione governativa vengono brutalmente massacrati un numero di persone comprese tra le 30.000 e le 60.000. La stima è approssimativa poiché, oltre alle persone uccise direttamente, vanno contate anche quelle morte in seguito alle terribili condizioni detentive o fucilate dopo la loro cattura.
La repressione ha luogo in seguito alle proteste che la popolazione sud-coreana, guidata dal Partito Comunista, ha mosso contro il governo militare controllato dagli Stati Uniti, deciso a spezzare in due tronconi il paese. I coreani ostili a questo piano criminale si asserragliano sull’isola di Jeju e iniziano, nell’aprile del 1948, una strenua resistenza contro il governo fantoccio di Washington, riportando anche alcuni successi. Dopo i primi tentativi infruttuosi di negoziato, la situazione si aggrava con l’ascesa al potere di Syngman Rhee, avvenuta in seguito ad elezioni-farsa sotto il controllo nord-americano. Dal momento che buona parte dell’esercito regolare sud-coreano si rifiuta di compiere una strage a danno dei propri fratelli settentrionali, Rhee assolda dei mercenari anti-comunisti fuggiti dalla neonata Repubblica Democratica Popolare di Corea.
La resistenza dei coreani a Jeju, male armati, prosegue nonostante la disparità di forze fino al 1949, anno in cui l’eroico leader Yi Tuk-ku viene assassinato. Complessivamente, secondo il Prof. Kim Dong-Choon, incaricato alla guida della sudcoreana “Commissione Verità e Riconciliazione”, sono state almeno 100 mila (secondo altre stime si arriverebbe a 200 mila) le persone giustiziate dal regime sudcoreano per la colpa di essere comuniste o anche solo per il sospetto che lo fossero. Migliaia quelli che, non essendo stati giustiziati, vengono fatti marcire in carcere per decenni. Si tratta di crimini negati, con il complice silenzio degli statunitensi, per oltre 40 anni dal regime sudcoreano, che solo di recente ha ammesso le proprie responsabilità, arrivando a risarcire formalmente alcune centinaia di famiglie che avevano avuto parenti assassinati. In seguito alla dichiarazione congiunta Nord-Sud del 15 giugno 2000, la maggior parte dei prigionieri politici detenuti in Corea del Sud sono passati al Nord. La forza che gli aveva permesso di mantenere intatte le proprie convinzioni, nonostante le privazioni e le umiliazioni, risiedeva nella certezza che esisteva una Repubblica popolare democratica al di là del 38° parallelo.
Coloro che hanno deciso di trasferirsi al Nord sono stati accolti come eroi, mentre chi è rimasto al Sud conduce una vita miserabile.2
Vedendo l’avanzamento delle truppe giapponesi in territorio di Manciuria, pronte per un attacco alla Cina, la maggior parte dei nazionalisti coreani rinunciano a resistere, collaborando, in gran numero, coi giapponesi. Nel corso degli anni '30, quasi tutti gli intellettuali e nazionalisti coreani si sono ritirati dal movimento per l’indipendenza. La resistenza resta nelle mani dei soli socialisti, operai e contadini. Dopo la liberazione, nel 1945, si creano rapidamente dei comitati popolari al fine di ricostruire il paese. Fin dalla prima metà degli anni '40 i socialisti avevano preparato il terreno, convinti della sconfitta futura del Giappone. Il socialismo, così, ottiene una certa popolarità: benché non tutti ne comprendano in pieno l’ideologia, il prestigio dei socialisti deriva dall'aver guidato il movimento per l’indipendenza durante l’occupazione giapponese.
Di contro, il governo militare di occupazione USA vorrebbe restaurare il paese a suo piacimento, almeno nella parte Sud della penisola, senza tener conto dei desideri e dei progetti del popolo coreano. Ossessionati dal «pericolo comunista e sovietico», iniziato con la guerra fredda, gli USA impediscono la riunificazione del paese, che avrebbe così sancito l'avvento di un governo filo-sovietico. Per questo motivo si servono dei filo-giapponesi, perfetti collaborazionisti dell’imperialismo USA. Il popolo coreano intraprende così una difficile lotta politica contro i filo-giapponesi che dispongono del controllo dell’economia nazionale grazie al sostegno degli USA. Nel 1948 il governo sud-coreano crea la lega di Bodo e vi arruola forzatamente migliaia (si calcola almeno 300 mila) di comunisti e simpatizzanti di sinistra per rieducarli, promettendogli di dimenticare il loro passato in cambio della fedeltà al regime.
