7.1. DENG XIAOPING E IL “SOCIALISMO CON CARATTERISTICHE CINESI”
«Per sostenere il socialismo, un socialismo che sia superiore al capitalismo, rappresenta un imperativo in primo luogo soprattutto eliminare la povertà». (Deng Xiaoping, 26 aprile 1987)37Contadino rivoluzionario, veterano della Rivoluzione fin dai tempi della Lunga Marcia, comandante di mille battaglie contro l'imperialismo giapponese e nemico di classe del Kuomintang, Deng Xiaoping (Guang'an, 22 agosto 1904 – Pechino, 19 febbraio 1997) ha ricoperto ruoli direttivi nel Partito Comunista Cinese (PCC) a più riprese nel corso dell'era di Mao Tse-tung e ha diretto de facto la Cina dal 1978 al 1992. È stato il pioniere della riforma economica cinese e l'artefice del “socialismo con caratteristiche cinesi”, teoria che mira a giustificare la transizione dall'economia “chiusa”, pianificata e totalmente centralizzata, ad una politica di apertura verso un'economia con elementi di “mercato”, restando all'interno dell'ottica di uno Stato controllore delle prospettive macroeconomiche.
Nel decennio tra gli anni '80 e '90 sotto la sua guida la Repubblica Popolare Cinese migliora le relazioni strategiche e geopolitiche con l'URSS, abbandonando la Teoria dei Tre Mondi, antisovietica e di ascendenza maoista.
Deng è il cuore della seconda generazione dei leader del Partito Comunista Cinese. Sotto la sua guida la Cina diventa una delle economie dalla crescita più rapida, senza che il Partito perda il controllo del paese. La finalità delle riforme di Deng è riassunta nel programma delle Quattro Modernizzazioni: agricoltura, industria, scienza e tecnologia, apparato militare. «Intendiamo acquisire tecnologia avanzata, scienza e una gestione efficiente. Tutte queste cose non hanno un carattere di classe». La strategia da usare per conseguire l'obiettivo di una nazione industriale moderna è l'economia socialista di mercato. Deng argomenta che la Cina si trovi nello stadio base del socialismo e che il dovere del partito sia di perfezionarlo lavorando ad un “socialismo con caratteristiche cinesi”.
Questa interpretazione cinese del marxismo riduce il ruolo e il peso dell'ideologia nelle decisioni economiche. Deng pone in risalto l'idea che socialismo non significhi povertà condivisa. La giustificazione teorica che fornisce per consentire l'apertura al mercato capitalistico è la seguente: «Pianificazione e forze di mercato non rappresentano l'essenziale differenza che sussiste tra socialismo e capitalismo. Economia pianificata non è la definizione di socialismo, perché c'è una pianificazione anche nel capitalismo; l'economia di mercato si attua anche nel socialismo. Pianificazione e forze di mercato sono entrambe strumenti di controllo dell'attività economica». Deng crede non sia da respingere nessuna linea di condotta per il solo fatto di non essere aderente alle teorie di Mao; diversamente dai leader più conservatori come Chen Yun, Deng non presenta obiezioni a determinate politiche economiche per la sola ragione che esse siano simili a quelle attuate nelle nazioni capitaliste. Uno dei suoi motti più famosi è: «la pratica è l'unico criterio di verità». Le riforme di Deng includono l'introduzione di una gestione pianificata e centralizzata della macroeconomia in mano a funzionari tecnicamente competenti, abbandonando il modello di economia collettivista di Mao. Tuttavia, a differenza del modello sovietico, la gestione risulta essere indiretta tramite i meccanismi del mercato. Deng sostiene l'eredità di Mao per quanto riguarda il ruolo di primaria importanza della produzione agricola, e incoraggia una significativa decentralizzazione della gestione delle decisioni nei gruppi. A livello locale, per motivare la forza-lavoro e aumentare la produttività devono essere impiegati incentivi concreti piuttosto che appelli politici, incluso il permesso ai contadini di guadagnare entrate extra grazie alla vendita dei prodotti delle terre ad essi assegnate sul mercato.
