7.3. NECESSITÀ DELL'AGGIORNAMENTO DIALETTICO TRA FEMMINISMO E MARXISMO
«Il rapporto tra donna e socialismo nella pratica sovietica chiarisce alcuni aspetti trascurati a lungo dalla teorie femministe di orientamento marxista. Esso merita di essere più largamente conosciuto e studiato, con la consapevolezza che non si ha che fare con l’attuazione delle teorie di Marx e di Engels sulla famiglia, o di alcuni socialisti utopisti come Bebel sulla donna, anche se l’esperimento del Soviet è stato indubbiamente influenzato da quelle teorie classiche almeno per parecchi anni. Esso rappresenta, inoltre, il contributo storico concreto più importante per chi desideri approfondire il nesso tra movimenti di liberazione della donna e socialismo. I limiti e gli errori riguardo al processo di emancipazione della donna compiuto in Unione sovietica si sono nel tempo moltiplicati in concomitanza con il processo di dissoluzione di quel Paese, sino a esplodere in tutta la sua virulenza con l’affermarsi di un capitalismo e di un mercato al di fuori di ogni sistema di regole e garanzie.
Il regresso attuale della donna post-sovietica è forse il segno più evidente della crisi di un’intera società. In un contesto di miseria generale, dove un cittadino su tre vive sotto la soglia di povertà, l’affermazione del principio di uguaglianza è reso impossibile. Le difficoltà economiche e la disoccupazione suggeriscono alle donne dei paesi dell’ex Urss risposte al limite della legalità e dell’accettabilità sociale. In linea con le tendenze più generali che caratterizzano il fenomeno della prostituzione mondiale, si sta affermando anche in queste realtà un mercato possente della prostituzione e della schiavitù sessuale in stretto contatto con il crimine e la corruzione. Un mercato vasto e lucrativo pari al traffico dei narcotici o al contrabbando delle armi. Amartya Sen, premio Nobel 1998, ha detto: “...il successo della globalizzazione, che ha ridotto drasticamente i poteri dello Stato trasferendoli di fatto alle forze cieche del mercato e alle banche, è da accreditare anche al mercato del corpo femminile”.
Oggi, la prostituzione, per molte donne dell’ex Urss, è una vera e propria occupazione. Anche le casalinghe e le studentesse sono disponibili a prendere in considerazione questo tipo di mercato. Accanto alla prostituzione criminale, sotto il controllo delle organizzazioni illegali, alla prostituzione nazionale e a quella esercitata all’estero, che comunque produce un ritorno di valuta straniera, affiora sempre più una prostituzione domestica che serve semplicemente per arrotondare le entrate o per accedere ad alcuni beni di consumo. Afferma Marina Piazza:
“Se la transizione della Russia al libero mercato segna il «passaggio dal consumo senza merci alle merci senza consumo» verrebbe da dire che i corpi femminili fanno eccezione. L’espulsione dal mercato del lavoro e la pressione di una povertà sempre più pesante e con sempre meno prospettive di uscita per le donne, sembra trovare un incastro perverso con un’altra modalità di fuoriuscita dalla miseria, quella della criminalità, grande e piccola, che mette a mercato con profitto ciò che dal mercato è espulso come forza lavoro ma recuperato come merce”.
Nella nuova struttura economica capitalistica russa, dove il salario non basta per vivere, la vendita del proprio corpo appare alla donna una delle poche risorse alla sua portata».54
In conclusione, si può affermare che se le donne vogliono migliorare nuovamente le condizioni di vita non possono prescindere dagli insegnamenti del modello sovietico, la cui concezione, incarnata dagli aspetti più “concreti” della Kollontaj e del marxismo precedente, rimane insuperata per l'attenzione alle questioni sociali, i cui diritti possono essere garantiti solo in un modello socialista. Sono quindi più che condivisibili sia la critica ai femminismi borghesi che l'invito alla lotta di Federica Savino55, giovane dirigente comunista nel 2016:
«Il femminismo in ogni epoca ha avuto la grande pecca però di concentrarsi su battaglie che vedevano le donne direttamente coinvolte senza riuscire ad inserire quelle lotte all'interno di un'analisi di classe. Le donne si sono sempre intromesse nella politica nazionale per rivendicazioni che le riguardavano direttamente, non riuscendo a cogliere che certe conquiste non le hanno permesso di essere pienamente libere dalla schiavitù del lavoro e dalle faticose incombenze del lavoro di cura. Slegarsi da altre rivendicazioni e lotte politiche, nell'idea che la politica classica fosse fatta da uomini e fosse necessario allontanarsi da questa concezione, ha condotto all'emarginazione di quel movimento femminista e alla sua completa estinzione. La rinascita del femminismo avviene a cavallo degli anni Settanta inserendosi nelle proteste studentesche del '68, un periodo storico complesso e tumultuoso che vede le donne riportarsi alla ribalta. Lo scopo primo delle femministe degli anni settanta è una rivendicazione concentrata sulla propria autonomia e quindi sulla consapevolezza del proprio corpo: “il corpo è mio e me lo gestisco io”. In questo scenario si inseriscono le battaglie che porteranno in Italia a grandi riforme come quella sul divorzio (referendum abrogativo 1974) e sull'aborto (legge 194, 1978). Ancora una volta le donne però ciecamente si inseriscono distrattamente in una scenario politico non riuscendo a guardarsi complessivamente come donna, come lavoratrice, come mamma, convinte che alcune, seppur importanti, leggi su certi problemi potessero cambiare radicalmente la loro condizione. Le proteste di quegli anni vengono affrontate dalle socialdemocrazie europee in due modi, il cui fine è unico il controllo sociale: repressione della piazza e riforme. Il femminismo non ha liberato le donne, tutti i messaggi, gli slogan e i riscatti si concentrano sul corpo, si è passati dall'angelo del focolare alla mistica della seduzione. Le battaglie femministe sembrano aver portato le donne ad essere soltanto oggetti in modo diverso. Il femminismo per certi versi ha contribuito a delimitare ulteriormente la linea che divide donne e uomini, racchiudendoli in schemi stereotipati: gli uomini che non ne condividono in pieno le linee sono etichettati come “schiavisti e machos” e le donne che criticamente cercano di elaborarne i punti salienti minando il concetto di femminismo sono bollate come “sottomesse e traditrici”. Non è attraverso il gioco di leggi che si garantisce la presenza delle donne nel sistema politico nazionale: le quote rosa, che sono già state introdotte in molti paesi europei prevedendo la loro applicazione nel consigli di amministrazione delle aziende e qualcuno caldeggia la loro introduzione anche in ambito politico.
