9.4. LA RIVOLUZIONE ISLAMICA DEGLI AYATOLLAH
Dopo 25 anni di regimi filoamericani nel 1979 arriva la rivoluzione islamica a spazzare via la subalternità politico-economica all'imperialismo occidentale. Sul carattere autoritario del regime imposto dagli Ayatollah pesa enormemente proprio il rancore covato a lungo per la vicenda drammatica di Mossadeq. Come spiega Simone Zoppellaro:
«l’immagine dell’anziano Mossadeq asserragliato in casa insieme a pochi fedelissimi, ferito sotto i colpi dei carri armati Sherman che la assediavano, rimarrà impressa a lungo nella memoria degli iraniani. Come resterà l’idea – chiara tanto all’ultimo scià che ai leader della Repubblica islamica – che il pluralismo, le libertà di stampa e di associazione, rischiano di essere dei segni di debolezza inammissibili in un contesto come quello iraniano. Come disse l’attuale guida suprema Khamenei nel 1981, durante la commemorazione della morte di Mossadeq: “Non siamo certo dei liberali come Allende, desiderosi di farsi spazzare via dalla CIA”».
Occorre ad ogni modo ridimensionare il ruolo esclusivo giocato dal fattore religioso nella presa del potere: è vero che «negli anni '60 e '70 la vecchia opposizione comunista e nazionale fu soffocata dalla polizia segreta, i movimenti regionali ed etnici furono repressi come pure lo furono i soliti gruppi di guerriglieri di sinistra, marxisti ortodossi o marxisti islamici». È anche vero però che «la sinistra tradizionale» è «presente e attiva in Iran» alla vigilia della Rivoluzione, «e il ruolo da essa giocato nel rovesciare lo scià, ad esempio mediante lo sciopero degli operai, fu tutt'altro che insignificante».131
È un errore di valutazione clamoroso che mostra i grossi limiti ideologici del revisionismo del marxismo diffuso in Medio Oriente. D'altronde, inizialmente, perfino Mosca giudica positivamente i fermenti rivoluzionari iniziati nel dicembre 1978, nella speranza che in essi possa avere un ruolo di rilievo il Tudeh, il Partito comunista locale «che aveva riconosciuto la guida dell'ayatollah sperando di cavalcarne la rivoluzione fino al potere». Alla cacciata dello shah, «a lungo il principale alleato di Washington nella regione» e al successivo arrivo di Khomeini segue l'occupazione dell'ambasciata americana con la presa in ostaggio del suo personale.
I «guardiani della Rivoluzione» perseguitano i ricchi in un processo che ricorda vagamente l'avvio di una rivoluzione anticapitalista, andando a collegare l'identità religiosa e nazionale alla questione sociale. In tutto questo periodo i comunisti, invece di cercare di mobilitare la classe operaia su basi più avanzate, si mascherano dietro gli slogan religiosi appena sfumati, lasciando però di fatto la direzione del movimento ai seguaci dell'Ayatollah.
L'errore ha conseguenze enormi non solo per l'Iran, ma anche per il movimento comunista internazionale. «Già nell'agosto 1979 [...] la chiusura della stampa laica e liberale, seguita da licenziamenti sempre più massiccia di insegnanti laici e dalla chiusura dell'università, segnalava che in Iran stava accadendo qualcosa di nuovo e inatteso». Il Tudeh verrà posto fuori legge nel 1983 per poi essere distrutto con una repressione spietata. «Il messaggio, che all'inizio pochi colsero, era potentissimo: le rivoluzioni del Terzo mondo non obbedivano più alle precedenti regole dei movimenti di liberazione nazionale e non finivano più con lo schierarsi automaticamente dalla parte dei Mosca. Il fondamentalismo islamico poteva anzi essere altrettanto e anche più aggressivamente anticomunista dei regimi “reazionari” che combatteva».132 È così in effetti. Gli USA, dopo aver subito una profonda umiliazione e una sonora lezione, colgono però presto la portata potenzialmente controrivoluzionaria, e quindi utile, dell'islamismo radicale. Nonostante questo possa essere utilizzato in un singolo paese dando un taglio più o meno “sviluppista” e antimperialista, esso avrebbe mancato di garantire un progresso socio-umano integrale al proletariato: la condizione delle donne peggiora; i diritti dei lavoratori subiscono sostanziali peggioramenti nell'imposizione di un corporativismo tipico dei regimi interclassisti teocratici; a livello di politica estera, nonostante l'antiamericanismo, il paese precipita in un conflitto militare evitabile con l'Iraq di Saddam Hussein, che dal 1983-84 riprende le relazioni con gli USA proprio in funzione anti-iraniana. Da allora saranno alleati (con il conseguente supporto militare statunitense)133 per tutto il decennio, fino a quando i due Bush non decideranno, ormai caduto il Muro di Berlino, di ridare una lezione a quell'alleato un po' troppo ambizioso in due guerre distanziate di pochi anni. L'esempio iraniano ha contribuito alla diffusione del fondamentalismo islamico, elevandolo ad esempio vincente di Resistenza antimperialista, nonostante sia subito evidente la sua natura strumentale, non a caso fatta propria dagli USA in Afghanistan in ottica antisovietica.
