«In quegli anni il movimento dei Consigli ebbe un'importanza notevole per la classe operaia. La controprova fu che gli industriali tentarono di stroncarlo (aprile 1920), dopo che Agnelli fallì il tentativo di assorbire il gruppo dell'Ordine Nuovo in nome della “concordanza di interessi fra capitalisti e operai”. I membri dei Consigli, eletti reparto per reparto da tutti i lavoratori, si chiamavano “commissari di reparto”. I Consigli non solo eleggevano la Commissione Interna, ma si occupavano di tutti i problemi della categoria e della classe operaia nel suo insieme; questo creava grosse contraddizioni al sindacato diretto dai riformisti con i quali le C.I. entravano spesso in contrasto. Il 17 agosto del 1920 la FIOM decide l'occupazione delle officine metallurgiche di tutta Italia come risposta alla serrata fatta dai padroni di fronte alle richieste salariali dei lavoratori torinesi. Gli operai continuarono la produzione, iniziando contemporaneamente a costruire in fabbrica le armi per difendersi da un'eventuale azione di forza del governo. Il movimento stava uscendo dai confini di una lotta salariale; ma il sabotaggio dei dirigenti riformisti della CGL, le incertezze presenti all'interno del gruppo dell'Ordine Nuovo e la trattativa subito avviata con il sindacato dal governo e dagli industriali riportarono la lotta nel campo sindacale. L'occupazione delle fabbriche dell'agosto-settembre 1920 aveva visto alla testa della lotta partita alla FIAT gli operai dell'USI, dell'Ordine Nuovo e del Soviet (dal nome del giornale della tendenza di Bordiga). Appena conclusa la lotta, la repressione colpisce questa avanguardia, in particolare gli anarcosindacalisti: nell'ottobre successivo tutti i dirigenti della segreteria dell'USI vengono arrestati. Finiva così quello che fu poi chiamato il “biennio rosso”. Ormai un nuovo ciclo del capitale si sta esaurendo. Il relativo “benessere” del precedente ciclo economico era stato la base materiale su cui poggiava la politica riformista di Giolitti, che aveva creato le condizioni per il conglobamento nel sistema economico dell'aristocrazia operaia, rappresentata dal PSI e dalla CGL. La crisi economica che scoppiò nel 1921 rese più acuti i contrasti di classe e politici, facendo crollare i presupposti su cui si fondava il riformismo. Alcune classi non si riconoscevano più nelle vecchie organizzazioni e nei partiti politici esistenti; l'accanita lotta di classe acuita dalla crisi imponeva nuove forme di organizzazione. I contadini e gli operai, che sotto le armi si erano sentiti promettere ampie concessioni, una volta passato il pericolo e tornati a casa, scoprivano che non solo le promesse non erano state mantenute, ma che le loro condizioni venivano addirittura aggravate dagli effetti della crisi. L'esempio della vittoria della Rivoluzione bolscevica in Russia dava inoltre grande forza al movimento di massa provocato dalla crisi. La grande borghesia (finanziaria, terriera, industriale) trovò nel fascismo la soluzione per la salvaguardia del profitto, mentre il proletariato industriale ed agricolo trovò nel Partito Comunista d'Italia (Pcd'I) la nuova forma di organizzazione politica: infatti nel 1921 a Livorno dalla spaccatura con il PSI nasce il PCd'I, Sezione italiana dell'Internazionale Comunista. Anche se la nascita del PCd'I, a differenza del Partito bolscevico, è frutto di una spaccatura della socialdemocrazia e di mediazioni fra le varie correnti contenenti già dall'inizio posizioni opportuniste, ciò non sminuisce la sua portata storica. Con la formazione del PCd'I, anche in Italia avviene un processo simile a quello avvenuto in Russia: la saldatura fra socialismo scientifico e movimento operaio: dopo quasi 40 anni dalla fondazione del Partito Operaio, il proletariato italiano si presenta sulla scena politica con un suo partito di classe indipendente».23