21 Novembre 2024

09. IL MAR DEI CARAIBI MACCHIATO DI SANGUE

Lasciando da parte il caso di Cuba, che tratteremo in altra sede, vediamo brevemente come tutta la zona abbia visto ancora in pieno '900 una serie notevole di interventi imperialisti guidati in primo luogo dagli USA, volenterosi di mantenere il controllo della regione.
Iniziamo con Haiti, patria della grande rivoluzione anticoloniale e antischiavista di Toussaint Louverture (Port-Margot, 20 maggio 1743 – Fort-de-Joux, 7 aprile 1803): Haiti viene occupata militarmente dai marines dal 1915 al 1934 per proteggere gli investimenti statunitensi, stimati ad inizio secolo in circa 15 milioni di dollari. Il governo, sotto la pressione militare, è costretto a porre le dogane e le finanze pubbliche sotto il controllo degli USA. Nella riscrittura della Costituzione, fatta sotto dettatura dei nuovi capi, viene abolito l'articolo 5 che da un secolo vietava ai bianchi la proprietà del suolo. I contadini haitiani sono le vittime di una misura che reimpone il predominio dei latifondisti occidentali. Da ricordare «l'epopea dei Cacos di Charlemagne Peralte che per quattro anni (1915-19) praticò la guerriglia e tenne testa alle truppe d'occupazione prima di venire assassinato a tradimento».64 In quella che è diventata la nazione nera più povera dell'America Latina, nell'agosto 1959 gli USA aiutano con supporto militare diretto il dittatore Francois “Papa Doc” Duvalier a stroncare una rivolta di esuli haitiani che aveva avuto un minimo supporto logistico di Cuba. Duvalier rimane fino al 1971 un fedele alleato degli USA, così come il suo successore, il figlio Jean-Claude “Baby Doc” Duvalier, che governa fino al 1986. Gli yankees ricambiano il favore addestrando e armando le forze militari del regime, usando Israele come tramite. Occorre aspettare il febbraio 1991 perché il paese abbia un presidente liberamente eletto, dopo una serie di governi guidati dai militari. Vince infine, con il 67,5% dei voti, il sacerdote cattolico Aristide, «graffiante critico della politica estera statunitense».65 Il 30 settembre 1991 viene rovesciato dall'esercito, in quello che è il 172° colpo di Stato da quando Haiti ha raggiunto l'indipendenza nel 1804.
«Nel 1996 Christophe Wargny scrisse con Pierre Mouterde un libro dal suggestivo titolo di Apre bal Tambou lou: cinq ans de duplicité américaine en Haiti, 1991-1996, in cui mostrava l'azione combinata contro Aristide […] da parte degli USA, dei militari, dell'oligarchia haitiana e del Vaticano. Quest'ultimo si sarebbe opposto ad Aristide a causa del suo impegno per la teologia della liberazione».
Tre anni dopo il suo rovesciamento, Aristide viene riportato al potere dagli stessi USA in «un'operazione umanitaria» autorizzata dall'ONU.66
Per quanto riguarda Santo Domingo (Repubblica Dominicana), si può ricordare l'occupazione degli USA dal 1916 al 1924, mentre dal 1930 inizia l’era di Rafael Leonidas Trujillo, uomo di fiducia di Washington che accumula morti, torture ed estorsioni fino al 1961, quando viene ucciso dalla stessa CIA, in ossequio alla volontà della Casa Bianca dell'idea che per evitare il contagio del comunismo successivo alla rivoluzione cubana sia meglio avere al potere personaggi meno compromettenti e più moderati. Scoppia però il putiferio perché nelle elezioni indette per il 1962 vince Juan Bosch, uno scrittore sinceramente democratico che aveva fatto 25 anni di esilio. Bosch compie “l'errore” di inserire nel proprio programma politico una riforma agraria (compreso il trasferimento di alcuni terreni privati al settore pubblico), l'edilizia popolare, una modesta nazionalizzazione degli affari, un ambizioso programma di lavori pubblici e la riduzione delle importazioni di beni di lusso. È aperto agli investimenti stranieri, purché non comportino uno sfruttamento eccessivo del paese. Rimette inoltre in primo piano le libertà civili, garantendo la libertà politica ai comunisti. Ce n'è abbastanza per allarmare Washington. «Benché fosse anticomunista, gli USA ne diffidavano. Nel settembre 1963 egli venne rovesciato dal colonnello Elias Wessin y Wessin».
