21 Novembre 2024

5.1. LA NAZIONALIZZAZIONE DI SUEZ CONTRO L'IMPERIALISMO

Il 26 luglio 1956 Nasser, ormai da più di un mese presidente della Repubblica, annuncia nel corso di un discorso ad Alessandria la nazionalizzazione della Compagnia del Canale di Suez. Lo scopo dell’operazione è allo stesso tempo economico e politico. Si tratta di trovare negli incassi del canale i fondi necessari per la costruzione della diga di Assuan e contemporaneamente di ristabilire la sovranità egiziana su un settore particolarmente importante dell’economia e del territorio nazionale, nonché di mostrare i muscoli all’occidente e fomentare l’orgoglio arabo. Di seguito alcuni estratti rilevanti del discorso33:
«Cittadini, oggi entriamo nel quinto anno della nostra rivoluzione. Abbiamo trascorso quattro anni di lotta; abbiamo lottato per cancellare le tracce del passato, dell’imperialismo e del dispotismo, dell’occupazione straniera e della tirannide interna. […] L’imperialismo ha cercato in tutti i modi di attentare al nostro nazionalismo arabo, cercando di disperderci e separarci: a questo scopo ha creato Israele, opera dell’imperialismo. […] Nel 1952 eravamo certi che la nostra indipendenza politica avrebbe potuto attuarsi soltanto mediante l’aiuto e il contemporaneo sviluppo dell’indipendenza economica. Abbiamo lavorato in tutti i modi per ottenere lo sgombero delle forze straniere dal nostro territorio. […] Eravamo sicuri di attuare questa indipendenza politica dal momento che avevamo debellato i complici dell’imperialismo. […] Non abbiamo trascurato l’indipendenza economica perché eravamo fermamente convinti del fatto che l’indipendenza politica poteva essere realizzata soltanto attraverso l’indipendenza economica. […] Dopo le feste dell’evacuazione ho detto che l’Egitto dimentica il passato, che darà la mano a tutti coloro che saranno pacifici con lui e che sarà ostile verso coloro che lo sono con lui. Ho anche dichiarato che la politica dell’Egitto nasce dal cuore stesso dell’Egitto e non da Londra o da Washington o altrove. Ho anche detto che eravamo dispostissimi a cooperare con chiunque, a condizione che ciò non fosse a detrimento dell’Egitto e dei suoi interessi. Oggi vi dirò tutto a proposito della questione dei negoziati. Dal 1952 e dopo il successo della Rivoluzione, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti incominciarono a mettersi in contatto con noi e a chiederci di allearci con loro; noi rispondemmo sempre che non avremmo mai potuto far parte di un patto che non raggruppasse tutti gli Stati arabi. […] Le trattative allora cessarono perché noi non volevamo accettare un accordo che avrebbe diminuito la nostra sovranità, e ci avrebbe reso dipendenti della Gran Bretagna, una grande potenza. Nel 1952 si incominciò a parlare degli armamenti. Gli imperialisti ci dissero: “Non vi diamo armi se voi non firmate il patto di difesa comune”. Ciò avrebbe significato che una commissione britannica sarebbe venuta e si sarebbe occupata di tutte le questioni dell’esercito egiziano. […] Dicemmo loro che volevamo comprare le armi con i nostri soldi e che non volevamo averne a titolo di assistenza: ma essi non vollero. […]
Dopo di allora incominciò la lotta per il canale e ciascuno di voi sa quanto ci siamo sacrificati e quanti sono coloro che sono morti sul campo dell’onore nel corso di quelle battaglie per il canale. Gli inglesi se ne sono andati. […] La lotta è stata aspra e violenta: ma è forse terminata? No, oggi la lotta continua contro i complici degli imperialisti. Questi complici si trovano ovunque, in tutti i paesi e non agiscono senza armi. Gli imperialisti hanno cominciato, con l’aiuto dei loro complici e dei loro sostenitori, a ordire i loro complotti e a tessere i fili delle loro manovre. E l’hanno fatto in ognuno dei paesi arabi. […] Ovunque, in tutto il mondo arabo vi è lotta. Lotta contro l’imperialismo che aiuta la Francia nell’Africa del Nord. […] Queste lotte in Giordania, nella Siria, nel Sudan, in Algeria, ovunque nei paesi arabi, non possiamo dire che non ci riguardino perché noi tutti, i paesi arabi, siamo intimamente legati gli uni con gli altri e non accettiamo mai di essere al seguito delle potenze straniere, di prendere istruzioni da questa o da quella potenza, come alcuni paesi. Non ho bisogno di nominarli, perché non voglio assolutamente provocare crisi diplomatiche. Dichiarammo agli imperialisti che avremmo voluto conoscere il loro punto di vista nei riguardi della Palestina e dei rifugiati arabi. Ci risposero che era una questione che avremmo discusso più tardi. Ci dissero che per quanto riguardava i rifugiati, sarebbero stati dati loro dei soldi. Essi non sanno che non tutto può essere comprato e venduto. Essi non sanno che la nostra terra è così cara che nessun prezzo la può pagare. Domandammo armi alla Gran Bretagna. Ci risposero: “Vi diamo armi a due condizioni: la prima, che Gamal Abd Nasser, il quale sta per recarsi a Bandung, non apra bocca; la seconda, che cessiate i vostri attacchi contro la politica dei patti delle alleanze”.
