21 Novembre 2024

6.8. LA VERITÀ STORICA SUI COMPLOTTI DEGLI ANNI '30

«Il 17 febbraio 1937 l'ambasciatore Davies, in un dispaccio riservato al Segretario di Stato Cordell Hull, riferiva che quasi tutti i diplomatici esteri di Mosca condividevano la sua opinione circa la giustizia della sentenza. L'ambasciatore Davies scrisse: “Ho parlato con molti membri del corpo diplomatico qui accreditati, se non con tutti e, con una sola eccezione, tutti erano del mio parere che il processo abbia provato chiaramente l'esistenza di una cospirazione politica diretta a rovesciare il governo”. Ma questi fatti non furono resi pubblici. Potenti forze cospiravano per nascondere la verità sulla quinta colonna nella Russia sovietica. L'11 marzo 1937, l'ambasciatore Davies scrisse nel suo diario di Mosca: “Un altro diplomatico, il Ministro ***, mi ha fatto ieri una dichiarazione molto significativa. Discutendo del processo, mi disse che secondo lui gli accusati erano indubbiamente colpevoli; che tutti quelli di noi che avevano assistito al processo erano praticamente d'accordo su questo, che il mondo esterno, a giudicare dai resoconti della stampa, sembrava tuttavia pensare che il processo era una messinscena (façade, diceva), e che, nonostante sapesse come stavano realmente le cose, era però un bene che fuori della Russia si pensasse così”.»165
Vediamo ora la ricostruzione storica rigorosa e scientifica offerta da Ludo Martens in Stalin. Un altro punto di vista, alludendo in particolar modo al capitolo 7166, il più importante dell'opera: quello dedicato alla spiegazione delle Grandi Purghe e delle loro cause. Proponiamo qui di seguito una sintesi, la più breve possibile, dividendola per capitoli tematici e riportandone in ogni caso i passaggi più rilevanti.
Martens parte da una domanda giustissima rivolta al lettore più scettico: è concepibile pensare che ci potessero essere infiltrati e sabotatori e doppiogiochisti coscienti dentro il Partito Comunista? La risposta è che «a partire dalla vittoria definitiva della rivoluzione bolscevica, alcuni elementi della borghesia si infiltrarono consapevolmente nel Partito per combatterlo dall'interno e per preparare le condizioni di un colpo di Stato borghese», e fa l'esempio di Boris Bajanov: questi scrisse un libro, Avec Staline dans le Kremline in cui raccontava, portando dati alla mano, di essere diventato assistente personale di Stalin a partire dal 9 agosto 1923, quando quindi Stalin era già segretario del Comitato Centrale, assistendo così a tutte le riunioni dell'Ufficio Politico per due anni, prima di passare ad altri incarichi. Ecco quanto scrive: «Soldato dell'armata antibolscevica, mi ero imposto il compito difficile e pericoloso di penetrare all'interno dello stato maggiore nemico. Avevo raggiunto il mio scopo». Bajanov, ucraino nato nel 1900, scrive queste righe nel 1930, due anni dopo essersi dato alla fuga vittoriosamente. Si era infiltrato già diciannovenne quando aveva assistito all'ingresso dell'Armata Rossa a Kiev:
«Gridar loro in faccia il mio disprezzo mi sarebbe costato dieci pallottole in corpo. Presi un'altra decisione. Per salvare l'élite della mia città, mi nascosi sotto la maschera dell'ideologia comunista. […] A partire dal 1920, la lotta aperta contro il flagello bolscevico era giunta al termine. Combatterli dall'esterno non era più possibile. Bisognava minarli dall'interno. Occorreva introdurre un cavallo di Troia nella roccaforte comunista. Tutti i fili della dittatura facevano sempre più capo all'unico nodo dell'Ufficio Politico. Il colpo di Stato non poteva ormai che partire da lì».
