3.09. LA PROTESTA DI SMITH E CARLOS ALLE OLIMPIADI DEL 1968
L’immagine di Tommy Smith e John Carlos sul podio a Città del Messico è una delle foto entrate nella storia dello sport (e non solo). Hanno appena vinto rispettivamente l’oro e il bronzo nei 200m, il primo compiendo un’impresa straordinaria: il nuovo record del mondo (19’’83) ottenuto alzando le braccia a parecchi metri dall’arrivo. Dovrebbero essere la quintessenza della felicità, invece salgono sul podio con lo sguardo basso e triste. Sono senza scarpe e alzano al cielo il pugno chiuso.
Tutto ha inizio il 30 giugno 1968 a Los Angeles, città in cui si svolgono i trials americani, le qualificazioni in vista delle Olimpiadi messicane. Prima delle gare alcuni atleti afroamericani si appartano a discutere dell’assassinio di Martin Luther King, avvenuto solo tre mesi prima, ma anche della condizione della gente di colore e del ruolo dello sportivo nero. Dalla cattedra di San José il sociologo Harry Edwards ha lanciato un grido che ha fatto pensare: «why run in Mexico and crawl at home?» (perché correre in Messico e strisciare a casa?). I 36 atleti decidono di mettere ai voti il boicottaggio dei giochi da parte dei neri. Tra questi ci sono Tommy Jet Smith e John Carlos, ma anche Bob Beamon, Lee Evans e Ralph Boston, in pratica il meglio dell’atletica leggera americana. Alcuni di questi, proprio grazie a questi Giochi, entreranno nella leggenda, ma in quei giorni sembrano disinteressarsene. Invece di discutere di tempi di qualificazione e contratti milionari votano se accettare o respingere quella ribalta che avrebbe sancito la loro consacrazione planetaria. L’esito della tormentata decisione è la vittoria della linea morbida (per la cronaca: 24-12). Sì quindi alle olimpiadi, ma a un patto: che si faccia qualcosa. Tommy Smith e John Carlos, che hanno votato a favore del boicottaggio, decidono di salire sul podio a piedi nudi e pugno chiuso. È un passo epocale. Per la prima volta l’atleta nero si libera del complesso dello zio Tom, l’accusa lanciata già a Jesse Owens di essere uno strumento al soldo della gloria dell’America bianca. Lo fa nello stesso spazio, le Olimpiadi, che l’altro zio, Sam, aveva sempre utilizzato per alimentare la propria pretesa di superiorità. Smascherandone l’ipocrisia: «Oggi ho vinto, ha vinto un americano» dichiarerà Smith. «Se avessi perduto, avrebbe perduto un negro». Poco raccontato è quel che è successo dopo, che ha tutti i crismi della rappresaglia: per volontà del presidente del CIO Avery Brundage i due vengono esclusi dalla squadra americana e allontanati dal villaggio olimpico. Tornati in patria, ricevono minacce di morte e proteste. Inizia una chiara persecuzione nei confronti dei due che dura all’incirca un decennio, causando a entrambi la perdita del lavoro e contribuendo al suicidio della moglie di Carlos. Smith riesce a ottenere un posto da assistant coach nel piccolo college di Oberlin nell’Ohio soltanto nel 1983; Carlos, che aveva creato un’associazione per togliere i ragazzi di colore dalla strada, ritrova uno stipendio soltanto nel 1982, assunto dall’organizzatore dei Giochi di Los Angeles 1984 per reclutare giovani volontari. Ancora meno nota è la storia dell’australiano Norman, il “bianco” presente nella foto a fianco dei due afroamericani: arrivato anche lui sul podio a ritirare la sua medaglia d’argento, si presenta con uno stemma a favore dei diritti civili. Al suo ritorno in patria è isolato, criticato, minacciato di morte. Non convocato per Monaco ‘72, nonostante resti l’australiano più veloce, ha avuto una vita difficile. Quando muore ci sono Tommie Smith e John Carlos a portare la bara al suo funerale. Da segnalare che la foto, che poi ha fatto il giro del mondo, all’epoca dei fatti non è stata pubblicata sulla prima pagina del giornale sportivo italiano Gazzetta della Sport, perché non ritenuta opportuna.31
Questo è il livello di avanzamento culturale e sociale nel mondo occidentale capitalista in lotta con i paesi socialisti antirazzisti a fine anni ‘60.