Rispondemmo che volevamo armi per consolidare la nostra sovranità, la nostra indipendenza e la nostra personalità e non per piegarci a certe condizioni. Abbiamo quindi preso le armi dall’URSS. Sì, dico URSS e non Cecoslovacchia. Abbiamo concluso un accordo con l’Urss per fornirci di armi e così è stata realizzata la transazione delle armi. Dopo di ciò, quante storie! Ci è stato detto che erano armi comuniste. Vorrei domandare: “Vi sono armi comuniste e armi non comuniste?”. Le armi, dal momento in cui arrivano in Egitto, si chiamano armi egiziane. Gli imperialisti ci hanno poi detto che avevamo un piano per l’equilibrio delle forze in Medio Oriente. Ma che equilibrio è quello che dà un fucile a 70 milioni di arabi contro due fucili a 1 milione di sionisti e un aeroplano agli uni contro due agli altri? […] Ho seguito il chiasso che è stato fatto quando concludemmo l’accordo per l’acquisto di armi. Fu un chiasso che riempì i quotidiani inglesi e francesi, ma noi abbiamo affrontato tutte queste dicerie e questi insulti con la calma, perché abbiamo un onore e un patriottismo. […] La storia dei colloqui era finita, e con essa la storia dei patti e la storia degli armamenti: incominciò allora la storia della diga. Nel 1953 stabilimmo un piano per l’aumento della produzione del paese. Il progetto della diga ci fu sottoposto nel 1952, dopo essere già stato sottoposto nel 1924. Lo studiammo accuratamente e ci scontrammo necessariamente con la difficoltà del finanziamento. […] Le lotte e le difficoltà per il finanziamento sono state tante e dure. Finché nel dicembre scorso l’ambasciatore dell’URSS ha dichiarato che il suo paese era disposto a finanziare il progetto. Gli risposi che eravamo in trattative con la BIRD e che lo pregavo di riproporre in un altro momento questa questione. Quando la Banca seppe che vi era una proposta russa per il finanziamento della diga, continuò le trattative, nel corso delle quali abbiamo posto chiaramente le nostre condizioni, dicendo che non volevamo alcuna clausola che potesse ledere l’onore dell’Egitto. […] Molte sono state le proposte e le trattative con la BIRD per il finanziamento della diga. Le trattative avrebbero dovuto proseguire dopo l’accordo tra l’Egitto e il Sudan sulle acque del Nilo. Avremmo poi cominciato i lavori contando su 70 milioni di dollari; noi avremmo speso da parte nostra 300 milioni di dollari, e una volta cominciati i lavori, la Banca avrebbe espresso le sue condizioni e avremmo speso così il nostro denaro. I lavori sarebbero finiti; era evidentemente una trappola tesa dagli imperialisti. Abbiamo dato ordine di arrestare i lavori allo scopo di non avventurarci su una strada per la quale l’occupazione avrebbe preso piede nel nostro territorio. […] Il 29 febbraio scorso l’Inghilterra ci propose di accettare la sua mediazione tra noi e il Sudan. […] È chiaro che gli inglesi tendono a seminare l’odio tra noi e i sudanesi. Ciò che a loro importa è che esista un dissidio tra noi e i sudanesi. A tale scopo intervengono per proteggere indifferentemente gli interessi di uno qualsiasi di noi. […] Il mese scorso fu annunziata la visita di Scepilov in Egitto e anche il direttore della Banca mondiale fece sapere che voleva visitare l’Egitto. Scepilov offrì all’Egitto l’aiuto della Russia in tutti i campi economici fino al punto di concedere prestiti a lunga scadenza senza porre condizioni o restrizioni; non dobbiamo che chiederlo questo aiuto. D’altra parte i russi non volevano materie prime. […] Il giorno successivo giunse il direttore della Banca mondiale: egli affermò che la Banca confermava le dichiarazioni fatte lo scorso febbraio, era decisa a finanziare il progetto e si manteneva in contatto con i governi britannico e americano che, dal canto loro, confermano le loro dichiarazioni. Rientrò poi in Egitto il nostro ambasciatore negli Stati Uniti e dichiarò che gli americani intendevano finanziare la costruzione della diga ma avevano la sensazione che noi non lo desiderassimo. Gli replicai che non era vero, che noi lo desideravamo e che erano gli americani che non volevano finanziare il progetto; Ahmed Hussein tornò a Washington; si incontrò con Foster Dulles e lo pregò di dare una risposta alle nostre note. Il risultato fu che il Dipartimento di Stato pubblicò il comunicato del 20 luglio. Nel suo comunicato il