5.1. LE RAGIONI DELL'INVASIONE DELLA POLONIA
Riportiamo estratti del capitolo L'Accordo di amicizia e di frontiera del 28 settembre 1939 di Kurt Gossweiler26, che spiega bene la questione dell'invasione sovietica della Polonia:
«Da molte parti si legge che l'ingresso dell'Armata Rossa nei territori polacchi a est della linea di demarcazione (il 17 settembre 1939) abbia significato una violazione della neutralità. Con tale azione l'URSS si sarebbe schierata dalla parte della Germania nella guerra di questa contro la Polonia. Se si osservano i fatti più attentamente, la valutazione mi appare alquanto semplicistica. Infatti, se si fosse tracciata la linea di demarcazione lungo la linea Curzon senza garantire militarmente [da parte sovietica, ndr] la propria “zona di interesse”, in altri termini con la rinuncia allo schieramento dell'Armata Rossa a protezione dei territori recuperati della Bielorussia e dell'Ucraina occidentale, ciò non sarebbe valso come rispetto della neutralità, ma come un invito lanciato alla Wehrmacht a varcare la linea di demarcazione. Non riesco a considerare l'occupazione di queste aree, che appartenevano di diritto all'Unione Sovietica [l'autore allude al fatto che tali territori erano stati sottratti alla Russia nell'ambito dell'invasione subita nel 1920, ndr], come una rottura della neutralità, a una condizione però: che l'Armata Rossa non si fosse resa complice dello smembramento dello Stato polacco, ma che avesse occupato quei territori solo dopo il crollo effettivo, quindi senza strapparli al Governo polacco, ma preservandoli dall'aggressore fascista. Per quanto concettualmente questa distinzione risulti semplice e chiara, complicata appariva la faccenda nel contesto reale del settembre del 1939.
I fascisti tedeschi, fin dal primo giorno dell'aggressione alla Polonia, avevano premuto sull'URSS, acciocché l'Armata Rossa facesse ingresso nelle aree polacche che appartenevano alla sua “sfera di interesse”. La parte sovietica, però, per una simile azione attese fino a che le truppe tedesche non raggiunsero e in parte ampiamente oltrepassarono la linea di demarcazione, provocando il crollo di fatto dello Stato polacco. Non fu facile resistere alle pressioni tedesche e rimandare lo spostamento delle proprie truppe: di tale situazione sono testimonianza concludente i telegrammi intercorsi tra Berlino e Mosca. Di seguito riportiamo estratti di questo scambio di telegrammi. Il 3 settembre 1939, il ministro degli Esteri tedesco Ribbentrop spedisce a Schulenburg, ambasciatore tedesco a Mosca, il seguente telegramma: “Contiamo con certezza di sconfiggere in modo decisivo l'esercito polacco in alcune settimane. […] Naturalmente siamo stati costretti, per ragioni militari, ad avanzare anche oltre, contro le forze armate polacche che in questo momento si trovano nei territori della Polonia appartenenti alla sfera di interesse russa. Prego discuterne il prima possibile con Molotov e accertare così se l'Unione Sovietica non ritenga necessario schierare truppe russe nella propria sfera di interesse e prendere possesso per parte sua di questi territori”.
I tedeschi dunque insistevano perchè l'URSS ordinasse il prima possibile all'Armata Rossa di fare ingresso nei territori appartenenti alla propria sfera di interesse, rendendosi in tal modo loro complice nella guerra contro la Polonia. Questa la risposta di Molotov del 5 settembre: “Concordiamo sul fatto che al momento giusto sarà per noi indispensabile intraprendere delle operazioni concrete. Riteniamo però che questo momento non sia ancora arrivato”.
II 9 settembre Ribbentrop incaricò ancora una volta l'ambasciatore tedesco a Mosca di incitare i sovietici a un pronto intervento: “Tutti i segnali lasciano più o meno supporre un disfacimento dell'esercito polacco. In queste circostanze ritengo della massima urgenza che Lei riapra i colloqui con Molotov in merito alle intenzioni militari del governo sovietico. […] La prego pertanto di riprendere con Molotov il discorso su questo tema in modo appropriato […]”.
Tali pressioni indussero il governo sovietico a talune manovre diplomatiche. Dalla sua condotta di principio, si rese palese che l'Unione Sovietica si fosse imposta di astenersi da qualsiasi azione che avesse potuto cancellare in qualche modo il fatto incontestabile che la Germania di Hitler da sola aveva aggredito la Polonia, facendo crollare l'esercito e lo Stato polacco. Dall'altro canto il respiro concesso dal trattato di non aggressione era talmente prezioso e necessario che l'Unione Sovietica aveva estremo interesse a non offrire ai tedeschi alcun appiglio per mettere in dubbio il rispetto del trattato stesso da parte dei sovietici o qualche pretesto per accusarli in questo senso. A partire dal 9 settembre il governo sovietico intraprese pertanto, ed è realtà evidente a posteriori, certe manovre diplomatiche con un unico scopo: rimandare il più possibile il proprio intervento militare, senza comunque fornire ai tedeschi alcun pretesto per lanciare accuse nei suoi confronti. L'ambasciatore tedesco informò Berlino della prima reazione del governo sovietico alla pressione di Ribbentrop del 9 settembre: “Molotov mi ha spiegato oggi, alle ore 15:00, che a giorni avrà luogo un'azione militare sovietica”.
