21 Novembre 2024

8.2. LO STORICO DISCORSO DI ARAFAT ALL'ONU

Merita un particolare tributo colui che per decenni è stato il leader riconosciuto a livello internazionale della Resistenza palestinese: si allude a Yasser Arafat (Il Cairo, 24 agosto 1929 – Clamart, 11 novembre 2004), non un marxista-leninista, ma un coerente patriota antimperialista che rivendica la fratellanza e vicinanza con tutti i popoli sfruttati del mondo. Riportiamo ampi stralci dello storico discorso da lui tenuto all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 13 novembre 1974108:
«Le radici della questione palestinese risalgono agli ultimi anni del XIX secolo, in altre parole a quella che oggi chiamiamo “l'epoca del colonialismo e degli insediamenti”. Proprio in quel periodo nacque il sionismo come programma, con l'obiettivo di portare a termine la conquista della Palestina da parte degli immigrati europei, esattamente come i colonizzatori occuparono, e invasero a mano armata gran parte dell'Africa. È lo stesso periodo in cui, irrompendo fuori dall'Occidente, il colonialismo si diffuse nelle regioni più remote di Africa, Asia e America Latina, costruendo colonie, sfruttando, opprimendo e saccheggiando crudelmente i popoli di questi tre continenti.
Quel periodo continua ancora oggi. […] Così come il colonialismo e i suoi demagoghi hanno esaltato le conquiste, i saccheggi e gli innumerevoli attacchi contro i nativi dell'Africa, in nome di una missione “civilizzatrice e modernizzante”, così, ondate di migranti sionisti hanno mascherato i loro propositi nella conquista della Palestina. Allo stesso modo in cui il colonialismo come sistema, e i colonizzatori come suo strumento, hanno usato la religione, il colore, la razza e la lingua per giustificare lo sfruttamento dell'Africa e la sua crudele sottomissione mediante il terrore e la discriminazione, sono stati usati gli stessi metodi per usurpare la Palestina e cacciare il suo popolo dalla patria nazionale. Allo stesso modo in cui il colonialismo ha usato senza scrupoli i miseri, i poveri, gli sfruttati come semplice materia inerte con cui costruire e portare a termine l'occupazione da parte dei coloni, allo stesso modo gli ebrei europei oppressi e in difficoltà sono stati usati per gli interessi dell'imperialismo mondiale e della leadership sionista. Gli ebrei europei sono stati trasformati negli strumenti dell'aggressione; sono diventati gli elementi di un'occupazione colonizzatrice profondamente affine alla discriminazione razziale. La teologia sionista è stata usata contro il nostro popolo palestinese: lo scopo era non solo insediarsi mediante un'occupazione di coloni in stile occidentale, ma anche separare gli ebrei dalle loro diverse terre natie e perciò estraniarli dai loro paesi. Il sionismo è un'ideologia imperialista, colonialista, razzista; è profondamente reazionario e discriminatorio; ha codici retrogradi, affini all'antisemitismo ed è, a conti fatti, un'altra faccia della stessa medaglia. Poiché, quando si propone che coloro che aderiscono alla fede ebraica, a prescindere dal paese di residenza, non debbano giurare fedeltà alla nazione in cui risiedono né vivere in una relazione equa con gli altri cittadini non ebrei, quando ciò viene proposto, sentiamo che viene proposto l'antisemitismo. Quando si propone che l'unica soluzione al problema ebraico è che gli ebrei devono alienarsi dalle comunità o nazioni di cui hanno fatto storicamente parte, quando si propone che gli ebrei risolvano la questione ebraica emigrando e insediandosi con la forza nella terra di un altro popolo, quando ciò accade, questo corrisponde esattamente alla stessa posizione che gli antisemiti sostengono contro gli ebrei. […]
L'invasione ebraica della Palestina cominciò nel 1881. Prima che arrivasse la prima vasta ondata di immigranti, la Palestina aveva una popolazione di mezzo milione di abitanti, la maggior parte musulmani o cristiani, e gli ebrei erano solo 20.000. Ogni settore della popolazione godeva della tolleranza religiosa caratteristica della nostra civiltà. Allora la Palestina era una terra verdeggiante, principalmente abitata da un popolo arabo intento a costruire la propria vita e ad arricchire in modo dinamico la propria autonoma cultura. Tra il 1882 e il 1917, il movimento sionista installò circa 50.000 ebrei europei nella nostra terra. A questo scopo, fece ricorso all'astuzia e all'inganno per insediarsi fra noi. Facendo firmare alla Gran Bretagna la Dichiarazione Balfour, rivelò ancora una volta l'alleanza tra il sionismo e l'imperialismo. Inoltre, promettendo al movimento sionista ciò che non era suo, la Gran Bretagna dimostrò quanto fosse arrogante la legge imperialista. Quando fu costituita, la Lega delle Nazioni abbandonò il nostro popolo arabo, e gli impegni e le promesse di Wilson si risolsero nel nulla. Sotto la maschera del Mandato, l'imperialismo britannico ci fu imposto direttamente e crudelmente. Il mandato emesso dalla Lega delle Nazioni permetteva agli invasori sionisti di consolidare le loro conquiste nella nostra terra natia. Sulla scia della Dichiarazione Balfour e per un periodo di trent'anni, il movimento sionista riuscì, in collaborazione con il suo alleato imperialista, a insediare altri ebrei europei nella nostra terra, usurpando i possedimenti degli arabi palestinesi. Nel 1947 gli ebrei erano ormai 600.000, e possedevano circa il 6% della terra palestinese coltivabile. Questo dato è da confrontare con quello della popolazione palestinese, che all'epoca contava 1.250.000 abitanti.