Dipartimento di Stato ha sollevato per la prima volta la questione dell’Etiopia e dell’Uganda e ha parlato del Sudan. Desidero dichiarare che il morale dei nostri fratelli sudanesi è eccellente, poiché gli interessi dell’Egitto e del Sudan sono amministrati esclusivamente dai sudanesi e dagli egiziani. […] Il comunicato ha fatto allusione agli ultimi sviluppi della situazione egiziana. Di quali sviluppi si tratta? […] Il comunicato considera poi la posizione economica dell’Egitto e solleva dubbi riguardo all’economia egiziana degli ultimi sette mesi. Desidero dichiarare che l’economia egiziana si è rafforzata. […] Sono sviluppi che riguardano l’indipendenza, la dignità e la grandezza del paese. Abbiamo deciso di rafforzare il nostro esercito e di conquistare la libertà e l’indipendenza. Il Foreign Office, il 20 luglio, ha fatto conoscere la sua opinione, immediatamente seguito dalla Banca Mondiale. Lo scopo era quello di punire l’Egitto perché aveva respinto i patti militari, aveva proclamato la pace e aveva fatto appello a essa e ai principi che erano stati dimenticati. L’Egitto si era altresì appellato alla libertà e all’indipendenza, alla vita positiva e pacifica e all’aiuto reciproco fra tutti i paesi. Il Congresso americano aveva chiesto che fosse proibito ogni aiuto all’Egitto perché abbiamo rifiutato di accettare l’occupazione e lo sfruttamento del nostro territorio. Questa avrebbe dovuto essere la nostra punizione perché, con l’annullamento degli aiuti all’Egitto, il popolo egiziano avrebbe potuto dire che Gamal ‘Abd en-Nasser ha nociuto al paese e intende esercitare pressioni su di esso affinché accetti condizioni nefaste per tutta la nazione. […] Oggi siamo tutti qui per porre assolutamente fine a un passato sinistro, e se ci volgiamo verso questo passato è unicamente allo scopo di distruggerlo. Non permetteremo che il canale di Suez sia uno Stato nello Stato. […] La povertà non è un disonore; lo è lo sfruttamento dei popoli. Ci riprendiamo tutti i diritti perché questi soldi sono nostri e questo canale è proprietà dell’Egitto. La Compagnia è una società anonima egiziana e il canale fu aperto grazie alle fatiche di 120 mila egiziani, che trovarono la morte durante l’esecuzione dei lavori. Sotto il nome di Società del canale di Suez, di Parigi, si nasconde solo uno sfruttamento. […] Tutto l’Egitto lotterà fino all’ultima goccia di sangue per la ricostruzione del paese. Ai paesi occupanti non permetteremo di realizzare i loro piani e costruiremo con le nostre braccia un Egitto forte. Ecco perché firmo oggi il decreto del governo sulla nazionalizzazione della Compagnia del canale! Proseguiremo nei nostri sforzi per distruggere una volta per tutte ogni traccia d’occupazione e di sfruttamento. Dopo cento anni ognuno è tornato in possesso dei propri diritti e oggi noi costruiamo il nostro edificio demolendo uno stato che viveva all’interno del nostro stato. Il canale di Suez deve servire al benessere dell’Egitto, non al suo sfruttamento. Veglieremo sui diritti di ciascuno. La nazionalizzazione del canale di Suez è divenuta un fatto compiuto; i nostri fondi tornano a noi e ora […] tutti dobbiamo lavorare e produrre nonostante le congiure ordite contro di noi. Auguro agli imperialisti di morire per l’ira. Noi costruiremo l’industria egiziana. In questi stati non ho trovato alcun desiderio di cooperare tecnicamente all’industrializzazione del nostro paese. In 4 anni abbiamo sentito che siamo divenuti più forti e più coraggiosi e, così come fummo capaci di detronizzare il re il 26 luglio, nello stesso giorno nazionalizziamo la Compagnia del canale di Suez. Realizziamo così una parte delle nostre aspirazioni e diamo inizio alla costruzione di un paese sano e forte. In Egitto non esisterà altra sovranità che non sia quella del popolo egiziano; un popolo che avanza compatto contro tutti gli aggressori e le congiure degli imperialisti sulla via della costruzione e dell’industrializzazione. Realizzeremo una gran parte delle nostre aspirazioni e costruiremo effettivamente il nostro paese, poiché non esiste più nessuno che si possa ingerire negli affari dell’Egitto. Oggi siamo liberi e indipendenti».
33. G. A. El-Nasser, Discorso sulla nazionalizzazione del canale di Suez, Storiadisrele.blogspot.it, 26 luglio 1956.

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