6.3. ULTERIORI CARATTERISTICHE DEL “TOTALITARISMO IMPERFETTO”
Vediamo altri aspetti tipici che manifestarono al mondo plaudente (con particolare ammirazione degli USA e della Gran Bretagna, tra cui Winston Churchill) le caratteristiche dell'Italia fascista negli anni '30:
-di fronte ad un Paese complessivamente arretrato economicamente (circa il 50% della popolazione è ancora impiegata nel settore agricolo) il regime sostiene un'ideologia ruralista (da cui la nota “Battaglia per il grano”), e una politica demografica di potenza («Fate figli!») che presuppone la netta sottomissione della donna («in cucina e a tirar su la famiglia!»);
-si cerca di ottenere il controllo assoluto delle scuole e delle università attraverso un giuramento obbligatorio di fedeltà al nuovo regime. Per conquistare le menti del popolo diventa fondamentale anche il ruolo del MINCULPOP (Ministero della Cultura Popolare): si usa qualsiasi mezzo di massa, il cinema, la radio, cartelloni pubblicitari per filtrare ogni messaggio e cercare di raggiungere la fascistizzazione completa società, cercando così di rimuovere la questione di classe del nuovo regime;
-si coltiva e si incentiva un nazionalismo identitario, una precisa ideologia imperiale e coloniale, la repressione delle minoranze linguistiche e culturali (francesi, tedesche, slave), fino a sfociare in un aperto razzismo (le leggi razziali del 1938, ma si veda anche il trattamento dei popoli coloniali);
-si ambisce all'autarchia economica («dobbiamo essere autosufficienti e non dipendere da importazioni di merci e beni dall'estero»): dal 1925 vengono abbandonate le politiche liberiste per un più forte intervento dello Stato nell'economia, accentuato ancor più dalla crisi economica capitalistica del 1929. Mussolini, così come nel frattempo teorizza anche Keynes, prende esempio dall'economia sovietica e, pur mantenendo saldamente nelle mani della borghesia il potere economico complessivo, introduce in Italia l'idea dello Stato-imprenditore (in questa fase nascono l'IRI e l'IMI) e lo sviluppo dei lavori pubblici (tra cui la nota bonifica delle paludi Pontine) per cercare di rivitalizzare l'economia capitalistica.
-si ambisce all'autarchia economica («dobbiamo essere autosufficienti e non dipendere da importazioni di merci e beni dall'estero»): dal 1925 vengono abbandonate le politiche liberiste per un più forte intervento dello Stato nell'economia, accentuato ancor più dalla crisi economica capitalistica del 1929. Mussolini, così come nel frattempo teorizza anche Keynes, prende esempio dall'economia sovietica e, pur mantenendo saldamente nelle mani della borghesia il potere economico complessivo, introduce in Italia l'idea dello Stato-imprenditore (in questa fase nascono l'IRI e l'IMI) e lo sviluppo dei lavori pubblici (tra cui la nota bonifica delle paludi Pontine) per cercare di rivitalizzare l'economia capitalistica.
Rispetto al Nazismo tedesco, il Fascismo italiano rimane un totalitarismo imperfetto. Rimangono due gerarchie intrecciate e coincidenti con la stabilizzazione della dittatura: lo Stato e il Partito. Mussolini è sia Capo del Governo sia Duce del fascismo. Per ottenere un consenso di massa e mantenere saldo il controllo cultural-ideologico si procede alla costruzione di diverse organizzazioni collaterali per cercare di “fascistizzare” la popolazione. Il gioco però non può riuscire anzitutto per ragioni di classe. Il fascismo è la dittatura della borghesia e nonostante proponga un'ideologia interclassista (ci si propone di superare la divisione in classi della società) e corporativista (si intende fare gli interessi di tutti, padroni e dipendenti, purché entrambi anzitutto italiani), rimane il fatto che tra il 1921 e il 1939 c'è un calo netto del 20% dei salari per i lavoratori dipendenti. Certamente poi pesa la decisione di mantenere in vita l'esistenza autonoma della Chiesa, con la quale si consolida l'alleanza grazie ai Patti Lateranensi (11 febbraio 1929). Con questo accordo, in cambio del riconoscimento dello Stato italiano (che mancava dal 1870, ossia dalla presa di Roma) da parte del Papa, gli si concedeva la Città del Vaticano, pagandogli inoltre l'indennità per gli espropri subiti ai tempi dell'unità d'Italia. Centinaia di milioni di lire dell'epoca, sottratti alle tasche dei lavoratori, iniziarono a defluire nelle casse della Chiesa. Altri importanti aspetti del Concordato furono l'impegno a rinforzare l'insegnamento religioso cattolico nella scuola, la negazione dei diritti civili a sacerdoti colpevoli di eresia e di abbandono dello stato sacerdotale e la proibizione di ogni attività politica all'Azione Cattolica. Oltre al potere aumentato della Chiesa rimaneva, in questi anni abbastanza ben lieta di non aver bisogno di esporsi troppo, la monarchia sabauda, che approfittava del regime per aumentare i propri titolo onorifici e le proprie ricchezze, mantenendo formalmente nelle mani del Re il potere esecutivo, con la conseguente teorica possibilità di spodestare in qualsiasi momento Mussolini dal proprio ruolo. Re Vittorio Emanuele III (1900-46) però non lo farà mai, se non quando troppo tardi (nel luglio 1943 sotto l'invasione anglo-americana del Paese). Non ce c'era d'altronde motivo. Il rispetto del blocco sociale dominante è tale da rendere superflua ogni riflessione sulla natura illiberale o antidemocratica del regime fascista. Il fatto che il totalitarismo andato a costruirsi fosse più o meno “imperfetto”, come argomentato da diversi storici, è un dato secondario se posto di fronte al fatto che la volontà di tutti mirava anzitutto nella sottomissione completa del proletariato straccione che per qualche tempo aveva osato alzare troppo la testa. Da questo punto di vista non possono che far sorridere le interpretazioni “idealiste” che verranno date per spiegare l'origine del Fascismo e che oggi spadroneggiano nel revisionismo storico imperante. Benedetto Croce, rappresentante della “teoria liberale”, è riuscito a sostenere che il fascismo non fu né voluto, né sostenuto da nessuna classe sociale in particolare, ma fu solo il frutto di uno smarrimento collettivo causato dalla guerra; niente più che una parentesi morale insomma... Nella seconda interpretazione “classica”, quella “democratico-radicale” di Gobetti e Salvemini, si è sostenuto che l'Italia, al pari della Germania, abbia scontato una serie di fattori (l'unificazione nazionale recente, lo sviluppo economico accelerato, una borghesia imprenditoriale debole e timida, una tradizione autoritaria) da cui è derivata una “predisposizione” alla dittatura, quindi non una parentesi, ma il risultato di una tendenza presente nella storia italiana. Questa teoria, che pure presenta elementi di maggiore approfondimento storico-culturale, non riesce però a spiegare la genesi storica del successo politico fascista, anche se serve a far luce sulle ragioni dell'ampio consenso di massa del regime fascista acquisito soprattutto nel corso degli anni '30.37
37. Ibidem.