Nella generale spinta volta ad ottenere una posizione di mercato, alle municipalità locali e alle province è consentito di investire nelle industrie che esse stesse considerano più redditizie, il che favorisce gli investimenti verso l'industria leggera. Le riforme di Deng determinano lo spostamento della strategia di sviluppo della Cina dall'industria pesante all'industria leggera, con una crescita guidata delle esportazioni. La produzione industriale leggera è vitale per lo sviluppo di un paese che dispone di scarsi capitale di base. Con un breve periodo di gestazione, bassi requisiti di capitale e alti guadagni derivanti dalle esportazioni verso l'estero, i profitti generati dall'industria leggera possono essere reinvestiti in una produzione tecnologicamente più avanzata e in ulteriori importanti spese e investimenti. Tuttavia, in netto contrasto con le riforme simili ma non di così notevole successo attuate in Jugoslavia e in Ungheria, tali investimenti non sono finanziati dal governo. Il capitale investito nell'industria pesante proviene in gran parte dal sistema bancario e dalla maggior parte dai depositi dei consumatori. Uno dei primi punti delle riforme di Deng prevede di evitare una ripartizione dei profitti, se non tramite la tassazione o il sistema bancario; la ripartizione nelle industrie di proprietà dello Stato avviene pertanto in modo indiretto, rendendo così meno semplice l'interferenza diretta del governo.
Le riforme di Deng sono state la scintilla che hanno messo in moto una rivoluzione industriale, rappresentando una svolta notevole rispetto alle linee di condotta maoiste di un'economia autosufficiente. La Cina accelera il processo di modernizzazione aumentando il volume di scambi commerciali con l'estero, specialmente con l'acquisto di macchinari dal Giappone e dall'Occidente. Con tale crescita guidata delle importazioni la Cina riesce a portare avanti le Quattro Modernizzazioni.
I capitali stranieri, il mercato, le tecnologie innovative e lo sviluppo di competenze manageriali accelerano così lo sviluppo economico. Ci sono molti parallelismi tra il socialismo di mercato di Deng, soprattutto nei primi stadi, e la Nuova Politica Economica di Lenin così come con la politica economica di Bucharin. In entrambe è previsto un ruolo per l'impresa privata e uno maggiore dei meccanismi di mercato per la determinazione dei prezzi di vendita, a discapito di una rigida pianificazione centrale.
La “svolta” di Deng Xiaoping è stata così sintetizzata da Domenico Losurdo39:
Deng è il cuore della seconda generazione dei leader del Partito Comunista Cinese. Sotto la sua guida la Cina diventa una delle economie dalla crescita più rapida, senza che il Partito perda il controllo del paese. La finalità delle riforme di Deng è riassunta nel programma delle Quattro Modernizzazioni: agricoltura, industria, scienza e tecnologia, apparato militare. «Intendiamo acquisire tecnologia avanzata, scienza e una gestione efficiente. Tutte queste cose non hanno un carattere di classe». La strategia da usare per conseguire l'obiettivo di una nazione industriale moderna è l'economia socialista di mercato. Deng argomenta che la Cina si trovi nello stadio base del socialismo e che il dovere del partito sia di perfezionarlo lavorando ad un “socialismo con caratteristiche cinesi”.
Questa interpretazione cinese del marxismo riduce il ruolo e il peso dell'ideologia nelle decisioni economiche. Deng pone in risalto l'idea che socialismo non significhi povertà condivisa. La giustificazione teorica che fornisce per consentire l'apertura al mercato capitalistico è la seguente: «Pianificazione e forze di mercato non rappresentano l'essenziale differenza che sussiste tra socialismo e capitalismo. Economia pianificata non è la definizione di socialismo, perché c'è una pianificazione anche nel capitalismo; l'economia di mercato si attua anche nel socialismo. Pianificazione e forze di mercato sono entrambe strumenti di controllo dell'attività economica». Deng crede non sia da respingere nessuna linea di condotta per il solo fatto di non essere aderente alle teorie di Mao; diversamente dai leader più conservatori come Chen Yun, Deng non presenta obiezioni a determinate politiche economiche per la sola ragione che esse siano simili a quelle attuate nelle nazioni capitaliste. Uno dei suoi motti più famosi è: «la pratica è l'unico criterio di verità». Le riforme di Deng includono l'introduzione di una gestione pianificata e centralizzata della macroeconomia in mano a funzionari tecnicamente competenti, abbandonando il modello di economia collettivista di Mao. Tuttavia, a differenza del modello sovietico, la gestione risulta essere indiretta tramite i meccanismi del mercato. Deng sostiene l'eredità di Mao per quanto riguarda il ruolo di primaria importanza della produzione agricola, e incoraggia una significativa decentralizzazione della gestione delle decisioni nei gruppi. A livello locale, per motivare la forza-lavoro e aumentare la produttività devono essere impiegati incentivi concreti piuttosto che appelli politici, incluso il permesso ai contadini di guadagnare entrate extra grazie alla vendita dei prodotti delle terre ad essi assegnate sul mercato.