La donna all'interno di questo sistema vive da parte della società una doppia oppressione: una legata al lavoro, legata allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, e uno legato al lavoro di cura, tutte quelle pratiche di lavoro domestiche che coinvolgono il sostegno del benessere domestico e quindi familiare, quel lavoro che si dedica per la maggior parte alla cura di quei soggetti non indipendenti quali bambini, disabili, anziani. È chiaro come queste ultime siano una parte fondamentale dell'oppressione a cui una donna e sottoposta, dalla quale dovrebbe essere sostenuta dal sistema di welfare statale. Con la crisi economica il governo nazionale ha ritenuto opportuno concentrarsi su tagli alla spesa pubblica, sforbiciate che sono andata ad intaccare l'intero sistema sociale, falciando i servizi alla persona, smantellando l'intero ambito dei servizi sociali aprendo il campo alle privatizzazioni, togliendo soldi alla scuola pubblica ed indebolendo il sistema sanitario nazionale, minando alcuni dei principi più importanti della nostra Costituzione. Tali scelte politiche hanno riversato sulle famiglie un grosso carico che si fa sempre più pesante e difficile da sostenere, che si è abbattuto ancor di più sul lavoro femminile. Per questo motivo ogni donna che senta la necessità di liberarsi dalle catene di classe che questa società le ha imposto, dovrà per forza di cose lottare non già per le ipocrite misure che la Borghesia concede (come le cosiddette quote rosa) ma per rivoluzionare completamente l'esistente. Lottando quotidianamente col grande movimento dei lavoratori, nella sua avanguardia, per poter finalmente ottenere quella reale libertà a cui noi tutti aspiriamo».
Se rivendichiamo fino alla fine la complessiva migliore condizione femminile sotto i regimi socialisti “reali”, allo stesso affermiamo che il socialismo, concepito meccanicamente solo come ribaltamento dei rapporti di produzione nel conflitto Capitale-Lavoro, di per sé limita eccessivamente la liberazione per le donne. Se per parlare di liberazione totale occorre aspettare (per i popoli di tutto il mondo, come per i lavoratori nel loro complesso, oltre che per le donne) il comunismo, gli errori realizzati in URSS mostrano come anche nello stadio della dittatura del proletariato giunta al livello socialista, sia possibile estendere ulteriormente tale libertà. Se il conflitto di classe è infatti, come abbiamo finora argomentato a partire dall'Introduzione, triplice, prevedendo in uno dei tre aspetti il conflitto tra uomo e donna all'interno dell'ambito familiare e sociale, allora per avere un socialismo integrale si dovrà riuscire a raggiungere anche in questo caso non solo una parità formale e giuridica tra i sessi, ma anche sostanziale. Il cambiamento sostanziale non può però che riguardare un cambio netto di mentalità collettiva: laddove, per le più varie ragioni, non si riesca a costruire le premesse socio-economiche per la liberazione delle donne dalla “schiavitù della vita domestica” (e a tal riguardo è determinante una ripresa delle idee più “utopiste” della Kollontaj), occorre lanciare una campagna culturale tesa a diffondere tra gli uomini la necessità di un'equa ripartizione dei compiti “casalinghi” e di un comportamento realmente paritario nelle relazioni con il “gentil sesso”; occorre però porre anche un'attenzione per le specificità biologiche dei due sessi. Sotto questo ultimo punto di vista gli studi femministi più recenti sulla “differenza” e sul “gender” non vanno bollati pregiudizialmente come affari borghesi e privi di interesse, ma accettati e integrati nella misura in cui si riesca a renderli compatibili con un femminismo “di classe” che non ripudi la determinante lezione marxista finora assunta. Un compito questo della ricerca di una nuova sintesi aggiornata alle conquiste teoriche più recenti, che rimane un lavoro ancora da svolgere. Nella ulteriore consapevolezza che per centinaia di milioni nel mondo (probabilmente la maggioranza assoluta), i diritti conquistati dall'Ottobre Rosso non si sono ancora mai nemmeno visti né anche solo immaginati. Nel bilancio complessivo del ruolo assunto dall'URSS nei confronti delle donne non si può insomma dimenticare il ruolo assunto nel processo di favorire le tendenze democratiche, laiche, progressiste e paritarie (nelle relazioni tra i sessi), quando non apertamente femministe, in tutto il mondo. Su questi aspetti avremo però modo di tornare soprattutto negli appositi capitoli dedicati alle lotte per la decolonizzazione.
54. Ibidem.
55. F. Savino, L'impegno politico e le donne, Centro di Cultura e Documentazione Popolare, 8 marzo 2016, disponibile su http://www.resistenze.org/sito/os/gr/osgrgc08-017627.htm.