3.7. LE ACCUSE DI ARBITRIO E LA DIFESA DI LENIN
Nell'ottobre del 1918, durante un periodo di relativa tranquillità, Dzeržinskij riuscì ad andare in incognito in Svizzera a trovare la propria famiglia. Al suo ritorno trovò i suoi compagni avviliti e abbattuti:
«-Che cos'è successo qui? Qualcosa va male nel lavoro?
-No, Feliks Edmundovič, va tutto bene nel lavoro. Stiamo concludendo il procedimento relativo al caso Lockhart. Adesso abbiamo stabilito con esattezza che la sua organizzazione lavorava in tre direzioni. La prima, per disorganizzare l'Armata Rossa e corrompere i tiratori lettoni che montano la guardia al Cremlino; questa attività era diretta dallo stesso Lockhart e dall'ufficiale dei servizi segreti inglesi Sidney Reilly. La seconda, per distruggere ponti, incendiare magazzini governativi e fare altre cose simili; di questo doveva occuparsi l'ufficiale francese Vertamon. La terza, per fare spionaggio; l'organizzazione di questa attività era stata affidata all'agente di commercio americano Kalomatiano. Lei sa che quest'ultimo aveva creato un ampio apparato di intelligence all'interno delle nostre istituzioni militari, ma sembra che siamo riusciti a catturare tutti i suoi agenti. […]
-Allora, perché siete abbattuti?
-Feliks Edmundovič, dopo la sua partenza, sulla stampa è iniziata una campagna contro la VCK – rispose Ksenofontov.
-E voi forse non siete abituati alle calunnie nei confronti della VCK? - lo interruppe Dzeržinskij.
-Quando ci calunnia la borghesia, a me, mi perdoni la volgarità, non importa un cavolo. Non diamo neppure importanza ai giornali menscevichi, ma su di noi sono piombati i nostri stessi compagni, i comunisti, sulla nostra stampa sovietica e di partito. Su questo non si può transigere – intervenne Fomin. - I ragazzi devono sapere se il nostro lavoro aiuta o danneggia il potere sovietico.
-La faccenda è più seria di quanto possa sembrare a prima vista – così dicendo Peters mise di fronte a Dzeržinskij un pacco di documenti. - Queste sono domande dei nostri funzionari per essere esonerati dal lavoro.
[…] ora – disse Dzeržinskij con durezza – ascoltatemi: la Commissione Straordinaria di tutta la Russia è stata creata su iniziativa del Comitato Centrale del nostro partito e del compagno Lenin. Sono loro che decideranno se è necessaria o no. Io sono del tutto certo che non lasceranno che i cekisti vengano offesi. E queste – con gesto di dispregio allontanò le domande di concedo – rimandatele ai mittenti. Mi vergogno di loro!
Il 7 novembre 1918, nella piccola sala del club della VCK in via Lubjanka 13 […] i cekisti si erano riuniti in un convegno-concerto, per festeggiare il primo anniversario della Grande Rivoluzione Socialista di Ottobre. Dzeržinskij salì sulla tribuna. Parlò delle conquiste fondamentali del potere sovietico durante il primo anno di vita, della partecipazione dei cekisti alla lotta alla controrivoluzione, dei compiti futuri... Non aveva ancora finito il suo intervento, quando Peters, alla presidenza, si alzò e annunciò:
-Compagni! Si trova tra noi Vladimir Il’ič Lenin.
Passarono diversi minuti e l'ovazione con cui i cekisti avevano ricevuto Lenin non si era ancora conclusa. […] Il rumore andò lentamente scemando.
-No, Feliks Edmundovič, va tutto bene nel lavoro. Stiamo concludendo il procedimento relativo al caso Lockhart. Adesso abbiamo stabilito con esattezza che la sua organizzazione lavorava in tre direzioni. La prima, per disorganizzare l'Armata Rossa e corrompere i tiratori lettoni che montano la guardia al Cremlino; questa attività era diretta dallo stesso Lockhart e dall'ufficiale dei servizi segreti inglesi Sidney Reilly. La seconda, per distruggere ponti, incendiare magazzini governativi e fare altre cose simili; di questo doveva occuparsi l'ufficiale francese Vertamon. La terza, per fare spionaggio; l'organizzazione di questa attività era stata affidata all'agente di commercio americano Kalomatiano. Lei sa che quest'ultimo aveva creato un ampio apparato di intelligence all'interno delle nostre istituzioni militari, ma sembra che siamo riusciti a catturare tutti i suoi agenti. […]
-Allora, perché siete abbattuti?
-Feliks Edmundovič, dopo la sua partenza, sulla stampa è iniziata una campagna contro la VCK – rispose Ksenofontov.
-E voi forse non siete abituati alle calunnie nei confronti della VCK? - lo interruppe Dzeržinskij.
