C. LE CONSEGUENZE DELLA GUERRA FREDDA PER IL TERZO MONDO
Utilizziamo alcuni estratti de Il secolo breve di Hobsbawm che mostrano la diversità di approccio tra URSS e USA verso il “Terzo Mondo”:
Ciò rende evidente il ruolo antimperialista dell'URSS, anche da parte del movimento dei paesi non allineati che «erano o dicevano di essere socialisti secondo una via nazionale […]. Tutti nutrivano qualche simpatia per l'Unione Sovietica o almeno erano pronti ad accettare dall'URSS aiuti economici e militari», d'altronde «gli Stati Uniti avevano abbandonato le loro vecchie tradizioni anticoloniali […] e cercavano chiaramente di appoggiarsi agli elementi più conservatori del Terzo Mondo».9 La conclusione è che
«I movimenti antimperialisti e anticolonialisti prima del 1914 erano […] meno consistenti di quanto si potrebbe pensare alla luce della quasi totale liquidazione degli imperi coloniali e giapponesi avvenuta entro mezzo secolo dallo scoppio della prima guerra mondiale […]. Fu solo la Grande Guerra che scosse seriamente per la prima volta la struttura del colonialismo mondiale […]. L'impatto della Rivoluzione d'ottobre e il crollo generale dei vecchi regimi […] diedero per la prima volta l'impressione alla popolazione delle colonie che gli imperi stranieri fossero sul punto di estinguersi».3Viene confermata l'importanza storica avuta dalla Rivoluzione bolscevica nel risvegliare i popoli coloniali:
«Nel periodo della conquista dell'indipendenza, il socialismo (nella versione comunista sovietica) attirava i governi dei paesi decolonizzati non solo perché la causa dell'antimperialismo era sempre stata sostenuta dalla sinistra nelle nazioni colonizzatrici, ma ancor più perché essi vedevano nell'URSS il modello per superare l'arretratezza grazie alla pianificazione industriale».4L'URSS diventa un esempio imprescindibile per costruire un proprio sviluppo al di fuori delle strutture imperialiste. In effetti in ambito neocoloniale
«il valore dei paesi coloniali per il mercato mondiale era essenzialmente quello di fornitori di prodotti primari – materie prime per l'industria e per la produzione di energia, nonché prodotti dell'agricoltura e dell'allevamento del bestiame – e quello di sfogo per gli investimenti del capitalismo dei paesi settentrionali».5
Si è spesso sostenuta l'equiparazione degli opposti imperialismi (USA e URSS) e la loro volontà espansionistica. In realtà «l'URSS […] non cercò di estendere ulteriormente con la forza militare la propria sfera d'influenza. Gli USA controllavano e dominavano il resto del mondo capitalista come pure l'emisfero occidentale e gli oceani, subentrando a ciò che restava della vecchia egemonia imperiale delle ex potenze coloniali».6
Si potrebbe obiettare che in linea di principio gli USA siano sempre stati contrari al colonialismo, ma conta la sostanza: «gli USA di Roosevelt e l'URSS di Stalin, erano entrambe, per diverse ragioni, ostili al vecchio colonialismo, anche se l'anticomunismo americano trasformò ben presto Washington nel difensore della conservazione nel Terzo mondo».7 Rimane senza risposta apparente la domanda posta da William Blum: «se Washington considerasse giusta e meritevole una ribellione nel Terzo Mondo dovrebbe anche rispondere alla seguente domanda: perché gli Stati Uniti, se ritengono necessario intervenire, non lo fanno dalla parte dei ribelli? Questo non solo servirebbe meglio la causa dei diritti umani e del rispetto della giustizia, ma scalzerebbe l'Unione Sovietica dal ruolo internazionale che le si attribuisce».8Ciò rende evidente il ruolo antimperialista dell'URSS, anche da parte del movimento dei paesi non allineati che «erano o dicevano di essere socialisti secondo una via nazionale […]. Tutti nutrivano qualche simpatia per l'Unione Sovietica o almeno erano pronti ad accettare dall'URSS aiuti economici e militari», d'altronde «gli Stati Uniti avevano abbandonato le loro vecchie tradizioni anticoloniali […] e cercavano chiaramente di appoggiarsi agli elementi più conservatori del Terzo Mondo».9 La conclusione è che
«sin dall'inizio della Guerra fredda, gli USA decisero di combattere questo pericolo [di un'instabilità politica che potesse portare al potere i comunisti nel Terzo mondo, ndr] con ogni mezzo, dagli aiuti economici alla propaganda ideologica, dalla eversione militare aperta o segreta alla guerra in grande stile; preferibilmente alleandosi con un regime locale amico o di cui si erano comperati i favori, ma se necessario anche senza alcun sostegno locale. Per questa ragione il Terzo mondo rimase una zona di guerra […]. Prima del crollo sovietico, si valutò che circa diciannove, forse perfino venti milioni di persone erano state uccise in più di cento “guerre, azioni di guerra e scontri militari” fra il 1945 e il 1983, avvenuti quasi tutti nel Terzo mondo: più di nove milioni in Asia orientale; tre milioni e mezzo in Africa; due milioni e mezzo in Asia meridionale; più di mezzo milione in Medio Oriente, senza calcolare […] il conflitto Iran-Iraq del 1980-1988 […]; poco meno di mezzo milione in America latina».10Occorre a questo punto rispondere all'accusa di William Blum secondo cui «i leader russi parlano di guerre di liberazione, antimperialismo e anticolonialismo mentre fanno ben poco per sostenere queste cause».11 In realtà l'URSS e i suoi paesi alleati non cercano mai di imporre il proprio regime nel “Terzo Mondo”. Non intervengono in nessun paese se non su richiesta specifica del governo locale e in tal caso offrono il proprio aiuto in varia maniera.
