21 Novembre 2024

3.10. MUHAMMAD ALI, CAMPIONE NELLO SPORT COME NELLA VITA

«Non ho visto un singolo mendicante per le strade della Russia sovietica. Non mi sono mai sentito così sicuro, non vi è nessun rischio di essere derubati. Mi è stato detto che in Unione Sovietica non c’è libertà di religione, ma in realtà i musulmani, i cristiani e gli ebrei praticano liberamente il loro culto. Credo che il rapporto tra i nostri popoli sia negativo solo a causa della falsa propaganda».
(Muhammad Alì)32
Non può infine mancare un ritratto di Muhammad Alì, nato Cassius Marcellus Clay Jr. (Louisville, 17 gennaio 1942 – Phoenix, 3 giugno 2016): il pugile statunitense è tra i maggiori e più apprezzati sportivi della storia, sia per le sue gesta sportive, sia per la sua statura etico-umana, manifestatasi nella polemica contro il razzismo statunitense.
In quegli anni è spesso a fianco di Malcolm X, di cui condivide le istanze del black power, seppur declinato in un’ottica religiosa. Vince l’oro Olimpico ai Giochi di Roma nel 1960 e come pugile professionista detiene il titolo mondiale dei pesi massimi dal 1964 al 1967, dal 1974 al 1978 e per un’ultima breve parentesi ancora nel 1978. Mai una banalità, ma un continuo bersagliare il perbenismo di una certa America, conservatrice ed incapace di accettare che il campione del mondo dei pesi massimi rifiuti di onorare la patria colpevole della follia del Vietnam. Il 29 aprile 1967 Muhammad Ali-Cassius Clay viene infatti privato del titolo di campione del mondo di pugilato a causa del suo rifiuto di prestare il servizio militare per dichiarata contrarietà alla guerra in Vietnam, così giustificata:
«la mia coscienza non mi permette di andare a sparare a mio fratello o a qualche altra persona con la pelle più scura, o a gente povera e affamata nel fango per la grande e potente America. E sparargli per cosa? Non mi hanno mai chiamato negro, non mi hanno mai attaccato con i cani, non mi hanno mai privato della mia nazionalità, non hanno mai stuprato o ucciso mia madre e mio padre. Sparargli per cosa? Come posso sparare a quelle povere persone? Allora portatemi in galera».
Non una frase ad effetto, ma un grido della coscienza, una coraggiosa scelta etica che gli costa il ritiro della licenza e il ritiro obbligato dalle scene sportive per diversi anni, quelli in cui è al top del vigore fisico. Luca Baldelli commenta così33:
«Con eroica abnegazione, piena coscienza del suo ruolo e delle sue intime convinzioni, nonché dei doveri conseguenti, Alì pagò il prezzo di questo coraggio con la carcerazione e la cancellazione dei titoli guadagnati sul ring. Il potere yankee mostrò, in tal modo, al di là degli slogan sulla “democrazia“, i “ diritti “ e la “libertà“, il suo vero volto reazionario e repressivo verso ogni voce in dissenso con le false verità dell’establishment. Alì non si dette per vinto e continuò a gridare al mondo che il Re, che in molti vedevano vestito di tutto punto, era più nudo che mai. Uscito di prigione, il campione puntò tutto al riscatto della sua persona, metafora della lotta di tutta la gente di colore d’America ma anche di tutti gli sfruttati, gli emarginati, di tutti i popoli in lotta contro l’imperialismo. Ferrea, netta, fu, ad esempio, la sua solidarietà con la Rivoluzione cubana, artefice della creazione del “primo territorio libero d’America”».
Nel 1996 e nel 1998, nel corso di due viaggi a La Habana, dona 1,2 milioni di dollari per acquistare attrezzature mediche e altro materiale necessario al consolidamento e alla difesa della sanità cubana, punta di diamante riconosciuta in tutto il mondo per il suo livello. Parole sincere di ammirazione sono spese da Muhammad Alì anche nei riguardi dell’URSS, da lui visitata nel 1978, con tanto di incontro “al vertice” con Leonid Brežnev, Segretario del PCUS. Muhammad Ali è diventato un simbolo del ‘900, per il mondo e soprattutto per i milioni di africani figli di un’oppressione coloniale secolare, che lo hanno accolto come un eroe nel titanico incontro di Kinshasa nello Zaire (1974) contro il più blasonato e prediletto (dai bianchi) George Foreman. Sempre su questo tema leggiamo Baldelli:
«L’incontro più emozionante e ricco di valenza simbolica, fu però quello della grande rivincita di Alì: il match con il Campione del Mondo Foreman in Zaire, il 30 ottobre del 1974. Il luogo scelto per l’incontro non fu certo casuale: dal Congo (questo il nome storico del paese) erano stati condotti in schiavitù negli Stati Uniti milioni e milioni di neri, tanto che una famosa piazza di New Orleans era denominata “Congo Square”. A guidare il paese, allora, era Mobutu Sese Seko, il quale investì sull’incontro tutto il suo prestigio e le sue aspettative di “riabilitazione“ agli occhi di una parte del mondo che lo identificava, e a ragione, come il protagonista principale del complotto contro il grande Lumumba, figura integerrima e leggendaria di combattente antimperialista. Quell’incontro era, per Alì, la “madre di tutte le battaglie” del riscatto: Foreman, emblema del nero “integrato”, coccolato e osannato dal potere bianco, ad onta della sua proverbiale scontrosità, era un avversario non solo fisico, ma anche ideologico, per un Alì che aveva fatto invece dello scontro col sistema, della lotta contro l’imperialismo, i soprusi e le ingiustizie, la sua ragione di vita. Prima di salire sul ring, in quell’occasione, Muhammad Alì pronuncerà ancora una volta parole cariche di significato, che possono essere definite una sorta di manifesto politico e sentimentale: “Io non combatto per il mio prestigio, ma per migliorare la vita dei miei fratelli più poveri che vivono per strada in America, i neri che vivono di sussidi, che non hanno da mangiare, che non hanno coscienza di se stessi, che non hanno futuro. Voglio vincere il titolo per andare tra i rifiuti con gli alcolizzati. Voglio stare in mezzo ai drogati, alle prostitute. Voglio aiutare la gente”.
Contro ogni pronostico sapientemente pompato dalla stampa del regime, Alì vinse sul Campione Foreman, fino a quel momento protagonista di trionfi su calibri quali Frazier, destinato poi a battere Alì in un discusso incontro. L’Africa tutta esplose di gioia e voglia di riscatto, quel 30 ottobre del 1974, e con l’Africa tutto il mondo schiacciato, ma indomito, sotto il tallone dell’imperialismo: con Alì avevano vinto gli sfruttati, gli ultimi, i paria, il sale della Terra».
Ricordiamo altri suoi discorsi che testimoniano una personalità unica:
«Muhammad significa degno di lode, e Ali significa altissimo. Clay significa creta, polvere. Quando ho riflettuto su questo, ho capito tutto. Ci insegnano ad amare il bianco [white] ed odiare il nero [black]. Il colore nero significa essere tagliato fuori, ostracizzato. Il nero era male. Pensiamo a blackmail [ricatto]. Hanno fatto l’angel cake [pane degli angeli] bianco e il devil’s food cake [torta del diavolo] color cioccolato. Il brutto anatroccolo è nero. E poi c’è la magia nera... Quel che voglio dire è che nero è bello. Nel commercio il nero è meglio del rosso. Pensate al succo di mora: più nera è la mora, più dolce il succo. La terra grassa, fertile, è nera. Il nero non è male. I più grandi giocatori di baseball sono neri. I più grandi giocatori di football americano sono neri. I più grandi pugili sono neri».
«Perché dovrebbero chiedermi di indossare un’uniforme e andare 10.000 miglia lontano da casa a far cadere bombe e proiettili sulla gente marrone del Vietnam, mentre i cosiddetti negri, a Louisville, sono trattati come cani e gli sono negati i semplici diritti umani? No, non andrò 10.000 miglia lontano da casa a dare una mano a uccidere e distruggere un’altra nazione povera, semplicemente perché continui il dominio degli schiavisti bianchi sulla gente scura di tutto il mondo. Questo è il giorno in cui diavoli di tal fatta devono sparire. Sono stato avvertito: prendere questa posizione mi potrebbe costare milioni di dollari. Ma l’ho detto una volta e lo ripeterò: il vero nemico del mio popolo è qui. Non andrò contro la mia religione, contro il mio popolo o me stesso diventando uno strumento per schiavizzare chi sta lottando per avere giustizia, libertà ed eguaglianza. Se pensassi che la guerra porterà libertà ed eguaglianza a ventidue milioni di miei simili non avrebbero dovuto arruolarmi: lo avrei fatto io, domani. Non perdo nulla restando fermo sulle mie posizioni. Andrò in prigione: e allora? Siamo stati in catene per quattrocento anni».
«Impossibile è solo una parola pronunciata da piccoli uomini che trovano più facile vivere nel mondo che gli è stato dato, piuttosto che cercare di cambiarlo. Impossibile non è un dato di fatto, è un’opinione. Impossibile non è una regola, è una sfida. Impossibile non è uguale per tutti. Impossibile non è per sempre».
«Dentro un ring o fuori, non c’è niente di male a cadere. È sbagliato rimanere a terra».
«Chi non è abbastanza coraggioso da assumersi le proprie responsabilità non compirà niente nella vita».
«L’uomo che non ha fantasia non ha ali per volare».
«I campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione. Devono avere l’abilità e la volontà. Ma la volontà deve essere più forte dell’abilità».34
32. Citato in Redazione Sinistra.ch, L’orgoglio nero di un pugile controcorrente, Sinistra.ch, 6 giugno 2016.
33. L. Baldelli, Muhammad Alì. Storia di un militante antimperialista, Noicomunisti.blogspot.it, 6 giugno 2016.
34. Per le info generali e le citazioni si è consultato Wikipedia, Muhammad Ali e Wikiquote, Muhammad Ali

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