Nella generale spinta volta ad ottenere una posizione di mercato, alle municipalità locali e alle province è consentito di investire nelle industrie che esse stesse considerano più redditizie, il che favorisce gli investimenti verso l'industria leggera. Le riforme di Deng determinano lo spostamento della strategia di sviluppo della Cina dall'industria pesante all'industria leggera, con una crescita guidata delle esportazioni. La produzione industriale leggera è vitale per lo sviluppo di un paese che dispone di scarsi capitale di base. Con un breve periodo di gestazione, bassi requisiti di capitale e alti guadagni derivanti dalle esportazioni verso l'estero, i profitti generati dall'industria leggera possono essere reinvestiti in una produzione tecnologicamente più avanzata e in ulteriori importanti spese e investimenti. Tuttavia, in netto contrasto con le riforme simili ma non di così notevole successo attuate in Jugoslavia e in Ungheria, tali investimenti non sono finanziati dal governo. Il capitale investito nell'industria pesante proviene in gran parte dal sistema bancario e dalla maggior parte dai depositi dei consumatori. Uno dei primi punti delle riforme di Deng prevede di evitare una ripartizione dei profitti, se non tramite la tassazione o il sistema bancario; la ripartizione nelle industrie di proprietà dello Stato avviene pertanto in modo indiretto, rendendo così meno semplice l'interferenza diretta del governo.
Le riforme di Deng sono state la scintilla che hanno messo in moto una rivoluzione industriale, rappresentando una svolta notevole rispetto alle linee di condotta maoiste di un'economia autosufficiente. La Cina accelera il processo di modernizzazione aumentando il volume di scambi commerciali con l'estero, specialmente con l'acquisto di macchinari dal Giappone e dall'Occidente. Con tale crescita guidata delle importazioni la Cina riesce a portare avanti le Quattro Modernizzazioni.
I capitali stranieri, il mercato, le tecnologie innovative e lo sviluppo di competenze manageriali accelerano così lo sviluppo economico. Ci sono molti parallelismi tra il socialismo di mercato di Deng, soprattutto nei primi stadi, e la Nuova Politica Economica di Lenin così come con la politica economica di Bucharin. In entrambe è previsto un ruolo per l'impresa privata e uno maggiore dei meccanismi di mercato per la determinazione dei prezzi di vendita, a discapito di una rigida pianificazione centrale.
La “svolta” di Deng Xiaoping è stata così sintetizzata da Domenico Losurdo39:
«In una conversazione del 10 ottobre 1978 Deng Xiaoping richiama l'attenzione sul fatto che si sta allargando il gap tecnologico rispetto ai paesi più avanzati; questi si sviluppano “con una velocità tremenda”, mentre la Cina non riesce in alcun modo a tenere il passo. E dieci anni dopo: “l'alta tecnologia sta avanzando a un ritmo tremendo”; c'è il rischio che “aumenti ulteriormente il gap della Cina rispetto agli altri paesi”. Se avesse mancato l'appuntamento con la nuova rivoluzione tecnologica, il grande paese asiatico si sarebbe condannato a una permanente arretratezza e si sarebbe venuto a trovare in una situazione di debolezza e diseguaglianza simile a quella che l'aveva consegnato inerme alle guerre dell'oppio e alla strapotenza del capitalismo e colonialismo occidentali. Ma la politica di rapido sviluppo economico e tecnologico di rincorsa dell'Occidente non avrebbe finito col favorire le regioni (costiere), che godevano di una migliore collocazione geografica e disponevano almeno delle modeste infrastrutture, bene o male lasciate in eredità dal dominio coloniale o semicoloniale? La distribuzione più o meno egualitaria della miseria avrebbe ceduto il posto a un processo di sviluppo dai ritmi inevitabilmente diseguali. Si ripresentava il problema che abbiamo visto emergere immediatamente dopo la Rivoluzione d'Ottobre: la lotta di classe rivoluzionaria aveva come obiettivo la realizzazione di una società in cui, dileguati “i ricchi”, c'era posto solo per “poveri e poverissimi” o doveva promuovere uno sviluppo delle forze produttive e della ricchezza sociale, tale da debellare una volta per sempre la miseria e la penuria e da innalzare drasticamente il tenore di vita delle masse popolari? D'altro canto, sino a che punto può essere considerata egualitaria una società in cui c'è posto solo per “poveri e poverissimi”? A quest'ultima domanda hanno risposto con tragica eloquenza due