Come risultato della collusione tra il potere del Mandato e il movimento sionista e con il sostegno di alcuni paesi, questa Assemblea generale approvò, all'inizio della sua storia, una Raccomandazione per la spartizione della nostra terra palestinese. Questo avvenne in un'atmosfera inquinata da azioni torbide e forti pressioni. Con la spartizione, questa Assemblea generale fece ciò che non aveva il diritto di fare, dividendo una terra indivisibile. Quando respingemmo quella decisione, eravamo nella stessa posizione della madre naturale che rifiutò di lasciare che il Re Salomone tagliasse il figlio a metà, mentre la falsa madre lo reclamava per sé acconsentendo allo smembramento. Per di più, benché la Risoluzione sulla spartizione avesse concesso agli insediamenti dei coloni il 54% della terra palestinese, la loro insoddisfazione li portò a scatenare una guerra del terrore contro la popolazione araba civile. Occuparono l'81% dell'area totale della Palestina, sradicando un milione di arabi. Occuparono 524 città e villaggi arabi, distruggendone 385, in un processo che portò alla loro totale cancellazione. Subito dopo costruirono i loro insediamenti e le colonie sulle rovine delle nostre fattorie e dei nostri boschi. Sono queste le radici della questione palestinese. La sua origine non risiede in nessun conflitto tra due religioni o due nazionalismi. E non è neppure un conflitto di frontiera tra Stati vicini. È la causa di un popolo privato della sua patria, disperso e sradicato, che vive principalmente in esilio e nei campi profughi. Col sostegno dei poteri imperialisti e colonialisti, questa entità è riuscita a farsi accettare come un membro delle Nazioni Unite. È poi riuscito a far cancellare dall'agenda delle Nazioni Unite la Questione Palestinese e a ingannare l'opinione pubblica presentando la nostra causa come un problema di profughi bisognosi della carità di benefattori ingenui e inefficienti, o di insediarsi in una terra che non era loro. Non ancora soddisfatta, questa entità razzista, fondata sul pensiero imperialista-colonialista, è diventata essa stessa una base dell'imperialismo e un arsenale d'armi. Ciò le ha permesso di arrogarsi il diritto di sottomettere il popolo arabo e di perpetrare un'aggressione contro di esso, per soddisfare le proprie ambizioni di ulteriore espansione sulla terra palestinese e gli altri territori arabi.
