21 Novembre 2024

4.1. DALL'EUROCOMUNISMO ALLA SUBALTERNITÀ ALLA FINANZA EUROPEA DELL'UE

«Ormai a tutti è noto che l’Unione Europea e gli organismi derivanti dal Piano Marshall non sono l’espressione spontanea della volontà e delle esigenze dei popoli europei, bensì sono stati artificiosamente creati con lo scopo politico di fare d’un gruppo di nazioni europee uno schieramento in funzione antisovietica, e con lo scopo economico di fare dell’Europa Occidentale un campo di sfruttamento della finanza americana». (Sandro Pertini, 1949)271
«Si pensi, per averne l'esempio più vivo, al cosiddetto “parlamento europeo”, che esiste a Strasburgo e che dovrebbe essere il centro di tutta la organizzazione europeistica […] Si è mai svolto in esso un dibattito, vi è stato mai pronunciato un discorso il quale abbia avuto una risonanza qualsiasi, che abbia attirato l'attenzione su un problema vitale, che abbia interessato le masse dei lavoratori d'Italia, di Francia, d'Europa? Si pensi a ciò che furono le prime assemblee rappresentative nazionali! Questo parlamento europeo è un modello della peggiore degenerazione degli organismi politici. Non vi è nulla in esso di democratico. Se poi si discende alle commissioni che lo affiancano il quadro è anche peggiore. Siamo nell'ambito della pura burocrazia, sottratta a qualsiasi controllo, asservita a interessi privati, oppure semplice strumento dei singoli governi occidentali e delle loro rivalità. Cose analoghe si debbono dire degli organismi che formano la struttura del Mercato comune. Sono organismi creati dall'alto, non soggetti ad alcuna forma di controllo democratico e di conseguenza nominati, attraverso i canali che partono dai ministeri nazionali, dai grandi gruppi capitalistici nelle mani dei quali si concentra il potere economico nei paesi dell'Occidente. In questi organismi i grandi monopoli capitalistici privati non hanno trovato e non potevano trovare alcuna forza che contrastasse il loro dominio. Altrettanto grave è il quadro che si presenta se si guarda alle questioni internazionali. L'europeismo, qui, non è altro che la NATO, cioè un blocco militare che rompe in due il continente ed è uno strumento, prima di tutto, della politica americana. Non ci risulta che, fino ad oggi, o dall'assemblea di Strasburgo o da uno qualunque dei centri della propaganda europeistica, sia uscita una proposta di politica estera che tendesse a dare all'Occidente europeo una sua personalità, in questo campo, diversa da quella della NATO». (Palmiro Togliatti, 1963)272
Il PCI di Togliatti e in generale chiunque avesse cognizioni marxiste-leniniste, aveva ben chiara la natura imperialista dell'Europa unita, sulla quale abbiamo già avuto modo di vedere le posizioni di Lenin e Rosa Luxemburg. Leggiamo di seguito il discorso pronunciato da Pietro Ingrao il 30 luglio 1957 dai banchi della Camera dei Deputati, valevole come dichiarazione di voto del PCI sulla ratifica del Governo Italiano al Trattato di Roma del 1957, che sancisce la nascita della CEE (Comunità Economica Europea), ossia la sovrastruttura da cui discende l'attuale Unione Europea:
«Ci spiace non essere d’accordo con l’onorevole Pella quando, nella conclusione del suo discorso, affermava che in questo momento destinataria dei nostri voti sarà l’idea dell’Europa e che noi stiamo qui a votare pro e contro questa idea. Non pensiamo che le cose stiano così e che la votazione avvenga in questi termini. Noi non stiamo votando sul principio dell’integrazione europea, sulla giustezza o meno di questo principio. noi siamo qui a votare su questa integrazione dell’economia italiania che ci viene proposta, sul modo in cui i trattati internazionali in esame si inseriscono nella realtà concreta e storica del nostro paese e dell’Europa, sulle forze che guidano questa integrazione, sui fini che si pongono, sulle prospettive che essi aprono. Ed è contro questa integrazione, così come è organizzata e obiettivamente si sviluppa, che interviene il nostro no, e ciò per un ordine di motivi che riassumerò rapidamente. In primo luogo, questa operazione apre la via al rafforzamento del predominio dei grandi gruppi monopolistici internazionali ed interni […]. Di qui il significato che per noi hanno questo trattato e questa politica e questo non solo dal punto di vista della struttura economica e dell’avvenire del nostro paese, ma da quello stesso della causa democratica in Italia. Si tratta di forze che sono state riconosciute come nemiche della democrazia italiana, e non solo da noi, che sono state individuate come la causa dell’arretratezza del nostro paese, l’origine di quegli squilibri e di quelle diseguaglianze di cui ancora poco tempo fa sottolineavamo la gravità […]. Si tratta infine delle forze