Nel libro di Bajanov si parla anche dei contatti intercorsi tra l'autore con alcuni ufficiali dell'Armata Rossa. Tra questi Michail Vasil'evič Frunze, bolscevico di vecchia data che a quanto pare però avrebbe sviluppato tendenze anticomuniste entrando nell'esercito e stando a contatto quotidiano con i vecchi ufficiali e generali di epoca zarista, giungendo già a metà degli anni '20 a maturare il progetto di un colpo di Stato bonapartista.
Georges Solomon venne nominato nel luglio 1919 vicecommissario del popolo al Commercio e all'Industria. In un libro-testimonianza è Solomon stesso a raccontare come, assieme all'amico Krasin (diventato commissario alle Comunicazioni, al Commercio e all'Industria), iniziarono fin dall'inizio del 1918 a sviluppare un programma segreto per ottenere posti di rilievo nel Governo e cercare di fermare le «follie» di Lenin. Per fare questo si opposero a tutti i provvedimenti della dittatura del proletariato, protessero fino all'impossibile la borghesia e manifestarono l'intenzione di stabilire dei rapporti di fiducia con il mondo imperialista, il tutto per «cancellare progressivamente e completamente» l'orientamento comunista del Partito. Fin dal 1918, alla presenza di Lenin, alcuni bolscevichi avevano accusato Solomon di essere un borghese, uno speculatore, una spia tedesca, ma lui aveva sempre negato indignato. Il 1° agosto 1923 Solomon, durante un soggiorno in Belgio, saltò “il muro” e passò dall'altra parte. Nel 1930 farà uscire la sua testimonianza, sotto gli auspici dell'organizzazione franco-belga “Centro internazionale di lotta attiva contro il comunismo”, denunciando il «folle terrore» dell'URSS di Lenin e professando di essere sempre stato un implacabile anticomunista. Nel libro si parla anche di Aleksandr Zinov'ev, di cui però parleremo nel capitolo 21. Andiamo ora al sodo, partendo dal 1927. Vedremo nel prossimo capitolo quale fu la causa scatenante reale del suo allontanamento dal Partito. Aggiungiamo qui quel che riferisce l'autore:
«Trockij […] spiegò che all'inizio della Prima guerra mondiale, nel momento in cui l'esercito tedesco era a ottanta chilometri da Parigi, Clemenceau aveva rovesciato il governo debole di Painlevé per organizzare una difesa accanita e senza concessioni. Lasciava capire che, in caso di attacco imperialista, lui, Trockij, avrebbe potuto fare un colpo di Stato alla Clemenceau. A causa delle sue pratiche e delle sue tesi, l'opposizione fu completamente screditata e nel corso di una votazione non ottenne che 6000 voti su 725000. Il 27 dicembre 1927, il Comitato Centrale dichiarò che l'opposizione aveva fatto causa comune con le forze antisovietiche e coloro che avessero mantenuto queste posizioni sarebbero stati esclusi dal Partito. In conseguenza di ciò tutti i dirigenti trockijsti e zinov'evisti che avevano presentato delle autocritiche furono reintegrati. I loro capi Zinov'ev, Kamenev e Evdokimov li seguirono poco dopo. In seguito un gran numero di trockijsti fece un'ammenda onorevole, tra gli altri: Preobraženskij, Radek, Pjatakov. Quanto a Trockij, poiché mantenne la sua opposizione ostinata verso il Partito, fu espulso dall'Unione Sovietica».