Oltre ai molteplici casi di aggressioni commesse da questa entità contro gli Stati arabi, ha lanciato due guerre su vasta scala, nel 1956 e nel 1967, mettendo in pericolo la pace e la sicurezza mondiali. Dopo un attacco sionista nel giugno 1967, il nemico occupò il Sinai egiziano fino al Canale di Suez. E occupò le alture del Golan in Siria, oltre all'intero territorio palestinese a ovest del Giordano. Questi sviluppi hanno portato alla formazione nella nostra regione di ciò che ora è noto come “il problema mediorientale”. La situazione si è aggravata per la fermezza del nemico nel mantenere l'occupazione illegale e consolidarla, istituendo così l'avamposto per un attacco dell'imperialismo mondiale contro il nostro paese arabo. Tutte le decisioni del Consiglio di Sicurezza e gli appelli all'opinione pubblica mondiale per il ritiro dai territori occupati nel giugno 1967 sono stati ignorati. Nonostante tutti gli sforzi pacifici sul piano internazionale, il nemico non è stato distolto dalla sua politica espansionistica. L'unica alternativa possibile per i nostri paesi arabi, in particolare Egitto e Siria, era compiere sforzi estremi per prepararsi energicamente a resistere a questa barbara invasione armata, per liberare i territori arabi e ripristinare i diritti del popolo palestinese, dopo il fallimento di ogni altro possibile mezzo pacifico. In queste circostanze, nell'ottobre del 1973 scoppiò la Quarta guerra, che persuase il nemico sionista del fallimento della sua politica di occupazione e di espansione e della sua fiducia nella potenza militare. […]
È molto doloroso per il nostro popolo assistere alla diffusione del mito secondo cui la sua terra era un deserto finché non fu resa florida dalla mano del colono straniero; che era una terra senza un popolo, e che l'entità colonialista non avrebbe causato nessun danno a nessun essere umano. Non è così: queste menzogne devono essere smascherate da questa tribuna, poiché il mondo deve sapere che la Palestina era la culla delle più antiche culture e civiltà. Per migliaia di anni, il suo popolo arabo era dedito all'agricoltura e alla edilizia, a diffondere la cultura in tutto il territorio, costituendo un esempio nella pratica religiosa, assolvendo la funzione di fedele guardiano dei luoghi sacri di tutte le religioni. […] Il nostro popolo ha continuato a perseguire questa politica illuminata fino all'istituzione dello Stato d'Israele e alla propria dispersione. Ciò non lo ha distolto dal perseguire il suo ruolo umanitario sul suolo palestinese. E neppure permetterà che la sua terra diventi una rampa di lancio per l'aggressione, né un campo razzista fondato sulla distruzione della civiltà, delle culture, del progresso e della pace. Il nostro popolo non può che preservare l'eredità dei suoi antenati nel resistere agli invasori, nel perseguire il compito privilegiato di difendere la sua terra natia, la sua nazionalità araba, la sua cultura e civiltà, e nel salvaguardare la culla delle religione monoteiste. […]
Vanno ricordate, sia pur brevemente, alcune posizioni israeliane: il loro appoggio all'Organizzazione dell'Armata segreta (Oas) in Algeria, il sostegno ai colonialisti insediatisi in Africa - in Angola, Congo, Mozambico, Zimbabwe, Tanzania e Sudafrica - e il sostegno al Vietnam del Sud contro la rivoluzione vietnamita. Si può inoltre citare l'assiduo supporto di Israele agli imperialisti e ai razzisti in tutto il mondo, […] il suo rifiuto di votare a favore dell'indipendenza degli Stati africani, e la sua opposizione alle richieste di molti paesi asiatici, africani e latinoamericani, e di molti altri Stati, alla conferenza su materie prime, popolazione, Legge del Mare, e alimentazione. Tutti questi fatti offrono ulteriori prove della natura del nemico che ha usurpato la nostra terra, e giustificano la battaglia onorevole che stiamo muovendo contro di lui. Mentre noi difendiamo una visione del futuro, il nostro nemico alimenta i miti del passato. Il nemico che abbiamo davanti è riuscito persino a suscitare ampie ostilità anche nei confronti degli stessi ebrei, dato che nell'entità sionista esiste un razzismo connaturato contro gli ebrei orientali. Mentre noi condanniamo a gran voce i massacri degli ebrei per mano dei nazisti, la leadership sionista è sembrata allora più interessata a poterli sfruttare al meglio per realizzare i propri obiettivi di immigrazione in Palestina. Se l'immigrazione degli ebrei in Palestina avesse avuto l'obiettivo di farli vivere al nostro fianco, godendo degli stessi diritti e garantendo gli stessi doveri, avremmo aperto loro le nostre porte, per quanto la capacità di accoglienza della nostra terra lo permetteva. Questo è accaduto, ad esempio, con le migliaia di armeni e circassi che ancora vivono tra noi nell'uguaglianza come fratelli e concittadini. Ma l'obiettivo di questa immigrazione è quello di usurpare la nostra patria, disperdere il nostro popolo, e farci diventare cittadini di seconda categoria. Questa è una richiesta assolutamente inconcepibile, cui non possiamo acconsentire né piegarci. Perciò, sin dall'inizio, la nostra rivoluzione non è stata mossa da fattori razziali né religiosi. Il suo obiettivo non è mai stato l'ebreo, come persona, ma il sionismo razzista e l'aggressione manifesta. In questo senso, la nostra è anche una rivoluzione per l'ebreo, anche come essere umano. Stiamo combattendo perché ebrei, cristiani e musulmani possano vivere nell'uguaglianza, godendo degli stessi diritti e assumendosi gli stessi doveri, lontano dalla discriminazione razziale o religiosa.