che sono state all’origine della tragedia fascista, della guerra che abbiamo sofferto e della involuzione di questi anni di regime clericale. Perciò noi vediamo nella linea a favore dei grandi gruppi monopolistici, che emerge da questo irattato, una linea politica generale che va contro il corso indicato dalla nostra Costituzione […]. In secondo luogo noi voteremo contro questi trattati perché l’integrazione che in essi viene proposta nasce sul ceppo della politica atlantica […] una politica che non è di unità dell’Europa, bensì di blocco e di rottura dell’Europa. […] Inoltre, votiamo contro questi trattati per la posizione che abbiamo assunto a favore del movimento di liberazione del mondo coloniale. Non ho bisogno di ripetere cose largamente dette e ripetute da questi banchi e ricordate testé anche dall’onorevole Basso. Questi trattati accendono un’ipoteca sull’economia e sui territori nord africani, ipoteca che i popoli nord africani respingono e considerano lesiva della loro sovranità. Da questa ipoteca nessun guadagno viene per noi, bensì un danno per la nostra agricoltura e una corresponsahilità nostra. Infine, votiamo contro questi trattati per il posto che da essi vien fatto al grande capitale tedesco, al riarmo e al ritorno del militarismo tedesco. […]
Si è detto che il nostro sarebbe un voto di opposizione sterile. Se ciò vuol dire che non esistono in questa Camera in questo momento rapporti di forza tali da permetterci di respingere i trattati, è vero, è così; ma noi non abbiamo mai valutato il peso del nostro voto dal successo immediato che esso poteva realizzare nell’attimo della votazione e non lo abbiamo mai valutato solo dal riflesso che aveva nella nostra Assemblea. Abbiamo guardato sempre alle prospettive future, al paese, e, insieme, alle forze di cui parlavamo qui dentro. Votando contro questi trattati intendiamo indicare alla classe operaia una prospettiva di autonomia e di lotta, intendiamo chiamare la classe operaia a battersi assieme a tutte le forze sane minacciate da questi trattati, per dare un corso diverso alla politica internazionale, per raggiungere la pace, la distensione e il rinnovamento democratico dell’Italia».
Sappiamo come questo approccio tradizionalmente negativo verso le istituzioni europee sia cambiato solo negli anni '70 con l'idea berlingueriana di poter “democratizzare” le istituzioni europee. Ci siamo già dilungati su questi aspetti. Vediamo quindi la situazione più recente. Dopo essere stato tra i paesi fondatori della Comunità Economica Europea (CEE), l'Italia è tra i protagonisti della nascita dell'Unione Europea (UE) nel 1992, della Banca Centrale Europea (BCE) nel 1998, e tra i primi aderenti della moneta unica dell'euro.
Questo processo ha favorito un'ulteriore perdita di sovranità nazionale, spostando i processi decisionali politico-economici fondamentali in luoghi diversi da Roma. Luoghi controllati da istituzioni non controllate direttamente dal popolo. Tracciamone un breve profilo273:
«l'attuale Unione Europea presenta un carattere evidentemente imperialista. Nata formalmente (dopo un quarantennio di preparazione e cooperazione in un'ottica antisovietica) con il Trattato di Maastricht (1992), sottoscritto da 12 Stati, il capitale transnazionale europeo dà avvio a quel processo di unità e di nuova accumulazione capitalistica indispensabile per porsi come nuovo contendente nel quadro della lotta mondiale per i mercati. Storicamente l’intero processo di costruzione dell’UE è stato diretto oligarchicamente dall’élite economica e politica degli Stati europei, senza il coinvolgimento popolare dei cittadini europei. Le decisioni importanti sono tutte calate dall’alto, in dispregio perfino della forma borghese di democrazia. L’UE ha portato Stati, governi e parlamenti a genuflettersi al dominio tedesco e alla BCE; i lavoratori sono stati riportati indietro in un tempo ottocentesco di massimo sfruttamento, i salari ridotti a retribuzioni da fame, i diritti cancellati, lo stato sociale distrutto, i comparti e i servizi pubblici privatizzati. Il carattere antidemocratico dell’UE si nota anche nell’inutilità dell’unico organo elettivo (il parlamento europeo) che non ha il potere esclusivo di promulgare le leggi, mentre il vero potere lo detengono la Commissione e il Consiglio d’Europa (organi non eletti dai popoli ed espressione diretta degli interessi del grande capitale europeo). Un’Ue basata sull’esigenza del capitale transnazionale non può che essere antidemocratica e antipopolare e, nel processo unitario monetarista, subordina i paesi periferici al potere economico e politico tedesco. L’intera Ue si sviluppa intorno alla locomotiva tedesca per dare potere politico-economico alla borghesia transnazionale