A questo punto iniziò la lotta contro gli oppositori alla collettivizzazione e all'industrializzazione forzata, guidati da Bucharin: «l'11 luglio 1928 […] Bucharin ebbe un incontro clandestino con Kamenev, facendosi promotore di un «blocco con Kamenev e Zinov'ev per prendere il posto di Stalin». Nel settembre 1928 Kamenev avvicinò alcuni trockijsti per domandar loro di rientrare nel Partito e aspettare che «la crisi maturasse». All'inizio degli anni '30 «Zinov'ev e Kamenev, da parte loro, avevano ripreso la loro lotta contro la linea del Partito, in particolare sostenendo il programma controrivoluzionario elaborato da Rjutin». Che cosa c'era scritto in questo programma? Estremizzando le posizioni critiche di Bucharin, contrario alle politiche di collettivizzazione che ponevano fine alla NEP, Rjutin accomunava Stalin a Napoleone Bonaparte e scriveva: «Coloro che non sanno riflettere in modo marxista pensano che l'eliminazione di Stalin significherebbe nello stesso tempo l'abbattimento del potere sovietico. […] La dittatura del proletariato perirà inevitabilmente a causa di Stalin e della sua cricca. Eliminando Stalin, avremmo molte possibilità di salvarla». Tra i punti concreti del Programma si segnalava la necessità di «liquidare la dittatura di Stalin e della sua cricca», «sostituire tutta la Direzione dell'apparato del Partito», dissolvere «tutti i kolchozy creati con la forza» e i «sovchozy deficitari» e ridare fiato ai proprietari terrieri privati nelle campagne. Per Martens «il programma del “comunista” Rjutin non era diverso, nella sua essenza, da quello della controrivoluzione borghese». Per ora a pagare furono i firmatari Zinov'ev e Kamenev, che «furono una seconda volta espulsi dal Partito ed esiliati in Siberia. Tra il 1933 e il 1934 l'esito vittorioso della collettivizzazione delle campagne e dell'industrializzazione in corso consentì alla direzione del Partito di attenuare la lotta di classe, liberando ad esempio la metà delle persone mandate nei campi di lavoro negli anni precedenti.
«Era stata dimostrata la giustezza dell'orientamento generale del Partito. Kamenev, Zinov'ev, Bucharin e un gran numero di trockijsti avevano riconosciuti loro torti. La Direzione del Partito era del parere che le vittorie schiaccianti della costruzione socialista potessero portare tutti gli oppositori a criticare le proprie concezioni erronee e ad assimilare le concezioni leniniste. Sperava che si sarebbero applicati i principi concepiti da Lenin che riguardavano la critica e l'autocritica […]. Per questa ragione, quasi tutti i dirigenti delle tre correnti opportuniste, i trockijsti Pjatakov, Radek, Smirnov e Preobraženskij, poi Zinov'ev, Kamenev e Bucharin – quest'ultimo era d'altronde rimasto sempre in una posizione dirigente – furono invitati nel 1934 al XVII Congresso dove pronunciarono dei discorsi. Questo Congresso fu quello della vittoria e dell'unità».
In questa sede tutti i vecchi oppositori dovettero riconoscere i successi consistenti ottenuti dopo il 1930. Nel suo discorso conclusivo Stalin affermò: «Si è manifestata una perfetta coesione nei ranghi dell'organizzazione sia dal punto di vista ideologico e politico che da quello organizzativo». Commenta Martens: «Stalin era convinto che i vecchi deviazionisti avrebbero ormai lavorato lealmente per l'edificazione del socialismo. […] Pensava che l'uomo potesse imparare dai propri errori». Segnalò però due pericoli: «I nemici del Partito, gli opportunisti di ogni sorta sono stati battuti. Ma i residui della loro ideologia sussistono nello spirito di alcuni membri del Partito e si manifestano molto spesso». E sottolineò il perdurare di «sopravvivenze di capitalismo nell'economia ed ancor più nella coscienza degli uomini». Stalin metteva inoltre in guardia contro chi riteneva che ci si stesse avviando verso una società senza classi, allentando così la dittatura del proletariato. Questo atteggiamento non solo era prematuro ma rischiava di smobilitare e disarmare il Partito. Da notare che
«lo studio dettagliato della lotta ideologica e politica condotta in seno alla direzione bolscevica dal 1922 al 1934 permette di confutare non poche idee errate e pregiudizi molto diffusi. È completamente falso che Stalin proibisse agli altri dirigenti di esprimersi liberamente e che regnasse la “tirannia” all'interno del Partito. I dibattiti e le lotte furono condotti in modo aperto e per un lungo periodo.