Noi distinguiamo tra giudaismo e sionismo. Pur mantenendo ferma la nostra opposizione al movimento sionista colonialista, rispettiamo la fede ebraica. Oggi, quasi un secolo dopo l'ascesa del movimento sionista, vorremmo mettere in guardia dal crescente pericolo che esso rappresenta per gli ebrei di tutto il mondo, per il nostro popolo arabo e per la pace e la sicurezza mondiali. Perché il sionismo incoraggia gli ebrei a emigrare dai loro paesi natii e concede loro una nazionalità creata artificialmente. I sionisti continuano a perpetrare attività terroristiche nonostante si siano dimostrate inefficaci. Il fenomeno della continua emigrazione da Israele, destinato a crescere come roccaforte del colonialismo e del razzismo nel declino del mondo, è un esempio dell'inevitabile fallimento di queste attività. Sollecitiamo i popoli e i governi mondiali a mantenere fermezza contro il programma sionista di incoraggiare gli ebrei del mondo a emigrare dai loro paesi e a usurpare la nostra terra. Li sollecitiamo ad opporsi altrettanto fermamente a ogni discriminazione per religione, razza, o colore della pelle. […]
Chi ci chiama terroristi vuole impedire che l'opinione pubblica conosca la verità su di noi e veda la giustizia sui nostri volti. Cerca di mascherare il terrorismo e la tirannia dei suoi atti, e la nostra posizione di autodifesa. La differenza tra il rivoluzionario e il terrorista risiede nella ragione per cui combatte. Poiché chiunque sostenga una giusta causa e si batta per la libertà e la liberazione della propria terra dagli invasori, dagli occupanti e dai colonialisti, non può essere chiamato terrorista, altrimenti il popolo americano nella sua lotta di liberazione dai colonialisti britannici sarebbe stato terrorista; la resistenza europea contro il nazismo sarebbe stata terrorista, la lotta dei popoli asiatici, africani e latinoamericani sarebbe stata terrorismo, e molte delle persone presenti oggi in questa Assemblea sarebbero considerate terroristi.
La nostra è una lotta giusta e opportuna consacrata dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. Perché coloro che combattono contro le giuste cause, che muovono guerra per occupare, colonizzare e opprimere un altro popolo, questi sono i terroristi. Queste sono le persone le cui azioni vanno condannate, che devono essere chiamati criminali: poiché la legittimità della causa determina il diritto alla lotta. Il terrorismo sionista che è stato scatenato contro il popolo palestinese per espellerlo dal suo paese e usurpare la sua terra è registrato nei nostri documenti ufficiali. Migliaia di persone del nostro popolo sono state uccise nei loro villaggi e città; decine di migliaia di altre sono state costrette col fucile puntato a lasciare le loro case e le terre dei loro padri. Più volte i nostri bimbi, donne e anziani sono stati cacciati e hanno dovuto vagabondare nel deserto e scalare montagne senza cibo né acqua. Chiunque abbia assistito alla catastrofe abbattutasi nel 1948 sugli abitanti di migliaia di villaggi e città, a Gerusalemme, Jaffa, Lydda, Ramle e in Galilea; chiunque sia stato testimone di quella catastrofe non potrà mai dimenticare quell'esperienza, anche se la congiura del silenzio è riuscita a occultare quegli orrori e a nascondere le tracce di 385 villaggi e città palestinesi che allora furono distrutti e cancellati dalla mappa. La distruzione di 19.000 case negli ultimi sette anni, che equivale alla totale distruzione di altri 200 villaggi palestinesi, e il gran numero di persone mutilate per il trattamento subito nelle prigioni israeliane, non possono essere occultati. Questo terrorismo è nutrito dall'odio e quest'odio è stato rivolto persino contro l'albero d'ulivo del mio paese, che è stato un simbolo superbo e ricorda loro gli abitanti originari della terra, un simbolo vivente del fatto che la terra è palestinese. Perciò hanno cercato di distruggerlo.