europea (all’interno della quale la struttura produttiva tedesca ha un ruolo prioritario). Questo ha portato ad una forma di colonialismo interno in cui paesi come l’Italia che erano fortemente industrializzati diventano importatori (di prodotti tedeschi). L’UE nasce col mito secondo cui l’unione dei paesi europei sotto la bandiera della BCE porterebbe alla fine delle guerre: la storia e la realtà sfatano questo mito, mostrando il vero volto imperialista e guerrafondaio dell’UE. Coloro che vogliono paragonare dei fantomatici Stati Uniti d’Europa agli USA dimenticano che mentre l’UE nasce come unità di interessi della borghesia, fondata sul liberismo e sugli interessi delle banche, gli Usa nacquero dall’alleanza di stati colonizzati dall’Inghilterra che lottarono insieme fino ad ottenere l’indipendenza. Si tratta di una differenza sostanziale. Il motore che ha avviato il processo unitario europeo è invece imperialista: il capitale transnazionale europeo ha l’esigenza oggettiva di unirsi per competere con gli altri poli imperialisti internazionali e con gli emergenti paesi del BRICS per la conquista dei mercati mondiali. È da questa esigenza capitalistica oggettiva che, in Europa, prende rapidamente avvio il processo unitario, al quale restano completamente esterni gli stati e i popoli. L’Unione Europea prende la forma di una dittatura politico-economica del Capitale che non tollera mediazioni sociali o freni politici. Il carattere iperliberista dell’Ue è in netto contrasto con molte delle Costituzioni degli stati che la compongono, a partire da quella italiana. L’adesione all’UE significa sostanzialmente bypassare le Costituzioni nazionali e ridurle a carta straccia. Nel corso degli anni l’UE si allarga inglobando sempre più paesi (e spostandosi sempre più ad Est). La promessa fatta dai paesi dominanti a quelli più deboli era che entrando nell’UE avrebbero raggiunto pace e prosperità, mentre la realtà è la sofferenza sociale e la preparazione alle guerre imperialiste. Infatti i paesi che hanno voluto entrare nell’Ue hanno dovuto accettare le condizioni di Maastricht e hanno avuto l’ordine di entrare nella NATO. La promessa era di arricchirsi come la Germania, ma nel’UE solo la Germania può avere quel ruolo proprio in funzione delle dinamiche capitaliste/imperialiste dell’Ue secondo cui le fortune della Germania (concentrazione monopolistica della ricchezza dell’Europa) sono basate sullo sfruttamento dei paesi periferici. La costruzione dell’UE ha rappresentato una progressiva perdita di diritti per i popoli, l’aumento delle diseguaglianze e dei problemi ambientali e la dipendenza dei paesi più deboli da quelli più forti. Man mano che entrano nuovi paesi, invece che accedere ad un migliore sistema di welfare, diventano fonte di manodopera a basso costo e senza diritti usata come elemento di ricatto nei confronti dei lavoratori di altri paesi che, per mantenersi competitivi, devono accettare riduzioni dei propri diritti mettendo in scena una guerra fra poveri di cui beneficia la grande borghesia».
Si può constatare come nel periodo della Seconda Repubblica la principale forza politica ad essere stata critica verso l'UE sia stata il Partito della Rifondazione Comunista, che vota contro la ratifica del Trattato di Maastricht. Il PRC di Bertinotti contribuisce però a ridare linfa vitale alle concezioni eurocomuniste, partecipando nel 2004, in una fase storica in cui costituisce una delle forze politiche comuniste più floride nel panorama europeo, alla fondazione del Partito della Sinistra Europea, che si presenta come un'area organizzata interna al gruppo parlamentare europeo confederale della Sinistra Unitaria Europea – Sinistra Verde Nordica (GUE-NGL), con la caratterizzazione programmatica di puntare ad una riforma democratica dell'UE. Leggiamo da un articolo di La Repubblica274 quali fossero le dichiarazioni pubbliche dell'epoca per capire l'indirizzo culturale dell'operazione:
«“Comunisti e non comunisti, socialisti e democratici, persone non definibili secondo la tradizione”. Fausto Bertinotti fotografa così il nuovo partito della Sinistra europea, una forza politica che scavalca i confini nazionali, che si globalizza contro la globalizzazione e che però deve fare i conti con il futuro. Sarà soltanto una formula per sublimare l'aggettivo “comunista”, per prepararsi all'addio di quel termine legato al Novecento, come insinuano i nemici della svolta, interni ed esterni? L'approdo è “un comunismo diverso e nuovo, che guarda avanti”, rispondono i sostenitori del progetto. E il segretario di Prc dice: “Non vogliamo essere una forza di nicchia o una forza marginale custode di una ortodossia impotente”. Alcuni la chiamano la “Bolognina” di Rifondazione.
