B. LENIN, LA III INTERNAZIONALE E LA LIBERAZIONE DELL'UMANITÀ
Queste posizioni arretrate sono spazzate via da Lenin, che ridefinisce il marxismo con un'impostazione realmente universale che viene incontro alle esigenze dell'intera umanità, non solo della sua parte bianca e occidentale. In tal senso il marxismo-leninismo, il marxismo aggiornato dalla lezione di Lenin, risulta grandemente superiore alle teorie rivoluzionarie dell'epoca precedente. Per dimostrare il peso conferito da Lenn alla questione coloniale, caratteristica fondamentale del successivo movimento comunista mondiale, presentiamo un passo di Luciano Canfora2:
«Nei primi anni Venti del Novecento, Lenin, nei suoi ultimi scritti, dalla relazione al II congresso dell'Internazionale (24 luglio 1920) all'ultima sua prosa pubblicata, Meglio meno, ma meglio (Pravda, 2 marzo 1923), prende di mira, di fronte al fallimento dell'ipotesi di una diffusione a Occidente della rivoluzione esplosa in Russia, “l'aristocrazia operaia”. Parla di “corruzione”, di “elemosina - da parte del ceto capitalistico - ai capi del movimento operaio e all'aristocrazia operaia”.
E commenta con drastico schematismo: “Tutto si riduce alla corruzione. Si corrompe per mille vie diverse: elevando la cultura dei centri più importanti, fondando istituti di istruzione […]. Questo si fa dovunque esistano rapporti capitalistici civili e moderni. I miliardi dei sovrapprofitti sono il fondamento economico su cui poggia l'opportunismo del movimento operaio […]. L'opportunismo degli strati superiori della classe operaia è socialismo borghese. I militanti del movimento operaio appartenenti alla corrente opportunistica difendono la borghesia meglio degli stessi borghesi”.
La speranza di una vittoria viene dunque dai popoli coloniali, che “la guerra imperialistica ha coinvolto nella storia mondiale”; la controffensiva, dopo la sconfitta a Occidente, verrà comunque da questo “miliardo e 250 milioni di uomini”. E conclude: “noi rappresentiamo e difendiamo effettivamente il 70% della popolazione mondiale” (1920). Nel '23 il tono è meno fiducioso: “La situazione internazionale ha fatto sì che oggi la Russia è stata respinta indietro”, la Germania “è stata asservita agli Stati vincitori” e parecchi Stati, “tra i più vecchi dell'Occidente, avendo vinto la guerra, hanno avuto la possibilità di sfruttare la vittoria per fare alle loro classi oppresse diverse concessioni, che, pur essendo poco importanti, ritardano il movimento rivoluzionario, e creano qualcosa come la 'pace sociale'. […] Saremo noi in grado di resistere nelle nostre condizioni disastrose fino a che i paesi capitalistici dell'Europa occidentale avranno compiuto il loro sviluppo verso il socialismo?”
La risposta che Lenin si dà è che “l'esito può essere previsto solo considerando che, in fin dei conti, il capitalismo stesso educa e addestra alla lotta l'enorme maggioranza della popolazione del globo […] Russia, India e Cina costituiscono l'enorme maggioranza della popolazione” per cui “la vittoria definitiva del socialismo è senza dubbio pienamente assicurata”. Nel frattempo la Russia dovrà “sforzarsi di costruire uno Stato in cui gli operai mantengono la direzione sui contadini […] sviluppare l'industria meccanizzata, sviluppare l'elettrificazione, ecc. Solo questa è la nostra speranza”. Come si vede, l'opzione staliniana per il “socialismo in un paese solo” e per l'industrializzazione a tappe forzate è già tutta qui».
2. L. Canfora, La Schiavitù del Capitale, pp. 77-80.