3.2. IL MITO DI EMILIANO ZAPATA
«Uomini del Sud! È meglio morire in piedi che vivere in ginocchio».Emiliano Zapata Salazar (Anenecuilco, fraz. di Ayala, Stato di Morelos, 8 agosto 1879 – Chinameca, 10 aprile 1919) è stato un capo rivoluzionario, politico e guerrigliero messicano. Il Messico di inizio '900 è strutturato su una rigida divisione sociale: i ricchi, proprietari terrieri e i poveri indigeni, senza terra, ma con un forte spirito di solidarietà. Oltre il 90% dei capifamiglia non ha terra. I terreni comuni, ejido, sono costantemente minacciati dai grandi latifondisti, proprietari delle hacienda. L'esordio politico di Zapata risale al 1909 quando, eletto sindaco di Anenecuilco, appoggia il candidato dell'opposizione, Patricio Leyva, a governatore. La sconfitta del candidato appoggiato da Zapata provoca ad Anenecuilco dure rappresaglie e nuove perdite di terre. Verso la metà del 1910, dopo vari tentativi di risolvere i problemi della ridistribuzione dei terreni per via legale, Zapata e i suoi cominciano a occupare e a distribuire terre. Verso la fine del 1910, Zapata inizia la lotta armata, diventando capo indiscusso della rivoluzione del Sud.
(Emiliano Zapata)12
«Ora posso morire. Questo era ciò che desideravo: che si sappia per che cosa lottiamo, che si conosca la causa che vogliamo difendere, che vengano a vederci, ci studino e poi raccontino la verità: siamo uomini d'onore e non banditi».
(Emiliano Zapata)13
«Che le mani callose dei campi e le mani callose dell'officina si stringano in saluto fraterno di concordia; perché in realtà, uniti i lavoratori, saremo invincibili, siamo la forza e siamo il diritto; siamo il domani! Salute, fratelli operai, salute, il vostro amico contadino vi aspetta!» (Emiliano Zapata, 15 marzo 1918)
«Bisogna ricordare come i reazionari e controrivoluzionari definivano Emiliano Zapata e i contadini insorti di Morelos. I porfiristi dicevano che i contadini zapatisti erano barbari che utilizzavano metodi guerriglieri e terroristi, bisognava eliminarli. Zapata fu bollato come comunista». (Julio Cota)14
Gli zapatisti sono inafferrabili: applicando la tecnica della guerriglia, colpiscono i distaccamenti militari per poi scomparire nel nulla. I campesinos, suoi seguaci, per anni lo affiancano nella richiesta di giustizia, lottando per la libertà della terra, il diritto di sciopero e il riconoscimento dei sindacati. Nel paese delle disuguaglianze e delle menzogne, dove lo strapotere dei latifondisti sostenitori di Porfirio Dìaz calpesta diritti e consuma vite umane, Emiliano Zapata lancia il grido «Reforma, Libertad, Justicia y Ley» (riforma, libertà, giustizia e diritto), mettendosi a capo di un ampio esercito fatto di contadini, indiani, meticci, emarginati di ogni colore.
Nel dicembre 1914, dopo la rottura con Venustiano Carranza, che rappresenta la borghesia agraria del nord, le truppe contadine di Villa e Zapata entrano trionfanti a Città del Messico inalberando i vessilli della Vergine di Guadalupe, patrona dei popoli indigeni. Dopo anni di combattimenti e secoli di soprusi, i contadini in sandali del Chihuaha, i meticci delle terre del Morelos, gli indigeni degli aspri altipiani della Sierra madre e i lavoratori di lingua nahuatl controllano la capitale. Zapata rifiuta di sedersi sulla poltrona presidenziale: «non combatto per questo. Combatto per le terre, perché le restituiscano».