Ma il congresso fondativo di Sinistra europea (Se) arriva meno a sorpresa, è il frutto di un lavoro di rivisitazione dei valori “comunisti” caratterizzato da molte tappe intermedie e culminato ieri (e oggi) nella nascita della nuova forza politica, sedici partiti comunisti e non, uniti dal medesimo statuto e dallo stesso gruppo dirigente. Pace, condanna del neoliberismo, sostegno al popolo no global sono le linee-guida. E bisogna lasciarsi qualcosa alle spalle. C'è stato anche, nel corso dell'“istruttoria” di questi mesi, il solco scavato tra l'attualità e la tradizione stalinista. Ieri Bertinotti ha chiuso definitivamente il conto: “Questa nuova formazione parte dal rifiuto dello stalinismo, una rottura chiara e inequivocabile con una storia grande e terribile che ha impedito a tanta parte dell' umanità di viverla come una storia di liberazione”».
Si tratta di un avanzato processo di revisionismo che non ha saputo trarre la minima lezione dalla storia del secondo '900, introiettando forme di socialismo utopistico e di vero e proprio anticomunismo della peggior propaganda borghese. Di antimperialismo non c'è traccia in questo discorso, e non è un caso, dato che anche questa categoria è dichiarata superata dallo stesso Bertinotti. L'ambiguità di fondo del PRC, influenzato dalla cultura “europeista”, è emersa nel 1998 nel voto a favore della moneta unica europea (l'euro), giudicato un passo avanti verso la costruzione di un'Europa politica e sociale, e non soltanto economica, finanziaria e commerciale. Il mancato riconoscimento del carattere imperialistico dell'UE è stato tra le cause negli anni a venire della crisi progressiva della proposta politica del PRC e dei partiti della Sinistra Europea. L'esempio più clamoroso a riguardo è quello della Grecia, dove nel gennaio 2015 si forma un governo guidato dal partito Syriza (membro della Sinistra Europea) di Alexis Tsipras. Tsipras si scontra, in una situazione di drammatica crisi economica e sociale del paese, nel rifiuto delle istituzioni europee di accettare le proposte di riforma e contrattazione sostenute dai greci. In un paese sommerso di debiti e a rischio bancarotta, il governo greco decide nell'estate del 2015 di lanciare un referendum consultivo per sottoporre al popolo il piano “lacrime e sangue” proposto dai creditori internazionali per parte della Commissione europea, della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale (la “trojka”) in cambio di un nuovo programma di supporto finanziario. Nonostante il popolo rifiuti a gran maggioranza (oltre il 60%) i vincoli imposti dalla finanza internazionale e dai suoi rappresentanti istituzionali, il governo guidato da Syriza, nominalmente partito anticapitalista e marxista ma declinato in un'inflessione eurocomunista e socialista democratico (assai lontano quindi dal marxismo-leninismo), sceglie di sottostare ai diktat imposti dalla “trojka” e di governare l'esistente restando all'interno delle istituzioni imperialiste, con una sequela successiva di inevitabili dolorosi compromessi che ricordano quelli sostenuti dal PCI negli anni dal 1976 al 1979. Questa non è altro che l'attestazione più evidente dell'ennesimo fallimento dell'eurocomunismo e della necessità di riportare al centro dell'analisi e della proposta politica il marxismo-leninismo, arrivando alla conclusione che l'unica soluzione progressiva possibile passi dall'uscita unilaterale dall'UE e da ogni altra sovrastruttura imperialista (BCE, FMI, NATO). La riacquisizione della sovranità nazionale va posta in dialettica correlazione con l'acquisizione della sovranità popolare, ossia con l'intensificazione di un processo rivoluzionario interno teso a sovvertire i rapporti di produzione capitalistici, risparmiando le classi sociali più deboli dall'inevitabile contraccolpo economico che scaturirebbe da un repentino cambiamento strutturale di sistema; occorre lavorare al contempo a costruire un circuito alternativo di alleanze economiche e commerciali per tutelarsi dai rischi di embargo e isolamento internazionale.
271. S. Pertini, L'Europa e il Piano Marshall, Avanti!, 30 giugno 1949.
272. P. Togliatti, Un europeismo democratico, Rinascita, anno XX, n° 6, 9 febbraio 1963.
273. A. Pascale & F. Di Schiena, Introduzione teorica a Marxismo, Socialismo e Comunismo, cit., cap. La struttura intrinsecamente reazionaria dell'unione europea.
274. G. De Marchis, Bertinotti: antistalinismo unica via, La Repubblica, 9 maggio 2004.

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