Opinioni sostanzialmente diverse si scontrarono con forza e da ciò sarebbe dipeso l'avvenire del socialismo. […] Stalin non fu solamente paziente e prudente nella lotta, ma permise anche che gli oppositori, dopo aver compreso i loro errori, rientrassero nella Direzione».
Le cose iniziarono a cambiare con l'uccisione del numero due del Partito, Kirov (1° dicembre 1934). L'assassinio, Nikolaev, era stato espulso dal Partito ma era riuscito ad assassinare il dirigente nello stesso quartier generale del Partito, mostrando all'ingresso la tessera che non aveva riconsegnato... La propaganda anticomunista sostiene che ciò sia avvenuto per ordine di Stalin ma Tokaev, membro di un'organizzazione anticomunista clandestina, scrisse che Kirov fu ucciso da un gruppo d'opposizione e che lui, Tokaev, aveva seguito da vicino i preparativi dell'attentato. Ljuskov, un uomo della NKVD, poi fuggito in Giappone, confermò che Stalin non avesse niente a che fare con questo assassinio. Di fronte al timore che ciò fosse il primo passo per un colpo di Stato, il Partito cercò i colpevoli inizialmente tra i nemici tradizionali, i “Bianchi”, giustiziandone un certo numero per dare l'esempio. L'inchiesta dell'NKVD entrò allora in possesso del diario di Nikolaev, in cui non c'erano riferimenti all'organizzazione dell'opposizione.
«L'inchiesta alla fine giunse alla conclusione che il gruppo di Zinov'ev aveva “influenzato” Nikolaev e i suoi amici, ma non trovò indizi di un'implicazione diretta di Zinov'ev. Quest'ultimo fu soltanto rimandato al confino. L'attentato ebbe come conseguenza l'epurazione dei sostenitori di Zinov'ev dal Partito. Non ci fu una violenza di massa. […] Solo sedici mesi più tardi, nel giugno 1936, la procura avrebbe riaperto il dossier Kirov sulla base di nuove informazioni. Riguardavano la creazione, nell'ottobre 1932, di un'organizzazione segreta, di cui facevano parte Zinov'ev e Kamenev. La polizia era in possesso di prove che Trockij, all'inizio del 1932, aveva inviato delle lettere clandestine a Radek, Sokol'nikov, Preobraženskij e altri, per spingerli ad azioni più energiche contro Stalin. Getty ne trovò delle tracce negli archivi di Trockij. Nell'ottobre 1932, il vecchio trockijsta Goltsman aveva incontrato clandestinamente a Berlino il figlio di Trockij, Sedov. Avevano discusso sulla proposta di Smirnov di creare un Blocco dell'opposizione unificata, che comprendesse i trockijsti, gli zinov'evisti e i seguaci di Lominadze. Trockij insisteva sulla necessità dell'“anonimato e della clandestinità”. Poco dopo, Sedov scrisse a suo padre che il Blocco era costituito ufficialmente e che si cercava ancora di unire anche il gruppo Safarov-Tarchanov. […] la Direzione del Partito si trovò davanti alle prove irrefutabili di un complotto che mirava a rovesciare la direzione bolscevica […]. L'esistenza di questo complotto era un segnale allarmante al massimo grado».