capitoli della storia della Repubblica Popolare Cinese. Il “Grande balzo in avanti”, promosso da Mao Tse-tung alla fine degli anni '50, è stato il tentativo di far avanzare di pari passo le due lotte contro le due disuguaglianze. Per un verso, la mobilitazione di massa di uomini e donne nel lavoro e nell'edificazione economica imponeva il ricorso a pratiche collettivistiche della produzione e nell'erogazione di servizi; e ciò dava l'impressione o l'illusione di un possente avanzamento della causa dell'eguaglianza all'interno del paese. Per un altro verso, questa mobilitazione politica era chiamata a bruciare le tappe dello sviluppo economico della Cina e così a infliggere colpi decisivi alla diseguaglianza vigente nei rapporti internazionali. […] A causa anche del contesto internazionale sfavorevole e ostile (all'embargo sin dagli inizi impietosamente praticato dagli USA e dall'Occidente si aggiungeva la rottura con l'URSS e gli altri paesi socialisti), il risultato di Grande Balzo in avanti e Rivoluzione Culturale fu fallimentare e tragico. Ne conseguì un rallentamento più o meno drastico dello sviluppo economico, che finiva con l'inasprire entrambe le diseguaglianze. Non solo si accentuava il ritardo della Cina rispetto ai paesi più avanzati, ma anche sul piano interno l'egualitarismo pur sinceramente proclamato e appassionatamente perseguito si rovesciava nel suo contrario. […] Mentre impone un ascetismo doloroso per tutti, la società vagheggiata dal populismo (non solo cristiano), in cui “i ricchi non ci sono più: solo poveri e poverissimi”, è ben lungi dal mantenere la promessa dell'eguaglianza, dato che la ridotta diseguaglianza quantitativa finisce con configurarsi e manifestarsi quale assoluta diseguaglianza qualitativa. Di ciò era costretto a tener conto Mao Tse-tung che […] tracciava un bilancio amaro e ricco di accenti autocritici. […] Si può comprendere allora la svolta di Deng Xiaoping: i marxisti dovevano finalmente rendersi conto “che la povertà non è socialismo e che il socialismo significa eliminazione della miseria; non si può dire che si sta edificando il socialismo se non si sviluppano le forze produttive e non si innalza il tenore di vita del popolo”. E dunque, “diventare ricchi è glorioso!”: così proclamava Deng Xiaoping, che riprendeva, probabilmente senza saperlo, la parola d'ordine con cui più di mezzo secolo prima Bucharin aveva cercato di superare l'arretratezza dell'agricoltura sovietica, stimolando l'impegno dei contadini. […] Si trattava di farla finita con la visione, rimproverata alla sconfitta “banda dei quattro”, per cui “il comunismo povero era preferibile al capitalismo ricco”. In realtà, secondo la definizione di Marx, comunista è la società regolata dal principio “Ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”. E dunque essa presuppone un enorme sviluppo delle forze produttive e della ricchezza sociale; è allora una contraddizione di termini parlare di “comunismo povero” o di “socialismo povero” (dato che il socialismo è la fase preparatoria del comunismo). A questo punto, però, in quanto seguace dei principi del marxismo e del comunismo, Deng Xiaoping si preoccupava di distinguere il significato che il motto a lui caro assumeva nell'ambito di ordinamenti sociali diversi. Al contrario che nel capitalismo, nel socialismo “la ricchezza appartiene al popolo” e la “prosperità” è “per l'intero popolo”. […] Certo, soprattutto per un paese-continente qual è la Cina non era possibile accedere alla “comune prosperità” tutti allo stesso tempo: a conseguire per prime l'obiettivo sarebbero state le regioni costiere, che poi sarebbero state in grado e in obbligo di “dare un aiuto più grande” alle regioni dell'interno. Dal punto di vista di Deng Xiaoping la svolta da lui impressa alla Cina era la “seconda rivoluzione”, ovvero un nuovo stadio della rivoluzione, ma per i suoi avversari in patria e per buona parte dei marxisti occidentali si trattava in realtà di una controrivoluzione borghese e capitalista».
37. Citato in R. Sidoli & M. Leoni, Cina e socialismo, Homolaicus.com.
38. Sul tema si vedano D. A. Bertozzi, La Cina della riforma: un percorso storico-ideologico, in A.V., Marx in Cina, cit., pp. 47-55; R. Sidoli & M. Leoni, Cina e socialismo, cit.; D. Losurdo, Un istruttivo viaggio in Cina. Riflessioni di un filosofo, Domenicolosurdo.blogspot.it, 24 luglio 2010.
39. D. Losurdo, La lotta di classe, cit., pp. 206-209.