Per farlo cadere agli USA è bastato interrompere gli aiuti economici al paese e dare una strizzata d'occhio ai militari cresciuti con Trujillo. Inaspettatamente un gruppo di ufficiali costituzionalisti, guidati dal colonnello Francisco Caamano, prende le armi e, «sostenuto dalla stragrande maggioranza della popolazione», richiede che Juan Bosch sia ristabilito al suo posto. Nella guerra civile che ne segue i marines statunitensi intervengono al momento opportuno: quando cioè diventa evidente che le truppe costituzionaliste stanno per vincere.
La motivazione ufficiale dell'intervento militare data da Johnson è che bisognasse «proteggere i cittadini statunitensi residenti nel paese». Di fronte alle pressioni internazionali gli USA devono mascherare l'intervento con la partecipazione di truppe di altre «quattro dittature militari, le sole che accettarono di seguire Washington nella sua invasione: il Brasile dei militari golpisti, il Nicaragua di Somoza, il Paraguay di Stroessner e l'Honduras». Con la scusa di impedire l'avvento del comunismo e salvare la democrazia, gli USA impongono come presidente Balaguer, ex devoto del dittatore Trujillo. «La democrazia», ha scritto la rivista Newsweek, «veniva salvata dal comunismo sbarazzandosi della democrazia». Il colonnello Caamano, pur mantenendo enorme prestigio popolare grazie ad una rivoluzione riuscita quantomeno ad ottenere il ritorno della Costituzione progressista del 1963, muore nel 1973 in un ultimo tentativo di portare la lotta armata a Santo Domingo.67
Vale la pena segnalare, con Weiner, come si sia svolto il dibattito tra Casa Bianca e CIA:
«Quella sera, durante una riunione in abito di gala alla Casa Bianca, Raborn [direttore della CIA dal 28 aprile 1965 al 30 giugno 1966, ndr] riferì – senza averne le prove e senza riserve – che i ribelli erano controllati da Cuba. “Secondo me si tratta di una vera e propria offensiva lanciata dal signor Castro” affermò la mattina dopo durante una conversazione telefonica col presidente. […] “Quanti terroristi di Castro ci sono lì?” gli chiese il presidente. “Ne abbiamo identificati con certezza otto” fu la risposta di Raborn. […] L'elenco degli otto “terroristi di Castro” apparve in un memorandum della CIA in cui si legge: “Non esistono prove del fatto che il regime di Castro sia direttamente coinvolto nell'attuale insurrezione”. Il presidente riagganciò il telefono e decise di inviare nella Repubblica Dominicana altri mille marines».68
Passiamo alla Giamaica degli anni '70. Mentre Bob Marley esporta il reggae in tutto il mondo, nel 1975 Henry Kissinger in persona approda sull'isola «per suggerire a Manley di mutare la sua politica», altrimenti le relazioni tra USA e il suo paese «sarebbero state riesaminate». Il presidente Michael Manley (in carica dal 1972 al 1980 e poi nuovamente dal 1989 al 1992) è ormai poco gradito a Washington perché ha dato sostegno all'MPLA dell'Angola e stretto relazioni diplomatiche con Cuba e l'URSS; inoltre sostiene una forma di socialismo democratico (pur nell'ambito di un'economia mista simile a quella dei paesi dell'Europa occidentale) e ha introdotto una fastidiosa imposta sulla produzione di alluminio, «danneggiando» le multinazionali (principalmente statunitensi) che ne controllano il settore di mercato. Il governo intende inoltre acquistare il 51% delle attività estrattive straniere e progetta «la costruzione di un complesso internazionale per la produzione di alluminio al di fuori del sistema delle multinazionali». Ciononostante Manley subisce pressioni non solo dagli USA ma anche dalla sinistra giamaicana, cercando di costruire una «terza via» che indispone