7.4. LA VERITÀ SULLA RIVOLTA DI PIAZZA TIENANMEN DEL 1989
«In qualsiasi nazione, in qualsiasi epoca, c'è almeno l'1% dei cittadini ribelle a qualsiasi autorità.
Ma qui fra un miliardo e duecento milioni di cinesi, l'1% significa dodici milioni di ribelli sulle piazze».
(Deng Xiaoping)49
«Quelli di Tienanmen erano veramente dei ragazzi poveretti, sedotti da mitologie occidentali, un poco come quelli che esultarono quando cadde il muro; ma insomma, erano dei ragazzi che volevano la Coca-Cola». (Edoardo Sanguineti)50Su tale rivolta gli storici hanno ormai a disposizione materiali che Repubblica e il Corriere sembrano ignorare in favore delle veline del Dipartimento di Stato nord-americano.
In questo estratto di La non-violenza. Una storia fuori dal mito di Domenico Losurdo51, si raccontano le verità nascoste di quei giorni:
«coloro che in Cina si oppongono al potere dominante tendono ad essere, per definizione, circoli e individui votati alla non-violenza. Nella primavera del 1989 imponenti manifestazioni ebbero luogo a Pechino e in altre città del grande paese asiatico, che sembrava stesse per subire la sorte dei regimi comunisti dell'Est europeo. Dopo una fase assai prolungata di trattative e di tentativi di compromesso la crisi si concluse con la proclamazione della legge marziale e l'intervento dei carri armati a piazza Tienanmen. Qualche giorno dopo, il 9 giugno, Deng Xiaoping rendeva omaggio ai “martiri” della polizia e dell'esercito, ai “numerosi” morti e alle “migliaia” di feriti, facendo dunque riferimento a scontri aspri e di ampia portata; sul versante opposto l'Occidente denunciava il massacro compiuto ai danni di dimostranti pacifici. A quale versione prestar fede?
Nel 2001 sono stati pubblicati e successivamente tradotti nelle principali lingue del mondo i cosiddetti Tienanmen Papers che, stando alle dichiarazioni dei curatori (statunitensi), riproducono rapporti segreti e i verbali riservati del processo decisionale sfociato nella repressione del movimento di contestazione. Si verifica un paradosso. Siamo in presenza di Papers, la cui autenticità è contestata dai dirigenti cinesi, i quali hanno forse difficoltà ad ammettere la fuga ad alto livello di documenti riservati, che per di più riferiscono di un processo decisionale così tormentato da concludersi solo grazie all'intervento decisivo del leader carismatico, e cioè di Deng Xiaoping. Sull'autenticità giurano invece i curatori e gli editori, secondo i quali i documenti da loro pubblicati mostrano l'estrema brutalità di un regime che non esita a sommergere in un bagno di sangue una protesta assolutamente pacifica e in qualche modo gandhiana. Sennonché, la lettura del libro in questione finisce col far emergere un quadro ben diverso della tragedia che si consuma a Pechino. È vero, i leader del movimento fanno talvolta professione di “non-violenza”, ma sono gli stessi curatori statunitensi dei Tienanmen Papers a sottolineare che le truppe chiamate agli inizi di giugno a sgomberare la piazza “si scontrarono con una popolazione arrabbiata e violenta”. Sono già di per sé significativi i nomi che si erano dati i gruppi più attivi: “Tigri volanti”, “Brigata della morte”, “Esercito dei volontari”. E in effetti: “Più di 500 camion dell'esercito sono stati incendiati in corrispondenza di decine di incroci. […] Su viale Chang'an un camion dell'esercito si è fermato per un guasto al motore e 200 rivoltosi hanno assalito il conducente picchiandolo a morte […] All'incrocio Cuiwei, un camion che trasportava sei soldati ha rallentato per evitare di colpire la folla. Allora un gruppo di dimostranti ha cominciato a lanciare sassi, bombe molotov e torce contro di quello, che a un certo punto si è inclinato sul lato sinistro Perché uno dei suoi pneumatici si è forato a causa dei chiodi che i rivoltosi avevano sparso. Allora i manifestanti hanno dato fuoco ad alcuni oggetti e li hanno lanciati contro il veicolo, il cui serbatoio è esploso. Tutti e sei i soldati sono morti tra le fiamme”.