Ci concentreremo più avanti sull'evoluzione, o meglio sulla “parabola” di Trockij, da eroe rivoluzionario a cospiratore oggettivamente antirivoluzionario negli anni '30. Ora «torniamo alla scoperta, nel 1936, dei legami tra Zinov'ev, Kamenev, Smirnov e il gruppo anticomunista di Trockij all'estero». Il lettore si chiederà come fece l'NKVD a scoprire tali contatti e come potesse entrare in possesso di simili documenti. Dobbiamo a questo punto tornare ad usare come fonte Andrew & Gordievskij167 e la storia segreta del Primo Direttorato Centrale in loro possesso:
«Lev Trockij visse undici anni e mezzo in esilio: in Turchia dall'inizio del 1929 fino all'estate del 1933, in Francia dall'estate del 1933 all'estate del 1935, in Norvegia dall'estate del 1935 alla fine del 1936, in Messico dal gennaio 1937 fino al suo assassinio nell'agosto del 1940. Per tutto il tempo, l'OGPU e l'NKVD riuscirono a introdursi nella cerchia di Trockij […]. I più abili tra i primi agenti infiltrati furono i due agenti Sobolevicius, figli di un ricco mercante ebreo lituano, meglio conosciuti in seguito come Jack Soblen e dr. Richard Soblen. Per tre anni, dalla primavera del 1929 in poi, furono tra i più stretti confidenti di Trockij. Avevano l'accesso ai codici, agli inchiostri simpatici e agli indirizzi di copertura che Trockij usava per comunicare in segreto con i suoi sostenitori in Unione Sovietica. Trockij affidò spesso la sua corrispondenza ai fratelli Sobolevicius, che la consegnarono all'OGPU, cui denunciarono anche tutti i suoi seguaci sovietici. […] L'unica fase critica della penetrazione tra le file dei seguaci di Trockij si verificò nell'estate del 1929 in Turchia. L'OGPU venne a sapere, probabilmente da uno dei suoi agenti infiltrati, che Trockij era stato visitato in segreto da un simpatizzante che faceva parte dello stesso OGPU. Il simpatizzante era Jakov Bljumkin che nel 1918, quando era un giovane rivoluzionario socialista membro della CEKA, aveva assassinato il conte Mirbach, ambasciatore tedesco […]. In seguito era stato riabilitato e aveva fatto carriera fino a diventare “residente illegale” dell'OGPU a Istanbul. Bljumkin accettò di trasmettere un messaggio di Trockij a Radek […] Quando Bljumkin fu arrestato a Mosca poche settimane dopo […] fu il primo bolscevico a essere fucilato perché simpatizzava con l'opposizione. Secondo Orlov [noto transfuga sovietico, ndr], “affrontò con coraggio la morte e, mentre il plotone d'esecuzione stava per fare fuoco, gridò: 'Viva Trockij!'” […] Parecchi turisti e simpatizzanti dei partiti comunisti occidentali che avevano occasione di viaggiare nell'Unione Sovietica continuavano, di solito sotto la sorveglianza dell'OGPU, a fare da corrieri fra Trockij e la […] compagine dei suoi adepti».
E ancora:
«Il principale organizzatore del movimento trockijsta per gran parte degli anni '30 non fu Trockij, ma suo figlio Lev Sedov, che nel 1931 lasciò la Turchia per andare a Berlino. Due anni dopo, quando Hitler salì al potere, Sedov si trasferì a Parigi. Fino al 1938, l'anno in cui morì, curò la pubblicazione del Bollettino dell'Opposizione e mantenne i contatti con i seguaci dispersi del padre. L'entourage di Sedov, come quello del padre, fu penetrato dall'OGPU e dall'NKVD. Il suo più intimo confidente, dal 1934 sino alla fine, fu un emissario dell'NKVD, l'antropologo Mark Zborowski (alias Etienne), nato in Russia, che lo aiutò a pubblicare il Bollettino e a tenere i contatti con ciò che restava dell'opposizione in Unione Sovietica. Sedov aveva in Zborowski una fiducia così completa che gli affidò la chiave della propria casella postale, lo autorizzò a ritirare la propria corrispondenza e a tenersi in casa i documenti più confidenziali del padre».
