6.2. L'INADEGUATEZZA DEL GRUPPO DIRIGENTE
Gorbačev e le sue riforme violano molti di questi aspetti, ma il problema dell'adeguatezza del gruppo dirigente del PCUS e dell'URSS risale almeno alla struttura partitica “scelta” (o per meglio dire obbligata dagli eventi) da Stalin negli anni '30, a seguito della constatazione che il partito “leniniano” di quadri intellettuali si era dimostrato incapace di governare unito il paese nei difficili anni della costruzione del socialismo, generando invece tensioni politiche e sociali esplose in una vera e propria guerra civile interna.
L'inadeguatezza di Chruščev e Brežnev è palese per la loro impreparazione ideologica. Lungi dal rientrare nella categoria dei «filosofi-Re» si è sostenuto che entrambi avessero una conoscenza inadeguata sia delle opere di Marx che di Lenin, creando così un fattore di debolezza teorico che si è riversato a cascata sui quadri dirigenti intermedi. È insomma quasi inevitabile che con simili premesse si arrivi all'elezione di un Gorbačev qualsiasi. Il processo storico controrivoluzionario è a quel punto rapidissimo: nel febbraio 1990 il Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica accetta di rinunciare al suo stato di partito unico. Nel corso delle settimane successive le 15 repubbliche dell'URSS tengono le loro prime “libere” elezioni.
Le repubbliche costituenti dichiarano la propria sovranità nazionale e iniziano una “guerra di leggi” con il governo centrale di Mosca, in cui i governi delle repubbliche costituenti respingono la legislazione a livello di Unione, laddove in conflitto con le leggi locali, affermando il controllo su tutte le proprie economie locali e rifiutandosi di pagare le entrate fiscali al governo centrale di Mosca. A guidare le rivolte sono le repubbliche baltiche, che negli anni della seconda guerra mondiale avevano visti i più forti movimenti collaborazionisti con il nazismo. Il 12 giugno 1991 Eltsin, altro grande traditore al servizio dell'imperialismo americano, vince con il 57% dei voti le elezioni presidenziali per il posto di presidente della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, sconfiggendo lo stesso Gorbačev, ormai screditato per aver gettato il paese nel caos. Il 19 agosto 1991 il vice di Gorbačev, Gennadij Janaev, il primo ministro Valentin Pavlov, il ministro della Difesa Dmitrij Jazov, il ministro dell'Interno Boris Pugo, il capo del KGB Vladimir Krjučkov, e altri funzionari tentano di reagire alla situazione di disfacimento dell'URSS attuando un colpo di Stato per detronizzare Gorbačev e ristabilire il primato del PCUS. L'operazione fallisce.
Il presidente della RSSF russa Boris Eltsin guida la resistenza dalla Casa Bianca, l'edificio del parlamento russo, riuscendo a convincere parte della popolazione a sostenerlo. Il 25 agosto Eltsin, sostenuto a livello internazionale dagli USA, con il decreto n° 90 nazionalizza le proprietà del PCUS in Russia (non solo le sedi dei comitati di partito ma anche istituzioni educative, hotel, ecc.), mentre il 6 novembre con il decreto n° 169 proibisce l'attività del PCUS in Russia. Il 12 dicembre 1991 è completata la secessione della Russia dall'Unione. La controrivoluzione ha trionfato e l'URSS è a pezzi.64
L'inadeguatezza di Chruščev e Brežnev è palese per la loro impreparazione ideologica. Lungi dal rientrare nella categoria dei «filosofi-Re» si è sostenuto che entrambi avessero una conoscenza inadeguata sia delle opere di Marx che di Lenin, creando così un fattore di debolezza teorico che si è riversato a cascata sui quadri dirigenti intermedi. È insomma quasi inevitabile che con simili premesse si arrivi all'elezione di un Gorbačev qualsiasi. Il processo storico controrivoluzionario è a quel punto rapidissimo: nel febbraio 1990 il Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica accetta di rinunciare al suo stato di partito unico. Nel corso delle settimane successive le 15 repubbliche dell'URSS tengono le loro prime “libere” elezioni.
Le repubbliche costituenti dichiarano la propria sovranità nazionale e iniziano una “guerra di leggi” con il governo centrale di Mosca, in cui i governi delle repubbliche costituenti respingono la legislazione a livello di Unione, laddove in conflitto con le leggi locali, affermando il controllo su tutte le proprie economie locali e rifiutandosi di pagare le entrate fiscali al governo centrale di Mosca. A guidare le rivolte sono le repubbliche baltiche, che negli anni della seconda guerra mondiale avevano visti i più forti movimenti collaborazionisti con il nazismo. Il 12 giugno 1991 Eltsin, altro grande traditore al servizio dell'imperialismo americano, vince con il 57% dei voti le elezioni presidenziali per il posto di presidente della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, sconfiggendo lo stesso Gorbačev, ormai screditato per aver gettato il paese nel caos. Il 19 agosto 1991 il vice di Gorbačev, Gennadij Janaev, il primo ministro Valentin Pavlov, il ministro della Difesa Dmitrij Jazov, il ministro dell'Interno Boris Pugo, il capo del KGB Vladimir Krjučkov, e altri funzionari tentano di reagire alla situazione di disfacimento dell'URSS attuando un colpo di Stato per detronizzare Gorbačev e ristabilire il primato del PCUS. L'operazione fallisce.
Il presidente della RSSF russa Boris Eltsin guida la resistenza dalla Casa Bianca, l'edificio del parlamento russo, riuscendo a convincere parte della popolazione a sostenerlo. Il 25 agosto Eltsin, sostenuto a livello internazionale dagli USA, con il decreto n° 90 nazionalizza le proprietà del PCUS in Russia (non solo le sedi dei comitati di partito ma anche istituzioni educative, hotel, ecc.), mentre il 6 novembre con il decreto n° 169 proibisce l'attività del PCUS in Russia. Il 12 dicembre 1991 è completata la secessione della Russia dall'Unione. La controrivoluzione ha trionfato e l'URSS è a pezzi.64
64. Vd nota paragrafo 6.1. Gorbačev, il “riformatore”.