Torna nel Morelos, dove nel 1915, giovani intellettuali, studenti provenienti da Città del Messico e gli zapatisti, distribuiscono terre e promulgano leggi per restituire il potere ai pueblos. Zapata cerca anche di riorganizzare su basi cooperative la locale industria dello zucchero. È un'esperienza di democrazia diretta, la comune di Morelos, importante anche perché per la prima volta si assiste all'ingresso delle comunità indigene nella politica messicana. È l'apice della rivoluzione zapatista. Le strepitose vittorie di Obregón su Villa capovolgono presto la situazione, la rivoluzione contadina entra in una fase di progressivo declino da cui, salvo per brevi momenti, non si riprende più. Quando sulla sua testa viene messa una taglia di circa centomila pesos, non sono pochi quelli che lo vogliono morto, ma sono soprattutto ricchi e potenti: gli opportunisti dell’ultimo momento e i voltagabbana della causa contadina. Con la costituzione del Querétaro del 1917, il lungo ciclo rivoluzionario iniziato alla fine del 1910 può dirsi concluso. Gli strascichi di quella sanguinosa lotta però continuano, protraendosi fino al 10 aprile 1919: fino agli ultimi giorni di vita di Emiliano Zapata, l’invincibile, “El caudillo del sur”, come viene soprannominato in quegli anni di pena e speranza.
Di fronte alla tenace resistenza dei contadini del Morelos, i proprietari terrieri organizzano un’imboscata a Zapata. Secondo quanto riportato dallo storico americano John Womack, alla fine del marzo 1919, questi spedisce una lettera al colonnello Jesùs Guajardo, membro incarcerato dell’esercito controrivoluzionario, in cui lo invita ad unirsi alla sua causa e a quella dei contadini. La lettera finisce però nelle mani del generale Gonzalez, che decide di sfruttare l’occasione a suo vantaggio. Convincere cioè Guajardo al doppio gioco: attirare l’imprendibile Zapata, accattivarsi la sua fiducia e ucciderlo. Così è andata. Per convincere tutte e tutti della sua morte, il cadavere di Emiliano Zapata viene trasportato a dorso di un mulo fino a Cuautla e lasciato per un giorno su una rozza impalcatura di legno.
Ciò non sembra bastare: qualche giorno dopo, per convincere gli increduli restanti, la sua testa viene fatta girare per i villaggi del Morelos, nei luoghi dove aveva redistribuito terre e riconsegnato dignità. Nei suoi versi finali, un vecchio corrido messicano recita così: «Ruscelletto impetuoso, che ti disse quel garofano? Dice che il comandante non è morto, che Zapata tornerà». In molti, quasi grottescamente, per lungo tempo non si convincono della sua morte. Alcuni affermano sia scappato via da Morelos in compagnia di mercanti arabi. Altri, come in preda ad allucinazioni, giurano di averlo visto cavalcare di notte per le vie della sua città natale, Anenecuilco, pronto a restituire quanto derubato. Altri ancora, di questi tempi, quando ascoltano le parole di quel suo simile delle terre del Chiapas, colla pipa e il passamontagna, lo sognano e lo rivedono felici.15
12. Citato in H. Strode, Timeless Mexico, Harcourt, Brace and Company, New York 1944, p. 259.
13. Citato in M. Mourre, Dizionario mondiale di Storia, Rizzoli Larousse, Milano, 2003, p. 1364.
14. Questa e la precedente citazione sono tratte da: Partido Comunista de Mexico, Zapata vive! In basso e a sinistra, Comunistas-mexicanos.org-CCDP, 28 aprile 2010.
15. Fonti usate: V. López González, Los Compañeros de Zapata, Ediciones del Gobierno del Estado Libre y Soberano de Morelos, 1980; J. Womack Jr., Zapata y la Revolución Mexicana, Siglo XXI Editores S.A., 1969; A. Rolls, Emiliano Zapata: a biography, Greenwood 2011; Partido Comunista de Mexico, Zapata vive! In basso e a sinistra, cit.; A. Bonvini, Emiliano Zapata: il rivoluzionario che fu ucciso e che continua a vivere, Ilcorsaro.info, 10 aprile 2013; Enciclopedia Treccani, Emiliano Zapata, Treccani.it.