Torniamo ora a Martens e al processo agli zinov'evisti dell'agosto 1936:
«riguardava essenzialmente elementi che stavano da parecchi anni ai margini del Partito. La repressione contro i trockijsti e gli zinov'evisti lasciò intatte le strutture del Partito. Durante il processo, gli accusati fecero riferimento a Bucharin. Ma la procura alla fine giunse alla conclusione che non c'era alcuna prova di un'implicazione di Bucharin e non proseguì le indagini in quella direzione, cioè nell'ambiente dei quadri dirigenti del Partito. […] al momento del processo a Zinov'ev, Stalin […] mantenne la sua fiducia nel capo della NKVD, Jagoda. Quest'ultimo potè determinare l'orientamento del processo al Blocco trockijsta-zinov'evista e limitò la portata dell'epurazione da intraprendere in seguito alla scoperta del complotto. Eppure, c'erano già dei dubbi su Jagoda. Molte persone, tra cui Van Heijenoort, il segretario di Trockij, e Orlov, un rinnegato della NKVD, affermarono poi che Mark Zborowski, il collaboratore più vicino a Sedov, lavorava per... i servizi sovietici. In queste circostanze, Jagoda poteva, fino al 1936, non sapere nulla dell'esistenza del blocco Trockij-Zinov'ev? Oppure l'aveva tenuta nascosta? Alcuni all'interno del Partito si erano già posti questa domanda. È la ragione per la quale, all'inizio dell'anno 1936, Ezov, sostenitore della tendenza radicale, fu nominato assistente di Jagoda».
Da notare che quello che Martens ipotizza (l'affiliazione di Zborowski all'NKVD), viene pienamente confermato dalla fonte borghese di Andrew & Gordievskij, un'opera che in effetti Martens non ha utilizzato nella bibliografia della propria opera e che gli avrebbe permesso di esprimersi con anche maggiore certezza. A questo punto noi sappiamo già che Jagoda sapeva e non fece nulla, e che la sua destituzione dall'incarico fu quindi più che motivata, anche se vedremo che il personaggio scelto per sostituirlo non fu poi dei migliori.
Concentriamoci ora sulla questione dei sabotaggi. La goccia che fece traboccare il vaso, portando alla sostituzione di Jagoda, fu in effetti una serie di esplosioni avvenute il 23 settembre 1936 nelle miniere in Siberia, facendo 12 morti. Era la seconda volta che accadeva in nove mesi. Tre giorni dopo Ezov venne nominato nuovo capo della NKVD. «Le indagini in Siberia portarono all'arresto di Pjatakov, un vecchio trockijsta, vice di Ordzonikidze, il commissario all'Industria pesante». Ordzonikidze, vicino alle posizioni di Stalin, aveva amnistiato nel febbraio 1936 nove «ingegneri borghesi» condannati nel 1930 per sabotaggio, sostenendo la loro utilità per sviluppare l'industria. «Le indagini rivelarono che Pjatakov aveva usato su larga scala gli esperti borghesi per sabotare le miniere». Nel processo del gennaio 1937 Pjatakov, Radek e altri vecchi trockijsti confessarono le loro attività clandestine. «Per Ordzonikidze il colpo fu talmente duro che si suicidò». Erano accuse false?
«Si dà il caso che un ingegnere americano avesse lavorato, tra il 1928 e il 1937, come quadro dirigente, in un gran numero di miniere nelle regioni degli Urali e della Siberia, colpite dal sabotaggio. Si chiamava John Littlepage ed era un tecnico estraneo alla politica. […] Littlepage descrisse come, dal suo arrivo nelle miniere sovietiche nel 1928, si fosse reso conto di quanto fosse diffuso il sabotaggio industriale, il metodo di lotta preferito dai nemici del regime sovietico. Esisteva una certa base di massa nella lotta contro la direzione bolscevica, e se alcuni quadri importanti del Partito decidevano di incoraggiare o semplicemente proteggere i sabotatori, potevano indebolire seriamente il regime».