Come si può commentare l'affermazione di Golda Meir [Primo Ministro di Israele dal 1969 al 1974, ndr], che ha espresso la propria inquietudine sul fatto che “ogni giorno nascano bambini palestinesi”. Essi vedono nel bambino palestinese, nell'albero palestinese, un nemico da sterminare. Per decine di anni i sionisti hanno perseguitato i leader culturali, politici, sociali e artistici del nostro popolo, terrorizzandoli e assassinandoli. Hanno derubato la nostra eredità culturale, le tradizioni del nostro popolo e hanno preteso di espropriarcene. Il loro terrorismo ha raggiunto persino i nostri luoghi sacri, la nostra amata e pacifica Gerusalemme. Hanno tentato di de-arabizzarla e di farle perdere il suo carattere musulmano e cristiano scacciando i suoi abitanti e annettendola. […]
Quei pochi arabi palestinesi che non furono sradicati dai sionisti nel 1948 sono attualmente profughi nella loro stessa terra. La legge israeliana li tratta come cittadini di seconda categoria - e anche di terza categoria, visto che i cittadini di seconda categoria sono gli ebrei orientali - e li ha sottoposti a ogni forma di discriminazione razziale e di terrorismo dopo la confisca delle loro terre e proprietà. […] Per ventisei anni, il nostro popolo ha vissuto sotto la legge marziale e la sua libertà di movimento è stata delegata all'autorizzazione del governatore militare israeliano, e questo proprio negli anni in cui lo Stato di Israele promulgava una legge che concedeva la cittadinanza a ogni ebreo di ogni parte del mondo che avesse voluto emigrare nella nostra terra natia. E ancora, un'altra legge israeliana stabilì che i palestinesi che non fossero presenti nei loro villaggi e città al momento dell'occupazione non avevano il diritto alla cittadinanza israeliana. […] È forse necessario ricordare a questa Assemblea le numerose Risoluzioni adottate, in cui si condannano le aggressioni israeliane commesse contro i paesi arabi, le violazioni da parte degli israeliani dei diritti umani e degli articoli delle Convenzioni di Ginevra, come anche le risoluzioni relative all'annessione della città di Gerusalemme e al ripristino del suo precedente status? L'unica valutazione per questi atti è che sono atti di barbarie e terrorismo. Eppure, i razzisti e i colonialisti sionisti hanno ancora il coraggio di descrivere la giusta lotta del nostro popolo come terrorista. Può esistere una più lampante distorsione della realtà? […]
Negli ultimi trent'anni, il nostro popolo ha dovuto combattere contro l'occupazione britannica e l'invasione sionista, che avevano, entrambe, l'obiettivo dichiarato di usurpare la nostra terra per far fallire questo progetto, perché la nostra terra natia rimanesse nostra sono state animate sei grandi rivolte e decine di ribellioni popolari. In questo processo sono morti più di 30.000 martiri, l'equivalente, in proporzione, di sei milioni di americani. […] Quando il nostro popolo ha perso la fiducia nella comunità internazionale, che ha continuato ad ignorare i suoi diritti, e quando è stato ormai chiaro che i palestinesi non avrebbero recuperato un solo millimetro della Palestina con i soli mezzi politici, il nostro popolo non ha avuto altra scelta che ricorrere alla lotta armata. In quella lotta ha investito le proprie risorse materiali e umane. Abbiamo affrontato con coraggio le azioni più immorali del terrorismo israeliano, volte a deviare e ad arrestare la nostra lotta. Negli ultimi dieci anni della nostra battaglia, migliaia di martiri, e ancor più feriti, mutilati e incarcerati, sono stati offerti in sacrificio; e tutto nello sforzo di resistere alla minaccia incombente dell'annientamento, di riacquistare il nostro diritto all'autodeterminazione e il nostro diritto indiscutibile al rientro nella nostra terra natia. Con grande dignità e il più ammirevole spirito rivoluzionario, il nostro popolo palestinese non si è perso d'animo nelle prigioni e nei campi di concentramento israeliani, o quando ha dovuto affrontare ogni sorta di persecuzione e intimidazione. Combatte solo per esistere e continua a lottare per preservare l'impronta araba della sua terra. Così resiste all'oppressione, alla tirannia e al terrorismo nelle loro forme più spregevoli. […]
Sono un ribelle e la mia causa è la libertà. So bene che un tempo molte delle persone oggi qui presenti erano esattamente nella stessa condizione di resistenza in cui mi trovo io adesso e contro la quale devo lottare. Voi avete dovuto in passato trasformare i sogni in realtà mediante la vostra lotta. Perciò adesso dovete condividere il mio sogno. Credo sia proprio questa la ragione che oggi posso richiamare per chiedervi di aiutarci perché insieme possiamo far sbocciare il nostro sogno in una luminosa realtà, il nostro sogno comune per un futuro di pace nella terra sacra della Palestina. Davanti a un tribunale militare israeliano, l'ebreo rivoluzionario Ahud Adif disse: “Non sono un terrorista; credo che su questa terra debba esistere uno Stato democratico”. Adif languisce oggi in una prigione sionista insieme a chi ha le sue stesse idee. A lui e ai suoi colleghi mando i miei auguri più sinceri. […] Perché allora non dovrei sognare e sperare?