È un errore di valutazione clamoroso che mostra i grossi limiti ideologici del revisionismo del marxismo diffuso in Medio Oriente. D'altronde, inizialmente, perfino Mosca giudica positivamente i fermenti rivoluzionari iniziati nel dicembre 1978, nella speranza che in essi possa avere un ruolo di rilievo il Tudeh, il Partito comunista locale «che aveva riconosciuto la guida dell'ayatollah sperando di cavalcarne la rivoluzione fino al potere». Alla cacciata dello shah, «a lungo il principale alleato di Washington nella regione» e al successivo arrivo di Khomeini segue l'occupazione dell'ambasciata americana con la presa in ostaggio del suo personale.
I «guardiani della Rivoluzione» perseguitano i ricchi in un processo che ricorda vagamente l'avvio di una rivoluzione anticapitalista, andando a collegare l'identità religiosa e nazionale alla questione sociale. In tutto questo periodo i comunisti, invece di cercare di mobilitare la classe operaia su basi più avanzate, si mascherano dietro gli slogan religiosi appena sfumati, lasciando però di fatto la direzione del movimento ai seguaci dell'Ayatollah.
L'errore ha conseguenze enormi non solo per l'Iran, ma anche per il movimento comunista internazionale. «Già nell'agosto 1979 [...] la chiusura della stampa laica e liberale, seguita da licenziamenti sempre più massiccia di insegnanti laici e dalla chiusura dell'università, segnalava che in Iran stava accadendo qualcosa di nuovo e inatteso». Il Tudeh verrà posto fuori legge nel 1983 per poi essere distrutto con una repressione spietata. «Il messaggio, che all'inizio pochi colsero, era potentissimo: le rivoluzioni del Terzo mondo non obbedivano più alle precedenti regole dei movimenti di liberazione nazionale e non finivano più con lo schierarsi automaticamente dalla parte dei Mosca. Il fondamentalismo islamico poteva anzi essere altrettanto e anche più aggressivamente anticomunista dei regimi “reazionari” che combatteva».132 È così in effetti. Gli USA, dopo aver subito una profonda umiliazione e una sonora lezione, colgono però presto la portata potenzialmente controrivoluzionaria, e quindi utile, dell'islamismo radicale. Nonostante questo possa essere utilizzato in un singolo paese dando un taglio più o meno “sviluppista” e antimperialista, esso avrebbe mancato di garantire un progresso socio-umano integrale al proletariato: la condizione delle donne peggiora; i diritti dei lavoratori subiscono sostanziali peggioramenti nell'imposizione di un corporativismo tipico dei regimi interclassisti teocratici; a livello di politica estera, nonostante l'antiamericanismo, il paese precipita in un conflitto militare evitabile con l'Iraq di Saddam Hussein, che dal 1983-84 riprende le relazioni con gli USA proprio in funzione anti-iraniana. Da allora saranno alleati (con il conseguente supporto militare statunitense)133 per tutto il decennio, fino a quando i due Bush non decideranno, ormai caduto il Muro di Berlino, di ridare una lezione a quell'alleato un po' troppo ambizioso in due guerre distanziate di pochi anni. L'esempio iraniano ha contribuito alla diffusione del fondamentalismo islamico, elevandolo ad esempio vincente di Resistenza antimperialista, nonostante sia subito evidente la sua natura strumentale, non a caso fatta propria dagli USA in Afghanistan in ottica antisovietica.
131. E. Hobsbawm, Il secolo breve, cit., pp. 529-530.
132. A. Graziosi, L'URSS dal trionfo al degrado, cit., pp. 455-456.
133. S. M. Hersch, U.S. Secretly Gave Aid to Iraq Early in Its War Against Iran, New York Times, 26 gennaio 1992.