-Quando ci calunnia la borghesia, a me, mi perdoni la volgarità, non importa un cavolo. Non diamo neppure importanza ai giornali menscevichi, ma su di noi sono piombati i nostri stessi compagni, i comunisti, sulla nostra stampa sovietica e di partito. Su questo non si può transigere – intervenne Fomin. - I ragazzi devono sapere se il nostro lavoro aiuta o danneggia il potere sovietico.
-La faccenda è più seria di quanto possa sembrare a prima vista – così dicendo Peters mise di fronte a Dzeržinskij un pacco di documenti. - Queste sono domande dei nostri funzionari per essere esonerati dal lavoro.
[…] ora – disse Dzeržinskij con durezza – ascoltatemi: la Commissione Straordinaria di tutta la Russia è stata creata su iniziativa del Comitato Centrale del nostro partito e del compagno Lenin. Sono loro che decideranno se è necessaria o no. Io sono del tutto certo che non lasceranno che i cekisti vengano offesi. E queste – con gesto di dispregio allontanò le domande di concedo – rimandatele ai mittenti. Mi vergogno di loro!
Il 7 novembre 1918, nella piccola sala del club della VCK in via Lubjanka 13 […] i cekisti si erano riuniti in un convegno-concerto, per festeggiare il primo anniversario della Grande Rivoluzione Socialista di Ottobre. Dzeržinskij salì sulla tribuna. Parlò delle conquiste fondamentali del potere sovietico durante il primo anno di vita, della partecipazione dei cekisti alla lotta alla controrivoluzione, dei compiti futuri... Non aveva ancora finito il suo intervento, quando Peters, alla presidenza, si alzò e annunciò:
-Compagni! Si trova tra noi Vladimir Il’ič Lenin.
Passarono diversi minuti e l'ovazione con cui i cekisti avevano ricevuto Lenin non si era ancora conclusa. […] Il rumore andò lentamente scemando.
-Compagni – disse Vladimir Il’ič – festeggiando il primo anniversario della nostra rivoluzione, vorrei soffermarmi sul duro lavoro delle commissioni straordinarie. Non c'è da stupirsi nel fatto che si sentano critiche al lavoro delle commissioni straordinarie da parte non solo dei nemici, ma anche degli amici... […] Quello che mi stupisce nei lamenti che si levano per gli errori della VCK, è l'incapacità di porre il problema su ampia scala. Si prendono errori particolari delle commissioni straordinarie, li si ripete e si piange su di essi. Abbiamo detto […] che si impara dagli errori. Come in qualsiasi campo, abbiamo detto che anche in questo l'autocritica ci aiuterà. Il problema non sta nella composizione dei funzionari delle commissioni straordinarie, ma nel carattere della loro attività, in cui si richiede decisione, rapidità e, cosa fondamentale, fedeltà. […] Quando analizzo l'attività delle commissioni straordinarie e la confronto con le lamentele, mi dico: sono pettegolezzi qualunquisti, non valgono nulla... L'importante per noi è che le commissioni straordinarie eseguano direttamente i compiti della dittatura del proletariato, e in questo senso il loro ruolo è di incalcolabile importanza. Non c'è altra via per la liberazione delle masse che non sia la repressione, con la forza, degli sfruttatori. A questo si dedicano le commissioni straordinarie e questo è il loro merito davanti al proletariato.
I cekisti ascoltavano Il’ič e vedevano il loro lavoro quotidiano sotto una nuova luce. “Eseguano direttamente i compiti della dittatura del proletariato... Non c'è altra via... Il loro merito davanti al proletariato...”: quelle parole di Lenin si fissarono per sempre nella loro memoria, calarono nel profondo dell'anima. Jan Janovic Bujkis ricordò come, a rischio della propria vita, aveva aiutato a far luce sul complotto di Lockhart, e Friedman si stupiva che fosse stato possibile, soltanto con l'aiuto di Boris Poljakov e di un mitragliere, disarmare il 7 luglio un distaccamento di socialisti-rivoluzionari di sinistra, composto da cento uomini, arrivato alla stazione di Chimki. E in risposta sentì: “Decisione, rapidità e, cosa fondamentale, fedeltà”. Il cuore di ogni cekista si riempì di sano orgoglio. Ci fu un netto cambiamento in tutti coloro che avevano scritto le tristi richieste di congedo dalla VCK. Ora avevano vergogna a guardare i compagni negli occhi. Lenin concluse. Una nuova ondata di applausi scosse la sala. Occhi pieni di gioia, visi rasserenati. Vladimir Il’ič aveva tolto un pesante fardello dalle spalle dei cekisti. Lenin venne circondato da un gruppo di compagni entusiasti che non si acquietarono finché egli non promise di fare loro nuovamente visita il giorno successivo e di rispondere a tutte le domande.
-Non so, Vladimir Il’ič, come ringraziarla – diceva Dzeržinskij mentre accompagnava Lenin all'uscita».47
-Non so, Vladimir Il’ič, come ringraziarla – diceva Dzeržinskij mentre accompagnava Lenin all'uscita».47
47. Ibidem.