3.11. LE RAGIONI DELLA MESSA AL BANDO DELLA SEGREGAZIONE RAZZIALE
Proviamo ora a vedere l’URSS da un’altra prospettiva tracciando un bilancio di quanto emerso finora: in quel paese vige un’uguaglianza totale tra le varie etnie ed ogni forma di discriminazione razziale e sessuale è severamente punita e proibita.
Nei tanto decantati “democratici” USA, invece, fino agli anni ‘30 del ‘900 si linciano pubblicamente (con tanto di annunci preventivi sui giornali!) gli afroamericani, che costituiscono oltre il 10% della popolazione. In tali occasioni folle festose di bianchi trascinano in pubblica piazza un afroamericano accusato (nel 90% dei casi senza valide fondamenta) di aver “insinuato” una giovane donna bianca e lo impiccano selvaggiamente e senza processo, non prima di aver infierito sul malcapitato con violenze e torture di ogni tipo, arrivando in certi casi anche a dargli fuoco (come nel famoso caso di Jesse Washington). Questi episodi non sono che la punta dell’iceberg di un paese profondamente razzista e violento: seppur nel 1865 sia formalmente abolita la schiavitù degli afroamericani, la loro condizione paradossalmente peggiora negli anni successivi, specie negli stati del Sud degli USA, dove vengono messe in atto riforme legislative di segregazione razziale (i Black Codes e le “Leggi di Jim Crow”), rimaste in vigore fino agli anni ‘60 del Novecento. Nel frattempo l’URSS manda perfino una donna nello spazio. Per decenni gli afroamericani non hanno avuto neanche coscienza della propria condizione di sfruttati e hanno vissuto in uno stato di subalternità anzitutto mentale, quasi introiettando la “colpa” di essere neri. In tali condizioni la stessa esistenza dell’URSS e dei comunisti ha avuto un ruolo decisivo nel sostenere e incanalare la lotta degli afroamericani per la fine della schiavitù sostanziale e della segregazione razziale subita per decenni. Una donna nera, delegata al Congresso internazionale delle donne contro la guerra e il fascismo, tenutosi a Parigi nel 1934, è straordinariamente impressionata dai rapporti di uguaglianza e fraternità, nonostante le differenze di lingua e di razza, che si instaurano tra le partecipanti a questa iniziativa promossa dai comunisti: «Era il paradiso sulla terra». Coloro che giungono a Mosca – osserva uno storico statunitense contemporaneo – «sperimentano un senso di libertà inaudito nel sud». Il contrasto con il regime di white supremacy presente negli USA è tale che non sono pochi gli afroamericani che guardano a Stalin come al «nuovo Lincoln» che li libererà dall’oppressione. Non si tratta solo di un simbolo lontano, ma di un sostegno attivo, organizzato dal CPUSA (Partito Comunista degli Stati Uniti), sotto le direttive del Comintern. Il CPUSA negli anni ‘30, quelli della depressione economica, è l’unica organizzazione dominata dai bianchi che lotta contro la discriminazione razziale.
In anni in cui il Ku Klux Klan è largamente egemone nel paese (organizzando perfino una marcia di 35 mila persone su Washington), il CPUSA:
-realizza un giornale diretto appositamente ai neri: Negro Worker;
-coinvolge gli afroamericani nelle lotte contro gli sfratti;
-nel 1932 candida alla vice-presidenza James Ford, operaio di colore del Sud;
-rilancia il movimento panafricano;
-conduce durissime lotte giudiziarie contro una serie nutrita di processi sommari come quello subito dai Scottsboro Boys;
-promuove la sindacalizzazione di operai neri nel CIO (Congress of Industrial Organizations).
Nei tanto decantati “democratici” USA, invece, fino agli anni ‘30 del ‘900 si linciano pubblicamente (con tanto di annunci preventivi sui giornali!) gli afroamericani, che costituiscono oltre il 10% della popolazione. In tali occasioni folle festose di bianchi trascinano in pubblica piazza un afroamericano accusato (nel 90% dei casi senza valide fondamenta) di aver “insinuato” una giovane donna bianca e lo impiccano selvaggiamente e senza processo, non prima di aver infierito sul malcapitato con violenze e torture di ogni tipo, arrivando in certi casi anche a dargli fuoco (come nel famoso caso di Jesse Washington). Questi episodi non sono che la punta dell’iceberg di un paese profondamente razzista e violento: seppur nel 1865 sia formalmente abolita la schiavitù degli afroamericani, la loro condizione paradossalmente peggiora negli anni successivi, specie negli stati del Sud degli USA, dove vengono messe in atto riforme legislative di segregazione razziale (i Black Codes e le “Leggi di Jim Crow”), rimaste in vigore fino agli anni ‘60 del Novecento. Nel frattempo l’URSS manda perfino una donna nello spazio. Per decenni gli afroamericani non hanno avuto neanche coscienza della propria condizione di sfruttati e hanno vissuto in uno stato di subalternità anzitutto mentale, quasi introiettando la “colpa” di essere neri. In tali condizioni la stessa esistenza dell’URSS e dei comunisti ha avuto un ruolo decisivo nel sostenere e incanalare la lotta degli afroamericani per la fine della schiavitù sostanziale e della segregazione razziale subita per decenni. Una donna nera, delegata al Congresso internazionale delle donne contro la guerra e il fascismo, tenutosi a Parigi nel 1934, è straordinariamente impressionata dai rapporti di uguaglianza e fraternità, nonostante le differenze di lingua e di razza, che si instaurano tra le partecipanti a questa iniziativa promossa dai comunisti: «Era il paradiso sulla terra». Coloro che giungono a Mosca – osserva uno storico statunitense contemporaneo – «sperimentano un senso di libertà inaudito nel sud». Il contrasto con il regime di white supremacy presente negli USA è tale che non sono pochi gli afroamericani che guardano a Stalin come al «nuovo Lincoln» che li libererà dall’oppressione. Non si tratta solo di un simbolo lontano, ma di un sostegno attivo, organizzato dal CPUSA (Partito Comunista degli Stati Uniti), sotto le direttive del Comintern. Il CPUSA negli anni ‘30, quelli della depressione economica, è l’unica organizzazione dominata dai bianchi che lotta contro la discriminazione razziale.