Tutto ha inizio il 30 giugno 1968 a Los Angeles, città in cui si svolgono i trials americani, le qualificazioni in vista delle Olimpiadi messicane. Prima delle gare alcuni atleti afroamericani si appartano a discutere dell’assassinio di Martin Luther King, avvenuto solo tre mesi prima, ma anche della condizione della gente di colore e del ruolo dello sportivo nero. Dalla cattedra di San José il sociologo Harry Edwards ha lanciato un grido che ha fatto pensare: «why run in Mexico and crawl at home?» (perché correre in Messico e strisciare a casa?). I 36 atleti decidono di mettere ai voti il boicottaggio dei giochi da parte dei neri. Tra questi ci sono Tommy Jet Smith e John Carlos, ma anche Bob Beamon, Lee Evans e Ralph Boston, in pratica il meglio dell’atletica leggera americana. Alcuni di questi, proprio grazie a questi Giochi, entreranno nella leggenda, ma in quei giorni sembrano disinteressarsene. Invece di discutere di tempi di qualificazione e contratti milionari votano se accettare o respingere quella ribalta che avrebbe sancito la loro consacrazione planetaria. L’esito della tormentata decisione è la vittoria della linea morbida (per la cronaca: 24-12). Sì quindi alle olimpiadi, ma a un patto: che si faccia qualcosa. Tommy Smith e John Carlos, che hanno votato a favore del boicottaggio, decidono di salire sul podio a piedi nudi e pugno chiuso. È un passo epocale. Per la prima volta l’atleta nero si libera del complesso dello zio Tom, l’accusa lanciata già a Jesse Owens di essere uno strumento al soldo della gloria dell’America bianca. Lo fa nello stesso spazio, le Olimpiadi, che l’altro zio, Sam, aveva sempre utilizzato per alimentare la propria pretesa di superiorità. Smascherandone l’ipocrisia: «Oggi ho vinto, ha vinto un americano» dichiarerà Smith. «Se avessi perduto, avrebbe perduto un negro». Poco raccontato è quel che è successo dopo, che ha tutti i crismi della rappresaglia: per volontà del presidente del CIO Avery Brundage i due vengono esclusi dalla squadra americana e allontanati dal villaggio olimpico. Tornati in patria, ricevono minacce di morte e proteste. Inizia una chiara persecuzione nei confronti dei due che dura all’incirca un decennio, causando a entrambi la perdita del lavoro e contribuendo al suicidio della moglie di Carlos. Smith riesce a ottenere un posto da assistant coach nel piccolo college di Oberlin nell’Ohio soltanto nel 1983; Carlos, che aveva creato un’associazione per togliere i ragazzi di colore dalla strada, ritrova uno stipendio soltanto nel 1982, assunto dall’organizzatore dei Giochi di Los Angeles 1984 per reclutare giovani volontari. Ancora meno nota è la storia dell’australiano Norman, il “bianco” presente nella foto a fianco dei due afroamericani: arrivato anche lui sul podio a ritirare la sua medaglia d’argento, si presenta con uno stemma a favore dei diritti civili. Al suo ritorno in patria è isolato, criticato, minacciato di morte. Non convocato per Monaco ‘72, nonostante resti l’australiano più veloce, ha avuto una vita difficile. Quando muore ci sono Tommie Smith e John Carlos a portare la bara al suo funerale. Da segnalare che la foto, che poi ha fatto il giro del mondo, all’epoca dei fatti non è stata pubblicata sulla prima pagina del giornale sportivo italiano Gazzetta della Sport, perché non ritenuta opportuna.31
Questo è il livello di avanzamento culturale e sociale nel mondo occidentale capitalista in lotta con i paesi socialisti antirazzisti a fine anni ‘60.
31. Fonti usate: M. Lunardini, Giochi di protesta (Seconda parte): pugni chiusi e guanti neri nel 1968, Il Fatto Quotidiano (web), 23 luglio 2012; M. Preve, Come ho riscritto la storia di Peter Norman, La Repubblica (web), 16 ottobre 2015; E. Trifari, Carlos e Smith: e la storia fu presa a pugni. Neri, La Gazzetta dello Sport (web), 5 giugno 2015.