All’inizio della Guerra di Corea centinaia di migliaia di aderenti alla lega di Bodo vengono giustiziati dall’esercito, dalla polizia e dai gruppi paramilitari anticomunisti. Questo massacro, così come le numerose tragedie legate al sistema di rieducazione forzata degli anni '70 nel Sud, costituisce un chiaro esempio delle efferatezze commesse dal Giappone prima e riprodotte successivamente dai pro-giapponesi. Il Giappone infatti era intenzionato a giustiziare tutti i prigionieri politici coreani non appena entrato in guerra contro l’URSS; solo la rapidità della sconfitta glielo aveva impedito. Questi detenuti politici, lasciati in “eredità” dal Giappone, sono arruolati nella lega di Bodo, realizzando la tanto desiderata soluzione concepita dai giapponesi. Il primo degli atti criminali compiuto dai criminali sudcoreani, asserviti ora all'imperialismo yankee, si consuma sull’isola di Jeju, dove in una violentissima repressione governativa vengono brutalmente massacrati un numero di persone comprese tra le 30.000 e le 60.000. La stima è approssimativa poiché, oltre alle persone uccise direttamente, vanno contate anche quelle morte in seguito alle terribili condizioni detentive o fucilate dopo la loro cattura.
La repressione ha luogo in seguito alle proteste che la popolazione sud-coreana, guidata dal Partito Comunista, ha mosso contro il governo militare controllato dagli Stati Uniti, deciso a spezzare in due tronconi il paese. I coreani ostili a questo piano criminale si asserragliano sull’isola di Jeju e iniziano, nell’aprile del 1948, una strenua resistenza contro il governo fantoccio di Washington, riportando anche alcuni successi. Dopo i primi tentativi infruttuosi di negoziato, la situazione si aggrava con l’ascesa al potere di Syngman Rhee, avvenuta in seguito ad elezioni-farsa sotto il controllo nord-americano. Dal momento che buona parte dell’esercito regolare sud-coreano si rifiuta di compiere una strage a danno dei propri fratelli settentrionali, Rhee assolda dei mercenari anti-comunisti fuggiti dalla neonata Repubblica Democratica Popolare di Corea.
La resistenza dei coreani a Jeju, male armati, prosegue nonostante la disparità di forze fino al 1949, anno in cui l’eroico leader Yi Tuk-ku viene assassinato. Complessivamente, secondo il Prof. Kim Dong-Choon, incaricato alla guida della sudcoreana “Commissione Verità e Riconciliazione”, sono state almeno 100 mila (secondo altre stime si arriverebbe a 200 mila) le persone giustiziate dal regime sudcoreano per la colpa di essere comuniste o anche solo per il sospetto che lo fossero. Migliaia quelli che, non essendo stati giustiziati, vengono fatti marcire in carcere per decenni. Si tratta di crimini negati, con il complice silenzio degli statunitensi, per oltre 40 anni dal regime sudcoreano, che solo di recente ha ammesso le proprie responsabilità, arrivando a risarcire formalmente alcune centinaia di famiglie che avevano avuto parenti assassinati. In seguito alla dichiarazione congiunta Nord-Sud del 15 giugno 2000, la maggior parte dei prigionieri politici detenuti in Corea del Sud sono passati al Nord. La forza che gli aveva permesso di mantenere intatte le proprie convinzioni, nonostante le privazioni e le umiliazioni, risiedeva nella certezza che esisteva una Repubblica popolare democratica al di là del 38° parallelo.
Coloro che hanno deciso di trasferirsi al Nord sono stati accolti come eroi, mentre chi è rimasto al Sud conduce una vita miserabile.2
2. Fonti usate: D. Mastromattei, Massacro in Corea di Pablo Picasso: analisi completa del quadro, Arteworld.it, 26 maggio 2016; C. J. Hanley & Jae-Soon Chang, Thousands Killed by US's Korean Ally, Commondreams.org, 19 maggio 2008; J. Pilger, Guerre “buone” e “cattive” – e la lotta della memoria contro l'oblio, Johnpilger.com-CCDP, 26 febbraio 2004; Redazione Newsweek, Ghosts of Cheju, Newsweek, 19 giugno 2000.