In anni in cui il Ku Klux Klan è largamente egemone nel paese (organizzando perfino una marcia di 35 mila persone su Washington), il CPUSA:
-realizza un giornale diretto appositamente ai neri: Negro Worker;
-coinvolge gli afroamericani nelle lotte contro gli sfratti;
-nel 1932 candida alla vice-presidenza James Ford, operaio di colore del Sud;
-rilancia il movimento panafricano;
-conduce durissime lotte giudiziarie contro una serie nutrita di processi sommari come quello subito dai Scottsboro Boys;
-promuove la sindacalizzazione di operai neri nel CIO (Congress of Industrial Organizations).
Il CPUSA, arrivato ad avere 80 mila iscritti (alcune migliaia sono afroamericani) negli anni della seconda guerra mondiale, verràaffossato dal maccartismo e dal Communist Control Act (1954), con cui il Congresso impone di fatto lo scioglimento del partito. Nelle ricostruzioni del movimento per i diritti civili degli USA ci si dimentica spesso del ruolo del CPUSA, e non a caso si tende a far iniziare la storia del movimento di emancipazione negli anni ‘50, perché risulta inaccettabile per l’intellighenzia statunitense ammettere che questo fosse già attivo negli anni ‘30, sotto la guida dei comunisti. Così come ci si dimentica sempre che la lotta promossa da Martin Luther King e Malcolm X negli anni ‘50 e ‘60, pur essendo condizione necessaria per l’emancipazione afroamericana non sarebbe stata probabilmente sufficiente senza l’URSS e il clima di Guerra Fredda.
Già nella relazione To Secure these rights del 1947, commissionata da Truman, è scritto che gli «USA non possono aspirare a leadership mondo libero nella lotta al comunismo senza garantire diritti ad afroamericani». Nel dicembre del 1952 il ministro statunitense della giustizia invia alla Corte Suprema, impegnata a discutere la questione dell’integrazione dei neri nelle scuole pubbliche, una lettera eloquente: «La discriminazione razziale porta acqua alla propaganda comunista e suscita dubbi anche tra le nazioni amiche sull’intensità della nostra devozione alla fede democratica». Nonostante tutti questi “inviti” si deve aspettare il 1964-65 perché vengano abolite le leggi dal sapore più feudale. La vulgata vuole che ciò sia stato possibile grazie alla volontà di Kennedy e alla decisione di votare in blocco tutte le leggi da lui proposte dopo il suo assassinio. In realtà, mentre è in vita, Kennedy (così come Roosevelt prima di lui) si limita ad una serie di atti simbolici ma assai timidi verso gli afroamericani, timoroso di perdere i voti dei deputati democratici degli Stati del Sud. La considerazione di fondo che convince un Congresso sempre ampiamente razzista a votare tali provvedimenti è l’assoluta imprescindibilità di superare un regime di segregazione che avrebbe letteralmente gettato i paesi africani appena decolonizzati (a decine nel periodo 1957-63) tra le braccia dell’URSS antirazzista. Quando si parla dell’URSS e del “terrore” di Stalin occorrerebbe tenere a mente la dimensione totale dei fenomeni, che spiega assai bene come la violenza proletaria non sia stata altro che una forma di difesa in reazione ad un regime gerarchico, dispotico, padronale e razziale assai più violento e disumano.
Già nella relazione To Secure these rights del 1947, commissionata da Truman, è scritto che gli «USA non possono aspirare a leadership mondo libero nella lotta al comunismo senza garantire diritti ad afroamericani». Nel dicembre del 1952 il ministro statunitense della giustizia invia alla Corte Suprema, impegnata a discutere la questione dell’integrazione dei neri nelle scuole pubbliche, una lettera eloquente: «La discriminazione razziale porta acqua alla propaganda comunista e suscita dubbi anche tra le nazioni amiche sull’intensità della nostra devozione alla fede democratica». Nonostante tutti questi “inviti” si deve aspettare il 1964-65 perché vengano abolite le leggi dal sapore più feudale. La vulgata vuole che ciò sia stato possibile grazie alla volontà di Kennedy e alla decisione di votare in blocco tutte le leggi da lui proposte dopo il suo assassinio. In realtà, mentre è in vita, Kennedy (così come Roosevelt prima di lui) si limita ad una serie di atti simbolici ma assai timidi verso gli afroamericani, timoroso di perdere i voti dei deputati democratici degli Stati del Sud. La considerazione di fondo che convince un Congresso sempre ampiamente razzista a votare tali provvedimenti è l’assoluta imprescindibilità di superare un regime di segregazione che avrebbe letteralmente gettato i paesi africani appena decolonizzati (a decine nel periodo 1957-63) tra le braccia dell’URSS antirazzista. Quando si parla dell’URSS e del “terrore” di Stalin occorrerebbe tenere a mente la dimensione totale dei fenomeni, che spiega assai bene come la violenza proletaria non sia stata altro che una forma di difesa in reazione ad un regime gerarchico, dispotico, padronale e razziale assai più violento e disumano.
35. Il brano è una ripresa, con qualche leggera modifica, di A. Pascale, Il ruolo dell'URSS e dei comunisti nella messa al bando della segregazione razziale statunitense, Collettivostellarossa.it, 17 febbraio 2016.