«I partiti comunisti di osservanza moscovita nel Terzo mondo mantennero una linea politica di calcolata moderazione. In quei paesi il nemico non era il capitalismo, nella misura in cui esisteva, bensì il precapitalismo, gli interessi dei gruppi di potere locali e l'imperialismo (statunitense) che li appoggiava. La via per andare avanti non era quella della lotta armata, bensì la formazione di un vasto fronte popolare e nazionale nel quale accogliere come alleati la borghesia o la piccola borghesia “nazionale”. […] Questa strategia, che mandava su tutte le furie coloro che preferivano imbracciare le armi, parve talvolta vincente, come in Brasile e in Indonesia nei primi anni '60 e in Cile nel 1970. Non c'è forse da sorprendersi se quella strategia, quando si mostrò vincente, fu bloccata da colpi di stato militari, seguiti da repressioni terroristiche, come in Brasile dopo il 1964, in Indonesia nel 1965 e in Cile nel 1973».12Quel che per Blum è un dato di demerito va invece visto come una forma di rispetto del diritto internazionale, oltre che dell'internazionalismo proletario che vieta l'aggressione militare o economica ad altri Stati sovrani. Certamente l'URSS sostiene e offre supporto in vario modo ai partiti comunisti fratelli di tutto il mondo, affinché possano rafforzare le lotte per la decolonizzazione, per la democrazia e per il socialismo. Ma con un atteggiamento assolutamente non comparabile rispetto a quello degli USA. Occorre ricordare un altro aspetto: laddove la decolonizzazione è osteggiata in ogni maniera dall'imperialismo, «dopo il 1945, la forma principale di lotta rivoluzionaria nel Terzo mondo, cioè nel mondo, sembrò essere la guerriglia». Dalla fine della seconda guerra mondiale a metà anni '70 si contano 32 guerre di guerriglia sparse nel mondo. Questa tattica, propagandata da ideologi dell'estrema sinistra critici della politica sovietica, si ispira alle vittoriose rivoluzioni socialiste guidate da Mao Tse-tung in Cina o da Fidel Castro e Ernesto “Che” Guevata a Cuba. È proprio Cuba ad incoraggiare e propagandare la nascita di movimenti di guerriglia anticoloniale e antimperialista in tutto il mondo, con particolare riscontro nell'America latina, dove l'imperialismo statunitense risponde appoggiando e sostenendo svariati golpe e regimi militari reazionari.13 La differenza tra un movimento di guerriglia e un movimento terrorista è assai labile e dipende più che altro dal giudizio dello storico e dagli obiettivi ultimi per cui si lotta, oltre che dalla vittoria o meno del movimento. Da segnalare che nonostante l'URSS tenda a non incoraggiare i movimenti di guerriglia non tardi a sostenerli finanziariamente e militarmente, laddove sia negata altra strada democratica, in ossequio agli obblighi derivanti dall'internazionalismo proletario. Molto più spesso però il sostegno è di tipo unicamente politico, economico e culturale:
«I legami più attivi sono stati sviluppati dalla fine degli anni ’50 in poi, dopo l’indipendenza di numerosi stati africani. Mosca si è rivolta al mondo afro-asiatico con offerte di sostegno per i movimenti anti-coloniali e nuovi stati indipendenti. L’URSS ha sostenuto le decisioni della Conferenza di Bandung dei paesi afro-asiatici tenutasi nell’aprile del 1955, nella lotta all’imperialismo ed al colonialismo in tutte le sue manifestazioni. Alla metà degli anni ’80 l’Unione Sovietica firmò centinaia di accordi in ambito economico e culturale con i paesi africani e infatti circa 25.000 studenti africani furono accolti nelle università russe. È importante notare come tra loro vi siano i presidenti di Angola (Jose Eduardo dos Santos), Mozambico (Armando Guebeza) e Sud Africa (Jacob Zuma)».14Mentre ancora infuria il razzismo e le potenze imperialiste occidentali cercano di mantenere il controllo delle proprie residue colonie, L'URSS organizza nel 1958 a Taskent un'importante Conferenza degli scrittori dell'Asia e dell'Africa che mette in contatto tra loro intellettuali di primo piano come Du Bois, Senghor, Wright, Fanon, Césaire e molti altri, i quali certamente non possono essere accostabili integralmente al marxismo, dati i richiami al panafricanismo e alla “négritude” di molti di loro, ma a cui viene dato ugualmente un importante sostegno al fine di diffondere una cultura antirazzista e anticolonialista.15
3. E. Hobsbawm, Il secolo breve, cit., pp. 250-251.
4. Ivi, p. 243.
5. Ivi, p. 244.
6. Ivi, p. 268.
7. Ivi, p. 258.
8. W. Blum, Il libro nero degli Stati Uniti, cit., p. 16.
9. E. Hobsbawm, Il secolo breve, cit., pp. 420-421.
10. Ivi, p. 508.
11. W. Blum, Il libro nero degli Stati Uniti, cit., p. 17.
12. E. Hobsbawm, Il secolo breve, cit., pp. 508-509.
13. Ivi, pp. 509-517.
14. Y. Dzemianchuk, Russia in Africa: i limiti della politica estera russa, Lospiegone.com, 8 luglio 2017.
15. A. Graziosi, L'URSS dal trionfo al degrado, cit., p. 231.