Il giorno seguente peraltro Schulenburg telegrafò a Berlino: “Nel colloquio di oggi, avvenuto alle ore 16:00, Molotov ha circoscritto la dichiarazione di ieri, affermando che i rapidi e inaspettati successi militari tedeschi hanno colto completamente di sorpresa il governo sovietico. In base alle nostre prime comunicazioni l'Armata Rossa contava di disporre di alcune settimane, ora ridotte a pochi giorni. I militari sovietici si trovano pertanto in una situazione delicata, perché nelle condizioni attuali necessitano ancora di 2, 3 settimane per i preparativi. […] Ho con insistenza sottolineato a Molotov l'importanza, nella situazione odierna, di un'azione immediata dell'Armata Rossa. Egli ha ripetuto che da parte loro si tenta tutto il possibile per accelerare i tempi. Ho avuto l'impressione che ieri Molotov abbia promesso più di quanto l'esercito sovietico sia in grado di realizzare. A questo punto Molotov ha parlato del lato politico della questione, spiegando che l'Unione Sovietica aveva intenzione di utilizzare l'avanzata ulteriore delle truppe tedesche come argomento per dichiarare che la Polonia si stava sgretolando e che pertanto l'URSS si trovava nella necessità di intervenire a favore degli ucraini e dei bielorussi minacciati dalla Germania”.
Per “addolcire” questa motivazione senza dubbio possibile seriamente intesa, ma che andava ad offendere la controparte del trattato, Molotov aggiunse: “Con tali motivazioni risulterà giustificato davanti alle masse l'intervento sovietico, e verrà al contempo evitato che l'URSS appaia come un aggressore”. A questa dichiarazione Molotov aggiunse un'osservazione, il cui scopo, come ha dimostrato lo sviluppo dei fatti, era quello di dare una spiegazione dell'ulteriore ritardo di un'azione militare sovietica. Così Molotov: “Questa strada è stata sbarrata al governo sovietico da un messaggio pervenuto ieri dall'Ufficio informazioni tedesco in base al quale, secondo una dichiarazione del Generale di corpo d'armata Brauchitsch, non sarebbero state necessarie azioni belliche al confine orientale tedesco. Tale messaggio ha fatto supporre che di lì a poco sarebbe seguito un armistizio tra la Germania e la Polonia: e in questo caso l'Unione Sovietica non avrebbe potuto iniziare un 'nuovo conflitto'. Da parte mia dichiarai di non essere al corrente di questo messaggio, che appariva del tutto contrario ai fatti, e che avrei richiesto subito delle spiegazioni”.
Dalla risposta di Ribbentrop, riportata da Schulenburg a Molotov il 13 settembre, traspare che Molotov aveva “frainteso” intenzionalmente le parole del Generale Brauchitsch. Così Ribbentrop per Molotov: “Fin d'ora prego però il signor Molotov di ammettere che la sua affermazione riguardo alla dichiarazione del Generale del corpo di armata Brauchitsch fosse fondata su un malinteso. Tale dichiarazione si riferiva esclusivamente all'esercizio regolare del potere esecutivo nei vecchi territori del Reich prima dell'inizio dell'azione tedesca contro la Polonia e non ha nulla a che vedere con una limitazione delle nostre operazioni militari verso oriente su quello che fino ad ora è stato territorio statale polacco. Non si può assolutamente parlare di un imminente armistizio con la Polonia”.
Per non addentrarmi troppo nei dettagli, cesserò qui di continuare a riferire il significato dello scambio di telegrammi, riportando in conclusione solo che il 15 settembre i tedeschi presentarono ai sovietici il testo di un comunicato comune tedesco-sovietico, che si sarebbe dovuto pubblicare contemporaneamente all'inizio dell'azione militare sovietica e che mirava, di nuovo, a far apparire i due Stati come alleati militari. Ribbentrop motivò questa proposta con un energico rifiuto dell'originaria dichiarazione sovietica. Una motivazione del genere, sosteneva, “sarebbe difatti impossibile, perché contrasterebbe con le reali intenzioni tedesche, che miravano esclusivamente alla realizzazione dei noti interessi vitali della Germania, presentando in definitiva i due Stati come nemici agli occhi del mondo intero, a dispetto dell'intento già espresso da ambo le parti di instaurare delle relazioni amichevoli”. Irremovibile di fronte a tali dure pressioni, l'Unione Sovietica persistette nella propria spiegazione unilaterale del suo modo di procedere, il cui contenuto venne riferito a Berlino dall'ambasciatore tedesco: “La bozza che mi è stata letta contiene tre punti per noi inaccettabili. Di fronte alle mie obiezioni, Stalin, con grande disponibilità, ha modificato il testo, sicché la nota pare ormai per noi più accettabile”.