Non solo è ripetuto il ricorso alla violenza, ma talvolta entrano in gioco armi sorprendenti: “Un fumo verde-giallastro si è levato improvvisamente da un'estremità del ponte. Proveniva da un autoblindo guasto che ora costituiva esso stesso un blocco stradale […] Gli autoblindo e i carri armati che erano giunti per sgomberare la strada dai blocchi non hanno potuto fare altro che accodarsi alla testa del ponte. Improvvisamente è sopraggiunto di corsa un giovane, ha gettato qualcosa in un autoblindo ed è fuggito via. Alcuni secondi dopo lo stesso fumo verde-giallastro è stato visto fuoriuscire dal veicolo, mentre i soldati si trascinavano fuori e si distendevano a terra, in strada, tenendosi la gola agonizzanti. Qualcuno ha detto che avevano inalato gas venefico. Ma gli ufficiali e i soldati nonostante la rabbia sono riusciti a mantenere l'autocontrollo”. Questi atti di guerra, col ricorso ripetuto ad armi vietate dalle convenzioni internazionali, si intrecciano con iniziative che danno ancora di più da pensare: viene “contraffatta la testata del Quotidiano del Popolo”. Sul versante opposto vediamo le direttive impartite dai dirigenti del Partito Comunista e del governo cinese alle forze militari incaricate della repressione: “Se dovesse capitare che le truppe subiscano percosse e maltrattamenti fino alla morte da parte delle masse oscurantiste, o se dovessero subire l'attacco di elementi fuorilegge con spranghe, mattoni o bombe molotov, esse devono mantenere il controllo e difendersi senza usare le armi. I manganelli saranno le loro armi di autodifesa e le truppe non devono aprire il fuoco contro le masse. Le trasgressioni verranno prontamente punite”. Se è attendibile il quadro tracciato da questo libro pubblicato e propagandato dall'Occidente, a dare prova di cautela e di moderazione non sono i manifestanti ma piuttosto l'Esercito Popolare di Liberazione, anche se non devono essere mancati i reparti che, in una situazione difficile, non sono riusciti a mantenere l'autocontrollo loro ordinato. Nei giorni successivi il carattere armato della rivolta diveniva più evidente. Un dirigente di primissimo piano del partito comunista richiamava l'attenzione su un fatto decisamente allarmante: “Gli insorti hanno catturato alcuni autoblindo e sopra vi hanno montato delle mitragliatrici, al solo scopo di esibirle”. Si sarebbero limitati a una minacciosa esibizione? E, tuttavia, le disposizioni impartite all'esercito non subiscono un mutamento sostanziale: “Il Comando della legge marziale deve rendere chiaro a tutte le unità che è necessario aprire il fuoco solo in ultima istanza”.
Lo stesso episodio del giovane manifestante che blocca col suo corpo un carro armato, celebrato in Occidente quale simbolo di eroismo non-violento in lotta contro una violenza cieca e indiscriminata, viene letto dai dirigenti cinesi, stando sempre al libro qui più volte citato, in chiave diversa e contrapposta: “Abbiamo visto tutti le immagini del giovane uomo che blocca il carro armato. Il nostro carro armato ha ceduto il passo più e più volte, ma lui stava sempre lì in mezzo alla strada, e anche quando ha tentato di arrampicarsi su di esso i soldati si sono trattenuti e non gli hanno sparato. Questo la dice lunga! Se i militari avessero fatto fuoco, le ripercussioni sarebbero state molto diverse. I nostri soldati hanno eseguito alla perfezione gli ordini del Partito. È stupefacente che siano riusciti a mantenere la calma in una situazione del genere!” Il ricorso da parte dei manifestanti a gas asfissianti o velenosi e soprattutto l'edizione-pirata del Quotidiano del Popolo dimostrano chiaramente che incidenti di piazza Tienanmen non sono stati una vicenda esclusivamente interna alla Cina. A cosa mirassero l'Occidente e soprattutto gli Usa lo possiamo desumere da un altro libro, scritto da due autori statunitensi fieramente anticomunisti. Essi ricordano come in quel periodo di tempo Winston Lord, ex ambasciatore a Pechino e consigliere di primo piano del futuro presidente Clinton, non si stancava di ripetere che la caduta del regime comunista in Cina era “una questione di settimane o mesi”. Tanto più fondata appariva tale previsione per il fatto che al vertice del governo e del Partito spiccava la figura di Zhao Ziyang, il quale - sottolineano i due autori statunitensi qui citati - è da considerare “probabilmente il leader cinese più filoamericano nella storia recente”. Visti retrospettivamente, gli incidenti di piazza Tienanmen del 1989 si presentano come la prova generale di quelle “rivoluzioni colorate” che si sarebbero susseguite negli anni successivi».
49. L. Canfora, Critica della retorica democratica, Laterza, Roma-Bari 2005, nel cap. 1 Iuxta propria principia.
50. Citato in P. Bracalini, Sanguineti: «I ragazzi di Tienanmen? Poveretti che volevano la Coca-Cola», Il Giornale (web), 22 gennaio 2007.
51. D. Losurdo, La non-violenza, cit., pp. 225-228.