particolarmente la Casa Bianca. Di fronte al rifiuto di Manley di recedere, gli USA scatenano la «guerra economica» e una serie di operazioni clandestine tese ad ottenere un ricambio politico nelle elezioni del 1976. Il programma di destabilizzazione della CIA prevede l'uso di incendi, attentati dinamitardi, omicidi, una «massiccia turbolenza sindacale», la «destabilizzazione economica» (taglio di ogni aiuto internazionale, danneggiamento del turismo, riduzione della produzione di alluminio, d'accordo con le multinazionali, per ridurre le entrate fiscali del paese), sostegno finanziario clandestino all'opposizione, «mobilitazione della classe media nell'ambito di organizzazioni antigovernative create dalla CIA per orchestrare manifestazioni ampiamente pubblicizzate», «infiltrazione nei servizi di sicurezza e nelle forze armate per farli rivoltare contro il governo». Gli sforzi della CIA non riescono ad impedire la rielezione di Manley nel 1976, ma la loro prosecuzione, in forma più “moderata”, durante l'epoca Carter riescono a deteriorare abbastanza la qualità della vita delle masse popolari da garantire il ricambio politico nel 1980. Da segnalare che in quell'anno «800 persone persero la vita in scontri politici». Manley ha tracciato un bilancio amaro su questa stagione: «In Giamaica i poteri forti hanno dimostrato di essere padroni delle vie della destabilizzazione. Hanno saputo come usare i fatti e creare storie inventate per ottenere il massimo effetto».69
Chiudiamo con l'esposizione della piccola isola di Grenada: 110 mila abitanti in tutto, sparsi tra piccoli villaggi le cui principali voci di esportazioni sono cacao, noce moscata e banane. Qui gli USA mettono in piedi l'operazione Urgent Fury: una vera e propria invasione militare dell'isola, con più di 8.000 soldati di forze di terra, mare e aria, svolta a seguito di rivolgimenti politici che avrebbero potuto portare ipoteticamente ad un uso futuro dell'isola come base sovietica o cubana. Il 25 ottobre 1983 soldati degli Stati Uniti sbarcano a Grenada e, dopo aver vinto la resistenza delle forze presenti sull'isola, rovesciano il governo militare da poco salito al potere di Hudson Austin. L'invasione viene condannata dall'Onu come un attentato alla sovranità di Grenada ed una violazione del diritto internazionale. Perché gli USA si ficcano in un'operazione del genere? La ragione risiede nelle politiche del New Jewel Movement (NJM), che nel 1979 aveva preso il potere con il socialista rivoluzionario Maurice Bishop. In un paese sottosviluppato Bishop comincia «da princìpi elementari: lavoro, nuove scuole, preparazione degli insegnanti, alfabetizzazione degli adulti, servizi sociali, acque pulite, gratuità di servizio sanitario e distribuzione di latte per gli infanti, cooperative agricole, ecc». Il NJM rifiuta il sistema elettorale borghese, favorendo la partecipazione popolare diretta nelle organizzazioni di massa, nell'ottica di un continuo interscambio tra alto e basso alla base del concetto di democrazia diretta. Un esempio potenzialmente destabilizzante per l'intera regione, aggiungendosi a Cuba.
Gli USA e la CIA usano le consuete armi per destabilizzare il paese, minacciando velatamente colpi di Stato nel caso che Bishop si rivolga a Cuba per difendersi. Come ci informa Gordievskij, sollecitata da Castro, l'URSS accetta di fornire «massicci aiuti militari», tanto da ricevere i ringraziamenti del generale dell'esercito di Grenada, Hudson Austin, che scrive ad Andropov per ringraziarlo e per chiedere di far addestrare quattro ufficiali del servizio informazioni di Grenada. Tutto ciò ha chiaramente solo funzione difensiva.