La rivoluzione non è forse trasformare i sogni e le speranze in realtà? E allora lavoriamo insieme perché il mio sogno possa realizzarsi, perché io possa fare ritorno con il mio popolo dall'esilio sulla terra di Palestina, per vivere fianco a fianco con questo combattente ebreo per la libertà e i suoi compagni, con questo prete arabo e i suoi fratelli, in uno Stato democratico in cui cristiani, ebrei e musulmani vivano nella giustizia, l'uguaglianza, la fraternità e il progresso. Non è forse un nobile sogno, degno della lotta mia come di tutti coloro che amano la libertà in ogni parte del mondo? Poiché il tratto più straordinario di questo sogno è che sia palestinese, un sogno che viene dalla terra della pace, la terra del martirio e dell'eroismo, e anche la terra della storia. Dobbiamo ricordare che gli ebrei dell'Europa e degli Stati Uniti sono stati riconosciuti come i capi delle battaglie per la secolarizzazione e la separazione tra Chiesa e Stato. Sappiamo anche che essi hanno combattuto contro la discriminazione religiosa. Come possono continuare a sostenere questo paese, che ha una politica più fanatica, discriminatoria e chiusa di ogni altro? […] faccio appello agli ebrei perché respingano una per una tutte le promesse illusorie fatte loro dall'ideologia sionista e dalla leadership israeliana. Stanno offrendo agli ebrei un perpetuo spargimento di sangue, guerre infinite e una schiavitù permanente. Noi invitiamo gli ebrei a strapparsi dal loro isolamento morale per aprirsi alla più aperta realtà della libera scelta, lontana dagli attuali sforzi della loro leadership […].
Offriamo loro la soluzione più generosa, di poter vivere insieme in una cornice di pace giusta sulla nostra Palestina democratica. […] annuncio qui che non vogliamo che si sparga una sola goccia del sangue di arabi o ebrei; che non proviamo alcun desiderio di continuare questo stillicidio, che terminerà una volta raggiunta una pace giusta, basata sui diritti, le speranze e le aspirazioni del nostro popolo. […] mi appello a voi perché accompagniate il nostro popolo nella sua lotta per ottenere il diritto all'autodeterminazione. Questo diritto è consacrato dalla Carta delle Nazioni Unite ed è stato più volte ribadito nelle Risoluzioni adottate solennemente da questa Organizzazione sin dalla stesura della Carta.
Mi appello a voi, inoltre, perché collaboriate al rientro del nostro popolo nella sua terra natia da un esilio forzato impostogli con le armi, con la tirannia e l'oppressione, così che possiamo riconquistare la nostra proprietà, la nostra terra, e vivere così nella nostra patria nazionale, libera e sovrana, godendo di tutti i privilegi della nazionalità. Solo allora potremo riversare tutte le nostre risorse nella grande corrente della civilizzazione umana. Solo allora la nostra creatività palestinese potrà essere convogliata al servizio dell'umanità. Solo allora la nostra Gerusalemme riacquisterà il suo ruolo storico di pacifico santuario di tutte le religioni. Mi appello a voi affinché permettiate che il nostro popolo istituisca la sovranità nazionale indipendente sulla sua terra. Oggi sono venuto portando un ramoscello d'ulivo e il fucile di un combattente per la libertà. Non lasciate che il ramoscello d'ulivo mi cada di mano. Ripeto: non lasciate che il ramoscello d'ulivo mi cada di mano».
108. Y. Arafat, Discorso all'Assemblea Generale dell'ONU, Wikisource.org-Fisicamente.net, 13 novembre 1974.

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