Prendendo spunto da una celebre frase di Mao Tse-tung, le donne d’ora in avanti dovevano essere considerate “l’altra metà del cielo”, intendendo con ciò riconoscerne il valore e la dignità. Nel 1950 fu varata la legge sulla libertà di matrimonio. Nello stesso tempo, si procedette all’inserimento massiccio delle donne nel mondo del lavoro, poiché tutte le forze produttive, senza distinzione alcuna, dovevano essere messe in campo per costruire la nuova società socialista. La scelta di non vincolare rigidamente al piano statale il settore dell’industria, consentendo la creazione di una miriade di fabbriche di quartiere, di laboratori e cooperative, essenzialmente affidate all’iniziativa e alla conduzione delle unità di base, indicava che il partito non concepì affatto il lavoro femminile come risorsa “addizionale”. L’impiego del modello di crescita estensiva, con un minimo di decentramento produttivo, stimolò la socializzazione del lavoro domestico e la creazione di servizi - asili, scuole, mense collettive ecc. (la cui gestione era spesso affidata alle donne), richiesti dalla particolare struttura socio-economica. L’applicazione del tipo non completamente centralizzato di accumulazione socialista, espresso dal lavoro artigianale e dalle piccole unità di produzione (composte soprattutto da donne e anziani), consentì la rapida costruzione della base materiale del processo d’emancipazione femminile in Cina. Alla fine degli anni ’50, la quota di lavoratrici era del 90%. La riforma del sistema d’istruzione e quella agraria, insieme con una nuova legislazione del lavoro, portò più diritti e ulteriori possibilità d’occupazione per le donne. Il paradigma di sviluppo economico scelto dai cinesi andò poi approfondendosi e chiarendosi nel corso di un’acuta lotta di classe, iniziata con il “grande balzo in avanti” e che ebbe il suo momento di punta con la “rivoluzione culturale”, durante la quale le cinesi dovettero per prima cosa battersi contro i tentativi di Liu Shaoqi di estrometterle dal lavoro produttivo e relegarle nel lavoro domestico. A Shangai, nel 1966, più della metà delle donne aveva abbandonato il lavoro di fabbrica ed era ritornata tra le mura domestiche. In seguito, quelle inserite nelle grandi fabbriche assunsero un ruolo d’avanguardia - quando il partito decise d’affrontare i nodi della divisione sociale del lavoro e della discriminazione salariale - poiché da sempre escluse dal lavoro intellettuale e dai posti di comando, e a causa dei livelli retributivi più bassi di quelli degli uomini. Nel 1969, già espulso Liu Shaoqi dal partito e poi cacciato dalla presidenza della Repubblica, durante il dodicesimo plenum dell’VIII Comitato centrale (ottobre 1968), una direttiva del partito stabilì una quota fissa del 30% (nelle situazioni più avanzate la proporzione raggiunse anche il 50%) di quadri femminili negli organi di gestione del potere di base e in quelli di direzione generali del partito e dello Stato. Nel corso dell’esperimento maoista vi furono anche degli eccessi. La retorica dell’uguaglianza tese ad omologare la compagna-lavoratrice con il compagno-lavoratore. Attraverso i film o le riviste si possono ancora oggi vedere le sagome asessuate delle lavoratrici cinesi nelle loro tenute da lavoro (giacche e pantaloni scuri) impegnate a rifare le strade, a guidare trattori o a lavorare nei cantieri ecc. Simbolicamente esse dovevano rappresentare la parte femminile dell’avanguardia della classe operaia e contadina del paese, con lo scopo di rafforzare il tema dell’egemonia del proletariato. La socializzazione dell’educazione dei figli - nata sulla giusta spinta dell’annullamento della storica separazione tra sfera pubblica e privata – svuotò, tuttavia, la famiglia di qualsiasi ruolo. Durante la “rivoluzione culturale”, le decisioni sul matrimonio e il divorzio o su come crescere i figli furono sovente assunte nel corso delle sessioni di critica e auto-critica dei comitati di partito o delle brigate di lavoro. Infine, con i processi condotti dalle Guardie rosse per l’epurazione degli “elementi borghesi”, molte intellettuali furono ingiustamente confinate nei campi di lavoro».