All'inizio del mese di ottobre del 1983 esplode un violento scontro interno alla dirigenza del MNJ, in particolare tra il Ministro Bernard Coard, il generale Hudson Austin comandante dell'esercito da un lato e Bishop e altri dirigenti dall'altro. Non ci si accorda sulle strategie e sulle prospettive della rivoluzione grenadina: Bishop ed altri ministri sono posti agli arresti domiciliari da parte della fazione di Coard. L'arresto del leader, molto popolare tra la sua gente, destabilizza il paese, facendo scoppiare moti e disordini in tutta l'isola. Il 19 ottobre 30.000 fedeli a Bishop marciano verso Fort Rupert, sede della nuova giunta militare e anche prigione dove sono rinchiusi gli arrestati, per imporre la liberazione del loro leader e portarlo in trionfo. Subito dopo compaiono autoblindo e camion militari con miliziani che sequestrano Bishop, la sua compagna incinta Jacqueline Creft e diversi membri del suo governo. Vengono tutti giustiziati mediante fucilazione. La popolazione rimane stordita e Castro stesso deplora l'azione di quelli che chiama spregiativamente «gruppo Pol Pot», rifiutando di fornire ulteriore sostegno militare al nuovo governo. La morte di Bishop fornisce agli yankees «una scusa per andare a occuparsi del problema», come afferma Duane Clarridge, capo della divisione della CIA per l'America Latina e uno dei tre più importanti pianificatori dell'invasione di Grenada. I rifornimenti bellici accumulati fino a quel momento consentono comunque una notevole resistenza del popolo aggredito, specie se proporzionata alle forze in gioco, tanto che 135 soldati statunitensi sono uccisi o feriti, contro 400 grenadini. Anche i cubani (che avevano ricevuto l'ordine di rispondere al fuoco solo se attaccati), presenti sull'isola con centinaia di tecnici, operai e ingegneri (per aiutare a costruire un aeroporto internazionale), e una cinquantina di soldati, subiscono decine di perdite, e la quasi totalità diventa ostaggio degli USA, subendo anche torture e tentativi di corruzione. L'Unione Sovietica condanna l'invasione americana, paragonandola a un «intrepido attacco di coloni bianchi a cavallo armati fino ai denti contro un villaggio di pellerossa».70 Con la tragica vicenda di Grenada chiudiamo la questione dell'America centrale e dei Caraibi.
Passiamo ora al continente meridionale.
64. P. Pena, Gli interventi statunitensi in America Latina, cit., pp. 343-344.
65. W. Blum, Il libro nero degli Stati Uniti, cit., pp. 217-219, 547-565.
66. P. Pena, Gli interventi statunitensi in America Latina, cit., p. 358.
67. Fonti usate: Ivi, pp. 351-352; W. Blum, Il libro nero degli Stati Uniti, cit., pp. 262-274,
68. Fonti usate: P. Pena, Gli interventi statunitensi in America Latina, cit., pp. 351-352; W. Blum, Il libro nero degli Stati Uniti, cit., pp. 262-274; Tim Weiner, CIA, cit., p. 246.
69. Fonti usate: W. Blum, Il libro nero degli Stati Uniti, cit., pp. 262-274; T. Weiner, CIA, cit., pp. 390-395.
70. Fonti usate: W. Blum, Il libro nero degli Stati Uniti, cit., pp. 400-411; T. Weiner, CIA, cit., p. 376; P. Haski, Grenada, l’isola che è diventata un marchio, Internazionale (web), 18 agosto 2014; E. Vigna (a cura di), Grenada: ottobre 1993-ottobre 2013, memoria di una invasione, CCDP, ottobre 2013.

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