Nell'opera di Martens si trova il racconto di Littlepage riportato per intero. Basti dire qui che l'ingegnere denunciò di aver trovato «un litro di sabbia» in una macchina Diesel, in quantità quindi che «non poteva che esservi stata gettata intenzionalmente». Di fronte alle denunce di Littlepage gli ingegneri russi «furono sorpresi della mia preoccupazione quando lo constatai la prima volta». Per loro era normale che ci fossero episodi del genere di sabotaggio. Trovatosi poi nelle miniere degli Urali Littlepage constatò come spesso venissero usati «metodi di sfruttamento […] così sbagliati che un ingegnere appena uscito da scuola avrebbe potuto rilevare dove fosse l'errore». Littlepage si sorprese per il fatto che le raccomandazioni di migliorie tecniche suggerite dagli ingegneri americani non venissero prese in considerazioni dai dirigenti locali, mentre «gli ingegneri russi di queste miniere, quasi senza eccezione, furono intrattabili e fecero dell'ostruzionismo». Littlepage capì che le notizie dei sabotaggi non venivano diffuse al centro e che le riforme suggerite non venivano applicate perché c'erano alcuni quadri di Partito che sabotavano volutamente il lavoro, facendo crollare la produzione. In effetti successivamente «il direttore [delle miniere, ndr] fu condannato a dieci anni di carcere e gli ingegneri a pene meno lunghe». Littlepage però credeva ci fosse qualcosa di più:
«era convinto che ci fosse qualcosa di marcio nelle alte sfere dell'amministrazione politica degli Urali. […] Tuttavia, il primo segretario del Partito Comunista della regione degli Urali, Kabakov, ricopriva quella carica dal 1922. Era considerato talmente potente che lo chiamavano “il viceré bolscevico degli Urali”. Niente giustificava la sua reputazione. Sotto il suo lungo governo, l'area degli Urali, una delle regioni minerarie più ricche della Russia e che aveva ricevuto fondi illimitati per lo sfruttamento dei giacimenti, non aveva mai prodotto ciò che avrebbe dovuto. […] Tutti questi incidenti divennero più chiari, per quel che mi riguarda, dopo il processo per cospirazione che si svolse nel gennaio 1937, quando Pjatakov e parecchi suoi soci confessarono, di fronte al tribunale, che avevano ordito un sabotaggio organizzato delle miniere, delle ferrovie e di altre imprese industriali fin dall'inizio del 1931. Qualche settimana più tardi, il primo segretario del Partito per gli Urali, Kabakov, che aveva lavorato in stretta alleanza con Pjatakov, fu arrestato per il reato di complicità nel medesimo complotto».
Martens qui ricorda come Kabakov verrà poi citato nel 1956 da Chruščev come esempio di dirigente meritevole, vittima di repressione ingiusta. Littlepage riporta testimonianze simili anche riguardo alle sue esperienze in Kazachstan, avvenute tra il 1932 e il 1937.
Anche un altro ingegnere statunitense conferma simili esperienze: John Scott aveva lavorato a Magnitogorsk e riporta fatti simili nel suo libro Au delà de l'Oural, dove scrive:
«molti dei personaggi arrestati a Magnitogorsk e accusati di attentare al regime non erano che dei ladri, dei truffatori o dei malfattori. […] Pericolose all'interno del paese, queste persone formavano un'eccellente materia prima per gli agenti stranieri con i quali erano pronte a collaborare. Le condizioni geografiche erano tali che nazioni sovrappopolate come l'Italia e il Giappone, o aggressive come la Germania, non dovevano pensarci due volte per mandare i loro agenti in Russia. Questi agenti dovevano stabilirvi le loro organizzazioni ed esercitarvi la loro influenza. Un'epurazione divenne necessaria».