L'URSS fece dunque un passo avanti nella sua disponibilità al compromesso, accettando la richiesta del governo tedesco di un comunicato comune tedesco-sovietico, ma solo alcuni giorni dopo la pubblicazione della dichiarazione unilaterale sovietica. Undici giorni dopo l'inizio dell'occupazione dei territori a Est della linea di demarcazione da parte dell'Armata Rossa, la Germania e l'URSS conclusero un nuovo accordo, passato alla storia come il “trattato di amicizia e di frontiera” del 28 settembre 1939. La denominazione di “accordo di amicizia” viene utilizzata da alcuni a comprova del fatto che l'Unione Sovietica avesse realmente infranto la posizione di neutralità, schierandosi dalla parte della Germania. In effetti una tale denominazione per indicare un trattato tra l'URSS e la Germania di Hitler non poteva che urtare ogni comunista, sollevando l'interrogativo: era necessario spingersi fino a questo punto, non sarebbe bastato accontentarsi della definizione di “trattato di frontiera”? Vero è anche che per gli avversari dell'Unione Sovietica sarebbe molto più difficile sospettare della politica sovietica, se questo trattato fosse stato chiamato soltanto “di frontiera”. Non solo i comunisti, peraltro, ma tutte le persone imparziali dovrebbero valutare una cosa non per il suo nome o la sua confezione, ma per il contenuto. Se si segue questa linea, risulta chiaro che il trattato costituiva una prova di profonda sfiducia dell'Unione Sovietica nei confronti della Germania fascista e un inasprimento della preoccupazione riguardo a un futuro attacco tedesco. Qual era del resto il contenuto dell'accordo? Il punto focale consisteva nella fissazione definitiva della linea di demarcazione, che implicava un fatto abbastanza sensazionale: dopo l'accordo del 28 settembre anche la Lituania, che secondo l'accordo aggiuntivo del 23 agosto 1939 apparteneva ancora alla “sfera di interesse” tedesca, entrò a far parte di quella sovietica! E questo nonostante che Hitler avesse poco prima ordinato alla Wehrmacht di occupare la Lituania! L'Unione Sovietica era riuscita nel corso dei negoziati per il trattato di delimitazione a imporre con fermezza la richiesta di modificare a proprio vantaggio la linea di demarcazione nell'area del Baltico. Come compenso l'URSS acconsentì a far retrocedere la linea di demarcazione in territorio polacco dalla linea Pisa-Narew-Vistola-San, ovvero dal perimetro orientale di Varsavia, fino al fiume Bug, così da farla coincidere grosso modo con la linea Curzon. La revisione dell'accordo del 23 agosto in relazione alla Lituania, ottenuta dall'Unione Sovietica, non palesa certo sentimenti amichevoli nei confronti della Germania, quanto semmai sfiducia e preoccupazione antiveggente. Ma allora, perché chiamare questo patto “accordo di amicizia”? Possiamo affermare senza ombra di dubbio che la parte che insisté maggiormente al fine di integrare la definizione “trattato di delimitazione” con la parolina “amicizia” sia stata quella tedesca: il primo tentativo a riguardo, anche se vano, era già stato compiuto infatti in agosto. Negli appunti del direttore del Dipartimento giuridico del Ministero degli Esteri tedesco, Friedrich Gaus, il quale partecipò a Mosca alla stesura del trattato di non aggressione, si legge in merito: “Il signor von Ribbentrop aveva personalmente aggiunto al preambolo della bozza del trattato da me redatta un giro di frase piuttosto ampio riguardo a una configurazione amichevole delle relazioni tedesco-sovietiche. Tale giro di parole venne contestato dal signor Stalin, con l'osservazione che il governo sovietico, dopo essere stato per sei anni ricoperto di secchi di liquame dal governo nazionalsocialista, non avrebbe potuto ora sbattere in faccia all'opinione pubblica assicurazioni di amicizia tedesco-russa. Il passo in questione venne cancellato o modificato”.
Il 28 settembre l'Unione Sovietica si arrese alle pressioni tedesche, accettando di presentare il trattato di delimitazione tedesco sovietico come un accordo di amicizia. Spetta agli studiosi, che conoscono nel dettaglio lo sviluppo delle negoziazioni, stabilire se il prezzo pagato per raggiungere lo scopo prefissato sia stato troppo alto. Diverso è il caso, a mio parere, con le successive dichiarazioni anti polacche di Stalin e Molotov, riferite nella presa di posizione degli storici di parte sovietica e polacca. A prescindere dai motivi per cui furono rese, secondo i nostri criteri di giudizio attuali tali dichiarazioni rappresentano in effetti una deviazione dai principi leninisti riguardo alla politica estera e delle nazionalità. Non possiamo tuttavia giustificare quelle forze nazionaliste interne ed esterne all'URSS, che avanzano oggi la pretesa di invalidare il patto di non aggressione e tutti i trattati ad esso correlati, creando così il pretesto giuridico per impugnare anche l'appartenenza all'URSS di tutti quei territori nei quali, nel 1940, si era ristabilito il dominio sovietico».
26. K. Gossweiler, Contro il revisionismo, cit., pp. 79-86.