Cosa che in effetti avvenne il 3 marzo del 1937, come fu deciso in una
«riunione cruciale del Comitato Centrale del Partito Bolscevico. […] Al momento del Plenum, la polizia aveva raccolto del materiale che provava che Bucharin era al corrente delle attività cospirative dei gruppi antipartito smascherati durante i processi contro Zinov'ev e Pjatakov. Nel corso di questo Plenum, Bucharin fu posto di fronte a queste accuse. Al contrario degli altri gruppi, quello di Bucharin si trovava nel centro stesso del Partito e la sua influenza politica era rilevante».
Dal rapporto di Stalin in tale occasione:
«Dai rapporti che abbiamo ascoltato durante il Plenum e dai dibattiti che sono seguiti, si deduce che abbiamo a che fare con i tre seguenti fatti principali. Primo, le attività di sabotaggio, di spionaggio e di diversione degli agenti degli Stati stranieri, tra i quali i trockijsti hanno avuto un ruolo molto attivo, hanno toccato tutte o quasi tutte le nostre organizzazioni, economiche, amministrative e del Partito. Secondo, agenti di Stati stranieri, e tra loro dei trockijsti, si sono infiltrati non solo nelle organizzazioni di base, ma anche in posti di responsabilità. Terzo, alcuni dirigenti, al livello centrale come in quello provinciale, non solo non sono stati capaci di distinguere il vero volto di questi sabotatori, agenti di diversione, spie ed assassini, ma si sono dimostrati talmente incuranti, lassisti e ingenui da contribuire spesso, loro stessi, a far entrare gli agenti degli Stati stranieri nel tale o nel talaltro posto di responsabilità».
Le conclusioni tratte da Stalin erano che occorreva farla finita con la sprovvedutezza e l'ingenuità politica e rafforzare la vigilanza rivoluzionaria, perché i residui delle classi sfruttatrici facevano ora ricorso a forme di lotta più acute e si aggrappavano a metodi di lotta sempre più disperati. Stalin proponeva di migliorare l'educazione politica dei quadri del Partito, introducendo corsi politici della durata di 4-8 mesi per tutti i quadri, a cominciare dai dirigenti delle cellule fino ai dirigenti dei livelli superiori. Nella successiva riunione del 5 marzo Stalin metteva in guardia contro le deviazioni del «sinistrismo» e del burocratismo, mettendo esplicitamente in guardia contro la tendenza ad infliggere in modo arbitrario l'epurazione e la repressione:
«Ciò vuol dire forse che occorre colpire ed eliminare non solo i veri trockijsti, ma anche quelli che, un tempo, oscillavano verso il trockismo e che in seguito, già da molto tempo, hanno abbandonato il trockismo? Non solo quelli che sono veramente agenti trockijsti del sabotaggio, ma anche quelli a cui è capitato di passare per caso per una strada dove era passato da poco tale o talaltro trockijsta? Per lo meno, in questa assemblea plenaria si sono ascoltate voci in tal senso. Non si possono mettere tutti sullo stesso piano. Questa maniera semplicistica di giudicare gli uomini non può che nuocere alla lotta contro i veri sabotatori e le vere spie trockiste».
Stalin denunciava poi il burocratismo che rendeva impossibile, per i membri del Partito, esercitare il controllo sui dirigenti. I dirigenti avrebbero dovuto rendere conto del loro lavoro nelle conferenze e ascoltare le critiche della base. Durante le elezioni, si sarebbero dovuti presentare più candidati e dopo una discussione su ognuno, il voto si sarebbe dovuto svolgere a scrutinio segreto.
165. M. Sayers & A. E. Kahn, La grande congiura, cit., cap. 20, paragrafo 2 - Il processo al centro parallelo trockijsta.
166. L. Martens, Stalin, cit., pp. 169-216.
167. C. Andrew & O. Gordievskij, La storia segreta del KGB, cit., pp. 172-175.

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